La campagna internazionale antieuropea
Il grillismo british
Nigel Farage, il leader anti-Ue della Gran Bretagna dice di ispirarsi ai 5 stelle. Ma poi prende le distanze: «Da noi certe volgarità non sarebbero permesse». Se l'identità italiana diventa un vaffa...
È di questi giorni la notizia che in Inghilterra Nigel Farage (nella foto), un banchiere londinese della City e leader dell’Ukip (United Kingdom Independence Party) si sta preparando alle europee con un programma separatista che propone agli elettori inglesi di uscire dall’Unione Europea. Per certi versi, molti obiettivi sono simili a quelli di Beppe Grillo. Sembra, stando ai sondaggi, che arriverà secondo alle elezioni europee del 25 maggio con il 27% del voti dietro al partito laburista che è dato al 31% e davanti ai conservatori che si attesterebbero al 23%. Alla richiesta di quale sia il partito più vicino a lui in Europa, Farage ha nominato il Movimento 5 stelle, prendendo viceversa le distanze dalla Lega nostrana e dal partito francese di Marie Le Pen da cui lo dividono proprio il razzismo e l’antisemitismo di cui invece la donna politica francese fa una bandiera.
Ora, senza entrare nel merito degli obiettivi di questo partito che si possono più o meno condividere, balza agli occhi la differenza di facciata, fin da questi primi passi, con il Movimento 5 stelle. Che poi non è solo di facciata e riguarda il costume di due paesi che hanno regole diverse della democrazia. Il partito separatista inglese, che rappresenta un largo settore di cittadini scontenti del Regno Unito, appare molto più solido del gemello nostrano. E pertanto può fare appello anche a quelli che, pur delusi, non sono necessariamente armati di un risentimento così fazioso come la gran parte dei seguaci di Grillo, ad esempio, che a somiglianza del leader usano, nel loro argomentare, posizioni estreme ed eccessive. E non è solo questione di forma, ma anche di sostanza. A cominciare proprio dai toni che i due leader usano: Farage pacato, acuto, armato di un’ironia tagliente, va dritto al punto e lascia spesso gli avversari senza fiato; sempre sopra le righe Grillo, con il quale non è possibile aprire alcun tipo di confronto e che prima di arrivare al cuore del problema si perde in offese gratuite, volgari e costruite su un sensazionalismo teso principalmente a stupire e a scandalizzare.
Mi si dirà che tuttavia questo fa parte della diversità della cultura popolare dei due paesi e del temperamento latino più propenso ad essere preda delle passioni. E accetterei anche il commento, se questo non fosse uno stereotipo che gli anglosassoni amano molto appiccicarci addosso proprio per ribadire la nostra incapacità a far funzionare qualsiasi meccanismo sociale. Questo, infatti, invece di essere un tratto folcloristico degli italiani, rappresenta qualcosa di assai più grave, perché mostra la mancanza di rispetto che tutti i politici italiani, e Grillo in particolare, hanno dei loro interlocutori. Il leader del Movimento 5 stelle non partecipa a alcun dibattito e quando si trova di fronte a possibili interlocutori li aggredisce e li offende, costringendoli così a recedere. Ma il resto dei politici italiani non è da meno e non si comporta nei dibattiti pubblici in modo assai diverso. Chi grida di più e interrompe di più l’altro, chi offende di più apparentemente dà prova della propria forza e del proprio potere. E, secondo loro, vince. E non mi si dica che questo è un vizio di forma. Risale infatti a quella mancanza di senso civico che a partire da un dibattitto, elemento essenziale della vita democratica, ogni anglosassone rispetterebbe e non trasformerebbe mai in un pollaio urlante come invece tutti i nostri show televisivi serali, dove la rissa è addirittura provocata dai giornalisti che li animano, mostrano quotidianamente.
Ma la parte peggiore è che poco importa ai mezzi pubblici di comunicazione di massa e ai politici se il pubblico a casa non capisce niente di quello di cui stanno parlando gli interlocutori. Perché quello che è importante è fare audience. E questi spettacoli demagogicamente la fanno. E i giornalisti che li animano guadagnano fior di quattrini proprio per traghettare questi metodi.
