I segreti di un gioiello dell'arte
Villa Novecento
Nel cuore di Roma è stato appena restaurato il Villino Boncompagni: una casa-museo dedicata al “secolo breve”, dagli arredi ai quadri, dalla moda al design, dal futurismo a De Chirico
Chi può accedere nelle stanze di un bel villino dei primi ‘900, fatta eccezione per i suoi residenti? Aggirarsi nei suoi ambienti, soffermarsi, curiosare e divertirsi, dal 16 aprile 2014 è possibile ai visitatori del Museo Boncompagni Ludovisi delle Arti Decorative del Costume e della Moda in via Boncompagni 18 a Roma. Grazie al nuovo allestimento e al completamento delle sale del secondo piano, in piena gradevolezza e con ogni comfort, si è invitati a compiere un viaggio nel tempo tra sorprese fatte di stile, abilità manuale e gusto. Con questa rinnovata struttura, Roma si allinea con merito ad altre capitali, che curiosamente in questi campi avrebbero in alcuni casi decisamente meno da mostrare.
Il villino, testimonianza architettonica e artistica del 1901, progettato dall’architetto Giovanni Battista Giovenale, perviene in possesso dello Stato italiano in virtù della donazione della principessa Alice Blanceflor Boncompagni (nel ritratto accanto al titolo) che lo ha abitato per 50 anni, con il fermo intento che sia destinato ad ospitare attività culturali. L’istituzione del Museo risale al 1995, quando la Soprintendenza ai Monumenti lo apre parzialmente alle visite come casa nobiliare; non è ancora un vero e proprio museo, si accede solo alle sale del piano nobile.
Ci sono arredi originali del XVIII secolo, dipinti, porcellane della collezione Meissen, bronzi ispirati all’iconografia romana del primo Impero, elementi sei settecenteschi, arazzi e dipinti, oggetti e decori tardo-ottocenteschi e déco. I funzionari raccolgono e ordinano in modo sistematico opere acquisite e donate, a formare un primo corpus costituito da circa 100 pezzi tra ceramiche, vetri e sculture. Contemporaneamente si avverte anche l’esigenza di testimoniare adeguatamente l’evoluzione dell’Alta Moda italiana, che a Roma non ha ancora un luogo degno dove poter raccontare questa straordinaria eccellenza.
Si susseguono alcune mostre tematiche e monografiche sul futurismo e il modernismo e sull’attività di sartorie e stilisti, e si continuano a ricevere abiti e interi guardaroba senza tuttavia poter disporre dello spazio per documentare, attraverso i modelli, le trasformazioni avvenute nel costume. Soltanto adesso, dopo consistenti lavori di adeguamento impiantistico, riqualificazione e recupero degli apparati architettonici nelle loro varietà cromatiche, curati dell’architetto Massimo Licoccia, la narrazione può proseguire anche in tutte le dieci sale del secondo piano, dove l’abitazione ha il suo logico sviluppo.
Il percorso si articola di ambiente in ambiente a sottolineare in ognuno un tema: dalla ritrattistica della Bella Époque alla Primavera di Galileo Chini (nella foto), dagli omaggi all’arte applicata al Piccolo Atelier della Moda. È un procedere lungo quarant’anni di straordinaria produzione artistica e manifatturiera ed è come se ci si aggirasse in un cinegiornale dell’Istituto Luce, ma in formato tridimensionale e materico, con una documentazione ricca di associazioni e rimandi, citazioni e conferme.
L’idea vincente della direttrice Mariastella Margozzi è stata quella di mantenere i connotati di una dimora – il calore e l’intimità – al posto di quelli di un museo tradizionale, e le collezioni nel nuovo allestimento non sono solo mostrate, ma in qualche modo narrate, perché di un racconto si tratta, denso e coerente, attraverso la collocazione di materiali, storie, piccoli oggetti, grandi interpreti, riportando alla luce un patrimonio in alcuni casi mai mostrato e di cui è salutare riappropriarsi.
