Alessandro Boschi
Visioni contromano

Verità e Realismo

Torna nelle sale un capolavoro nato come un documentario e diventato subito lo specchio della rinascita italiana. Non perdetevi l'occasione di rivedere "Roma città aperta" di Rossellini!

La prima domanda che ci siamo fatti è stata se fosse possibile scrivere qualcosa di nuovo su Roma città aperta, il capolavoro di Roberto Rossellini appena tornato nelle sale grazie al restauro della Cineteca di Bologna compiuto con la collaborazione dell’Istituto Luce e della Cineteca Nazionale. La risposta più sincera ci è sembrata un “no”, bello tondo. Perché, come spesso capita per le ricorrenze che hanno come oggetto simili monumenti, è davvero difficile non cadere nella retorica, nel banale, nell’agiografia, e soprattutto nel già detto. Nel noioso, infine. Però, scartabellando appunti di chissà quando e vecchie riviste, ci siamo imbattuti in questa dichiarazione del regista, davvero illuminante. «Nei miei film ho cercato di raggiungere l’intelligenza delle cose, dando loro il valore che hanno: assunto non facile, anzi ambizioso e tutt’altro che lieve, perché dare il vero valore a una qualsiasi cosa significa averne apprese il senso autentico e universale. Il realismo, per me, non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostituita, si raggiunge l’espressione. Oggetto vivo del film realistico è il “mondo”, non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi precostituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare, che anzi rifiuta; ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell’anima. Rifiuta i lenocini e le formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. È, in breve, il film che pone e si pone dei problemi».

roma città aperta2Rifiutare le formule, dice Rossellini. Che poi, guardando un po’ in casa nostra, è l’atteggiamento che spinge molti a parlare di cinema e non di film, come se una presunzione spesso non giustificata ci spingesse a racchiudere in una formula il segreto della comprensione/spiegazione universale della settima arte. Senza arrivare al lenocinio per pretendere il consenso, o per lo meno non sempre.

«Di quello ho visto tutti i film: è un dilettante. I film di Rossellini provano solo che gli italiani sono attori nati e che in Italia basta prendere una macchina da presa e metterci delle persone davanti per far credere che si è registi». Cosi diceva, un po’ recitando ma non troppo, Orson Welles, non uno qualsiasi. La cosa curiosa è che, paradossalmente, aveva ragione. Ma avendo troppa ragione aveva di conseguenza torto. Quella che per lui era una mancanza rappresentava infatti per il nostro il punto di forza, come appunto si evince dalla sua dichiarazione. La delicatezza espressiva di Rossellini cerca «i più sottili fili dell’anima». L’uso della macchina da presa serve a raggiungere l’intelligenza delle cose. Un approccio documentaristico (non a caso anche Roma città aperta era nato come documentario). «Mi sono sempre sforzato di dire che per me il neorealismo era solo una posizione morale. La posizione morale era di obiettivamente mettersi a guardare le cose e di mettere insieme gli elementi che componevano le cose, senza cercare di portarci nessunissimo giudizio. Perché le cose, in sé, hanno il loro giudizio». Poi una rivelazione: «Roma città aperta, il neorealismo – si è detto – siccome non c’erano i mezzi, allora si sono dovuti adattare i mezzi di cui disponevamo, ed è nato il neorealismo, cioè la verità: i muri veri, la gente vera, lo zozzo vero ecc. No, è stata invece una scelta proprio chiarissima e determinata».

roma città aperta3Per Rossellini uno dei principi base del suo cinema era sfuggire al capitale,  liberarsi dalle necessità produttive. Certo, poi magari varrebbe la pena ricordare il costo per l’ingaggio di Aldo Fabrizi e stabilire se il film sarebbe stato lo stesso senza il grande attore romano…ma il concetto è chiaro. Lo stile di Rossellini permette di raccontare una realtà più vera di quella raccontata dal documentario, perché è una realtà che si fa e si afferra durante lo svolgersi della pellicola. Forse è questo uno dei motivi per cui è indispensabile vedere e rivedere un film come Roma città aperta, che non è solo un film sulla Resistenza.

La confezione dell’opera risulta poi così robusta che ci permette di apprezzarne anche i momenti meno intensi. Certo, la prima cosa che si viene in mente è il grido «Francesco, Francesco!» di Anna Magnani, ma oltre quella scena e magari la fucilazione del sacerdote troverete tanto altro. Troverete religiosità, politica, solidarietà, rabbia, coraggio e, soprattutto, tanto cinema. Con buona pace di Orson Welles.

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