Quando gli americani o gli inglesi vengono in Italia si meravigliano della quantità di show televisivi imperniati sulla politica che le nostre televisioni offrono ogni sera e quale misero spettacolo i partecipanti , giornalisti inclusi, danno di se stessi. E si chiedono cosa ci sia di interessante nel vedere persone che continuano ad interrompersi e si azzuffano, senza lasciare parlare l’altro. E infine collegano questa mancanza di senso civico dei nostri politici, con Grillo che urla pesanti offese in testa, a quella che osservano per le strade delle nostre città dove il traffico è caotico, dove gli automobilisti non si fermano sulle strisce per lasciare passare un pedone, o dove i cittadini sporcano le strade buttando a terra i rifiuti o imbrattando i muri o non rispettano le file, o non pagano i biglietti dell’autobus etc. Piccole cose che indicano però un rispetto dell’altro che la società e ancor peggio la democrazia italiana non hanno mai conosciuto e che forse andrebbero insegnate a scuola da piccoli. E soprattutto sulle quali si basano invece manifestazioni più importanti del senso civico come quella di pagare le tasse.
Perché è il senso della comunità e dell’appartenenza alla società di cui tutti facciamo parte che manca nel nostro paese. E Grillo, che costantemente e in modo urlante denuncia le anomalie e le violenze della nostra società, ricade – per le caratteristiche antidemocratiche e prevaricatrici dei suoi metodi e del suo stile – negli stessi trabocchetti contro cui si batte e che cerca di eliminare. Dalla prevaricazione verbale e non, dall’insulto, dalla prepotenza forse viene anche fuori quell’idea che sì dobbiamo essere tutti uguali, ma anche che c’è qualcuno che è più uguale degli altri e che quindi può permettersi di non rispettare le regole piccole o grandi che siano. Cosa impensabile nelle democrazie anglosassoni.
Farage dopo avere detto che il suo movimento proprio per il suo antieuropeismo è vicino a quello di Grillo, così ha commentato le intemperanze del leader italiano: «Grillo conquista le platee, ma da noi i suoi vaffa non sarebbero permessi», stabilendo subito una distanza tra sé e l’altro tipica del metodo degli anglosassoni quando vogliono mettere spazio tra loro e l’altro che considerano “diverso”. Per non dire inferiore. E definendo se stesso afferma: «Sono un seguace del liberalismo thatcheriano mentre conservatori, laburisti e liberaldemocratici di oggi sono tutti socialdemocratici, tutti uguali, usciti dalle stesse scuole, con lo stesso accento, sposati con le rispettive sorelle». Come si vede, in quanto a provocazioni non scherza nemmeno il gemello inglese del Movimento 5 stelle il quale, senza urlare e dare in escandescenze, riesce a scagliare macigni sulla testa dei suoi avversari. Di certo è un leader più defilato e più in ombra del suo corrispettivo italiano, uno che cerca di farsi valere sulla sola scia della ragione. Non che il programma di Farage si batta per l’interesse della comunità prendendo spunto, come egli stesso afferma, dal modello thatcheriano. Certo le sue provocazioni aliene dai toni minacciosi della violenza si servono dell’ironia che, come sapeva bene Brecht, non è di secondaria importanza nel gioco democratico.
Una retorica, quella di Farage, che risulta migliore delle urla e delle offese, riuscendo a convincere con la forza delle argomentazioni anche quelli che forse sono ancora indecisi. Perché questo fa parte del gioco democratico. Non è con l’esposizione di leader onnipresenti, sempre visibili e che guidano il movimento o il partito con un pugno di ferro o con un decisionismo esagerato che si dovrebbero ottenere i risultati, almeno in democrazia. Senza cioè lasciare respirare. Questo invece è ciò che avvenuto negli ultimi vent’anni con Berlusconi, che avviene oggi con Grillo e in parte anche con Renzi. E questo non fa parte della dialettica democratica di nessun paese del mondo, ma solo di quella della repubblica delle banane. E forse è per questo che dovremmo riflettere su quello che sta accadendo nel nostro paese. Per cercare di cambiare più che le regole la mentalità.