L’ambientazione è sostenuta dalla qualità alta delle testimonianze. Le pareti del Salone delle Vedute, completamente decorate a tempera, rappresentano scorci dei viali della perduta Villa Ludovisi; proprio su una piccola porzione del suo vasto parco è stato edificato il villino attuale sede del museo. Gli abiti sontuosi qui collocati sembrano indossati piuttosto che esposti. Nel piccolo immaginato studiolo di Papa Gregorio XIII, al secolo Boncompagni, sono imperdibili le poltrone di velluto con leggio incorporato, inno a un completo confortevole relax. E che dire del ritratto del Papa, da Cardinale, dipinto da artista ancora ignoto, ma forse realizzato da mano femminile? Lasciamo la vasta Sala degli Arazzi, i suoi camini, le belle finestre affacciate sul giardino – l’ambiente più flessibile ad accogliere esposizioni temporanee che si alterneranno a partire dal 2015 – ed entriamo in una stanza dove tutto rimanda ai principi Savoia, compreso il contributo di un lascito fatto al Museo dall’Istituto Femminile Margherita di Savoia. Se si intensificano le donazioni e si incrementano le collezioni permanenti provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, come riordinare tutto questo materiale a prima vista eterogeneo per facilitarne la scoperta di sala in sala? È stata la prima domanda alla quale dare risposta per fissare le linee guida del nuovo allestimento: documentare un’epoca, il primo quarantennio del ‘900.
Al secondo piano una stanza è dedicata a Duilio Cambellotti; la vetrata dell’artista romano Visione eroica o I guerrieri è montata qui in via definitiva e tutte le opere collocate in questo ambiente non esibiscono solo la produzione del movimento dall’inizio del XX secolo ma, con piccole sculture e oggetti dello stesso Cambellotti, insieme a un grande dipinto di Umberto Prencipe, precisano l’interpretazione romana del movimento liberty e ne connotano fortemente i caratteri più severi e funzionali.
A testimoniare futurismo e déco nella sua accezione più internazionale, una sala con complementi d’arredo, ceramiche e altre opere d’arte decorativa; Prampolini e soprattutto Balla con la sua Bionbruna del 1926, straordinaria espressione di un momento di transizione: è la donna che fuma, avvolta nel profumo, un’opera poco nota perfettamente collocata a interpretare un’epoca.
Il sapore e le atmosfere che riserva una dimora in cui si collocano opere e piccoli oggetti va oltre, come abbiamo accennato, alle possibilità offerte da un luogo strettamente museale. È il caso del bagno della casa, con i suoi arredi fissi fatti di marmi e la prevalenza dei toni giallo-verde, armoniosi. Nella stessa sala, accanto si documentano gli anni ’30; qui il racconto, dalle vestaglie “indossate” ai ritratti, è tipicamente italiano, testimoniato dalle varie manifatture e da Giorgio De Chirico con Le amiche.
Sulla moda non si è ancora detto, ma le grandi sartorie romane hanno voluto esserci e l’ampia documentazione fornita è esauriente e spazia dalle donazioni di Fausto Sarli, di Gattinoni, delle Sorelle Fontana e di Giuseppe Paradisi a un lungo elenco di noti stilisti con abiti che rappresentano la storia dell’Alta Moda italiana dagli anni ’20 agli anni ’80. Insieme, il guardaroba di donne famose tra cui la donazione importante di Palma Bucarelli, Direttrice della Galleria D’Arte Moderna dal 1941 al 1975; una collezione fatta di abiti, di accessori, di foto, di lettere; il guardaroba di una donna importante indossato nelle occasioni più mondane e in artistiche circostanze.
Si esce dal Museo Boncompagni Ludovisi delle Arti Decorative del Costume e della Moda con la voglia di tornare, anche per l’appassionata gestione che promette di riservare ancora sorprese. Non si ha alcuna intenzione infatti di interrompere l’attività di ricerca, si guarda avanti per studiare, approfondire e scoprire e si elaborano programmi per continuare a ospitare mostre e eventi culturali, in linea con la vocazione che ne ha determinato l’istituzione: a mostrare la vita.