Visioni contromano
L’Italia di Verdone
"Sotto una buona stella", il nuovo film dell'autore romano, è un apologo umano su un Paese che ha perso sogni e identità. Non è più neanche una macchietta comica... Per questo, forse, ci sarebbe voluto un po' di coraggio in più
Diverte ma anche no Sotto una buona stella, l’ultimo film di Carlo Verdone. Diverte quando si lascia andare con una rabbia forse troppo contenuta a quelle che forse sono le sue pulsioni più nascoste e sincere, di raccontare una società, una nazione, che non è più per i giovani, né per quelli di mezza età né, verrebbe da dire, per chi ha un’anima e un po’ di dignità. Diverte meno, quasi annaspa, nei momenti di passaggio dalla commedia (quasi farsa) ai momenti più intensi e impegnati. Verdone, come già in Posti in piedi in Paradiso si fa carico di raccontare tutti i disagi di un Paese attraverso quelli di un microcosmo familiare composto da un padre assente e da due figli lasciati con la madre e piuttosto inclini al menefreghismo. Non particolarmente centrati, peraltro.
Anche perché, per sua stessa ammissione, l’autore romano si concentra di più sulle situazioni che non sui personaggi, sui quali resta imbattibile. Gli va comunque dato atto di calarsi, prendendosi pure le sue giuste responsabilità generazionali, nel ruolo di chi ha in qualche modo tradito le aspettative sociali ed umane, pur potendo contare su una congiuntura favorevole: un buon lavoro e una moglie che lo trascura, pensate che colpa, in favore dei due figli. A tal proposito ci viene da chiederci come, nonostante abbia perso un posto di lavoro di prestigio e super remunerato e in conseguenza di ciò abbia lasciato la sua casa, il protagonista possa abitarne una più modesto ma, come dice uno dei raffinati poeti convocati dai figli per un happening casalingo, sempre da riccone: «La poesia si fa nei garage, non negli appartamenti dei miliardari!».
Comunque, la storia raccontata da Carlo Verdone, come sempre, ha una struttura solida, con una fine e un inizio. Il che può sembrare una banalità ma in realtà non lo è affatto. L’ingresso nella storia della vicina di casa Paola Cortellesi è ad esempio un colpo da manuale ma anche da maestro, e pure se l’attrice a volte cade nel macchiettismo, rende bene l’idea di un personaggio costretto ad una ambivalenza interiore (che non riveliamo per ovvi motivi anche se, tutto sommato…). Forse le cose più interessanti sono quelle che rimangono “in canna” a Verdone, come quella frase con cui rimprovera i due improbabili talent scout al cui giudizio il figlio si sottopone per un provino: «Quella che voi chiamate depressione si chiama anima». Il che forse non è nemmeno vero. Quando ci si avvicina ad un tema così potente occorrerebbe fare molta attenzione. O se ne parla in maniera compiuta o non lo si fa affatto. Perché chi soffre di depressione non ha solo un male all’anima, è qualcosa di più complesso, e siamo sicuri che Verdone ne sia del tutto consapevole. E forse proprio per questo si è fermato sulla soglia.
Sotto una buona stella resta comunque un’opera gradevole, che regala una speranza. Gli manca magari un po’ di coraggio. Come quelle persone che dicono: ma lo sai che ti amo, non c’è bisogno che te lo dica? Accidenti se ce n’è bisogno, accidenti!