Danilo Maestosi
A Roma, Palazzo Sciarra

Un Impero a colori

Canaletto, Constable, Fussli, Hogart, Reynolds e Turner: una bella mostra alla Fondazione Roma racconta il Settecento inglese, il secolo del grande primato di Londra sul mondo

Non lasciatevi influenzare dai tre nomi stampati a lettere cubitali in cartellone: Hogart, Reynolds, Turner. I primi due ben inquadrati e rappresentati, il secondo offerto solo in assaggio, Non è la solita mostra grandi firme, ai quali si fa sempre più spesso ricorso per nascondere approssimazione critica e ragioni di cassetta, quella che la Fondazione Roma porta in scena fino a luglio nella sede di palazzo Sciarra in via Minghetti. Ma come meglio spiega il sottotitolo, «pittura inglese verso la modernità», un viaggio corale, ricco di voci, sfumature, angolazioni, figure di spicco attraverso quei cento anni di storia, tra i primi decenni del Settecento e la caduta di Napoleone, che segnano il boom dell’Inghilterra come prima potenza commerciale, industriale e coloniale del mondo, la crescita di una classe di nuovi ricchi più dinamica e meno condizionata da vincoli di casta, e la nascita di un movimento di artisti proiettati ad interpretare queste mutazioni, liberarsi dalla sudditanza del classicismo accademico, elaborare un proprio linguaggio nazionale, imporre nuove mode, nuove soluzioni visive.

Assecondata da un allestimento sobrio e gradevole che ambienta il percorso in un susseguirsi di interni che mutano colori, tappezzeria e arredi seguendo la scansione in capitoli cronologici e tematici del copione, e dalla regia di due curatori (Carolina Brook e Valter Curzi) capaci di miscelare rigore e divulgazione, la mostra è costruita su continui andirivieni e rimandi tra storia, cronaca e sviluppi delle tendenze artistiche che ne rispecchiano i sussulti.

Canaletto - Westminster Bridge 1746Esemplare di questo taglio narrativo di buona divulgazione è già il prologo, che affida ad una dozzina di tele il compito di rappresentare le trasformazioni del tessuto urbano di Londra, che cancellando vuoti e ferite dell’incendio che a metà del Seicento devasta il vecchio centro, comincia a cucirsi addosso un abito di monumenti, palazzi, luoghi di ritrovo, servizi, decoro urbano più adatto al suo ruolo e al suo orgoglio di capitale imperiale. Tra le opere spiccano due quadri di Canaletto, che soggiornò per nove anni in questa città in fervore: ritraggono il ponte di Westminster in costruzione con una pulizia di tocco e arditezze prospettiche che ne esaltano la maestria (nella foto). Lo stile italiano fa ancora scuola, con il suo legame alla tradizione classica, la sua attenzione al disegno. E persino con le sue licenze: per aumentare l’effetto ideale dei suoi paesaggi Canaletto non esita a incoronarli con cieli limpidi e luminosi in netto contrasto con le nuvole cupe che incombono nei quadri di altri maestri locali, esposti nelle pareti a fianco, e il gusto da vignetta popolare che segna altri scorci di taverne e ritrovi scelti dai curatori a completare il racconto. Ma anche a introdurre quella tendenza ad una più accentuata aderenza alla realtà che è l’incubatrice della nuova pittura inglese in gestazione.

framed, rectoNei due capitoli successivi questo intreccio tra cronaca e arte che vivacizza la ricostruzione trova altre applicazioni esemplari. Ecco il ritratto di un campione della nuova borghesia, Richard Arkwright, che trasformò in manifatture industriali le botteghe tessili. Ecco, accanto alla scena del decollo della prima mongolfiera inglese nel 1785, il volto in veletta di una nota attrice Letitia Ann Sage che si imbarcò su quella navicella (nella foto). L’economia tira, nasce una nuova committenza e i pittori crescono con più liberta, meno condizionati da vincoli iconografici, vizi d’accademia. Quando nell’ultimo ventennio del secolo Londra fonda una propria Accademia molti di questi condizionamenti di stile e modelli sono già alle spalle. E i pittori possono permettersi quel ruolo di fustigatori dei costumi e delle ingiustizie sociali che nell’Ottocento toccherà ai grandi scrittori. Tra tutti spicca il talento e la straordinaria costruzione narrativa di William Hogart, cui la mostra riserva un ricco campionario di oli e incisioni: un paio di stampe evocano con straordinaria immediatezza le scene di ordinaria corruzione di una campagna elettorale.

Hogarth David GarrickUno dei siparietti più intriganti e riusciti è dedicato alla passione per lo svago culturale più in voga, il teatro, e soprattutto per il grande idolo nazionale, Shakespeare, che caratterizza questa stagione. Idolatrato come un divo di Hollywood, l’attore per antonomasia del momento è David Garrick (nella foto, in un ritratto di Hogart), un ometto paffuto e incipriato invitato in tutti i salotti e immortalato in ritratti e quadri dei suoi spettacoli. Un clima di infatuazione che trova il suo interprete più magistrale in un inglese d’adozione, lo svizzero Heinrich Fussli. Una fantasia visionaria che anticipa clima e soluzioni oniriche del surrealismo in una serie di capolavori dedicati alle scene madri delle commedie del Bardo. Valgono da sole il biglietto due grandi tele dedicate al Sogno di una notte di mezza estate (nella foto accanto al titolo).

Tracciate queste premesse, la mostra affronta ora il tema del ritratto, cavallo di battaglia della nuova scuola di pittura inglese, che trova il suo interprete più raffinato e apprezzato in Joshua Reynolds ma alimenta una generazione di artisti di grande spessore. A distinguerli due caratteristiche: la tendenza a inquadrare i personaggi ritratti all’esterno, spesso con alle spalle scorci delle loro tenute, rispettando il gusto di una committenza che fonda ricchezza e privilegi sul latifondo e la proprietà agraria Ma ancor più una vivacità di resa e un’immediatezza che nascono da una voluta sottovalutazione della predominanza del disegno e da un uso più marcato sulla scia dei modelli fiamminghi della materia pittorica. Messo a confronto con i ritratti inglesi quello di un grande specialista italiano dell’epoca come Pompeo Batoni ci restituisce l’immagine di una figura impalata e gelida, come gli epitaffi di maniera sulla tomba di un morto.

John ConstableUn piccolo intermezzo riservato al boom dell’acquarello e quindi all’esplosione di massa della pittura en plein air e della pittura da souvenir introduce all’ultimo capitolo, che chiama in scena i due più innovatori maestri inglesi del paesaggio. Un precursore di un dialogo più intenso, aderente al vero e all’emotività che la Natura sprigiona: John Constable (nella foto). Un profeta e uno sperimentatore, quasi isolato, della traduzione in pittura del movimento e della supremazia della luce, Joseph Turner. Con lui prende avvio una rivoluzione dello sguardo che prepara l’avvento della modernità, e che ancor oggi governa il rapporto fra spettatori e produzione contemporanea. Per cogliere il senso figurativo e i rimandi rappresentativi dei suoi paesaggi ci si deve allontanare dal quadro, recuperare la distanza che ci impedisce di lasciarci travolgere dal turbinio quasi astratto dei colori e delle rifrazioni cromatiche dell’aria e delle cose. La tela dipinta come una sorta di funambolica istallazione, di scenografia teatrale.

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