Consigli per gli acquisti
Tra madri e figli
“Matriarchè" ricostruisce le origini della società al femminile; Aharon Appelfeld racconta come la maternità ha dovuto fare i conti con la storia. E con l'orrore nazista
Al femminile. La tesi di questo libro che dovrebbe far riflettere gli uomini (ma anche le donne di oggi, dotate di maschera ridicolmente mascolinizzata; perché no?) è che il matriarcato, dal 7000 al 3000 A.C circa garantì ai gruppi sociali di quei tempi pace e armonia, simbiosi con la natura e rispetto per il prossimo. Quando, per esempio sbarcarono i colonizzatori con la convinzione (e convenienza spoliatrice) di educare società considerate rozzamente primitive, superstiziose e passive secondo il canone europeo, la prima cosa che fecero fu quella di eliminare le donne in quanto detentrici sia di uno stile di vita pacifico e diverso dai guerrieri e sacerdoti provenienti dalla Spagna, Portogallo, Inghilterra e da altri paesi a economia avanzata e militarmente predominanti. Un esempio: in tal modo, col pretesto che fosse eretico o pericolosamente magico-pagano, spazzarono via la cultura dell’erboristeria. Guardacaso, la cura con le erbe, è tornata da qualche decennio in auge sulla scia del filo-orientalismo, e ora ha milioni di seguaci.
In Matriarchè edito da εxòrma e da Francesca Colombini e Monica Di Bernardo (235 pagine, 15 euro) si spiega che questa parola ha un’etimologia proveniente dal greco antico: “matri”(ovvero madre) e arché (intesa come inizio e non come dominio). È una ricerca delle antenate e dei loro stili di vita e di pensiero. Risponde alla domanda di chi legge i libri di storia adottati dalle scuole: e le donne dove sono? Da tener presente che fino agli anni Settanta del secolo scorso c’era poco o nulla della storia delle donne, a parte il rimando a qualche regina, a guerriere, al tema del suffragio universale. Poi i docenti si sono limitati a elencare donne che, malgrado un contesto sociale loro molto avverso, si distinsero in molti settori. Le donne venivano menzionate (quando lo erano) soltanto in base ai loro scritti, dipinti, trattati filosofici ecc. Insomma: splendide e curiose rarità. Per esempio nei libri di storia si accenna alla prima donna-medico, Elisabeth Blackwell (laureatasi nel 1849) o anche della bolognese Dorotea Bocchi (XV secolo) e di Rebecca Guarna, che scrisse testi medici. Tante sono rimaste nel cono d’ombra per il fatto che non hanno lasciato scritti o questi sono andati perduti. Oppure perché, soprattutto ai tempi della caccia alle streghe, molte delle quali dotte in erboristeria (il ché equivaleva a stregoneria vicinanza con Satana. Si dimenrica regolarmente di parlare di Trotula e Ruggiero, ginecologa della avanzatissima scuola di medicina salernitana, autrice di «De passionibus Mulierum ante in et post partum» quindi antesignana, nel XI secolo, dell’ostetricia e della ginecologia, che comprendeva la necessità di suturare le zone perineali. Insomma, tante sono le donne che rischiano di inficiare il logos prettamente maschile della storia. La colonizzazione fu anche colonizzazione dei corpi delle donne, definiti e classificati come “osceni” da preti, medici e letterati, antesignani del “Dolce stil novo”. Una bella contraddizione, non c’è che dire. Il termine “osceno” viene da “fuori della scena. Messe al bando, trattate come imprescindibile oggetto di lussuria, schiave, esseri inferiori e, talvolta, demoniaci. Matriarchè ricorda poi l’archeologa-lituano-americana, che riportò alla luce la civiltà pacifica ed egualitaria dell’Europa dell’era neolitica, rimasta nascosta per oltre quattromila anni sotto i resti di popolazione che si erano insediati con la forza nei loro territori. Nelle società “matrifocali” c’era un raffinato sistema di credenze religiose. Al centro vi era la donna che col suo corpo esprimeva la ciclicità del tempo, delle stagioni della Terra, della vita che si rinnova e della rigenerazione dopo ogni morte. Armonia con le leggi del creato. E non violenza.
Il bosco. Pare, a prima vista, un libro per ragazzi. Non è esatto: è per tutti, quindi anche per piccoli lettori, preadolescenti e adolescenti. Con una scrittura limpida ed essenziale Aharon Appelfeld, di famiglia ebraica, nato nel ’32 in Bucovina, fu deportato assieme al padre in un campo di concentramento nazista dal quale fuggì vivendo per tre anni in cerca di rifugio nelle foreste. Guanda ha appena pubblicato un suo libro snello ed emozionante intitolato Una bambina da un altro mondo (157 pagine, 13,50. Appelfeld ha scritto molti altri libri, tradotti in tutto il mondo. In quest’ultimo narra del bambino Adam di nove anni che la madre lascia in un bosco in attesa di salvare dalla deportazione i nonni. Lo fornisce di viveri, di medicinali, e gli dice di rimanere lì: lei sarebbe ritornata. Adam incontra Thomas, di famiglia alto borghese e frequentatore dello stesso istituto scolastico. Thomas ha un parlare forbito, ma è impacciato, con alle spalle angherie da parte dei coetanei per i fatto che è un “secchione”. Nel bosco si muove goffamente, ma giorno dopo giorno, grazie ad Adam figlio di un ebanista e più ricco di esperienza, impara. Impara ad arrangiarsi, a non avere paura. Le giornate autunnali passano, le rispettive madri non si fanno vedere. Finiti i viveri, sfruttano i “regali” del bosco: mirtilli, mele. Avendo poi la fortuna di trovare un cappotto pesante, che li ripara dal freddo pungente e poi dalla neve. Costruiscono una casetta sugli alberi. Li raggiunge Miro, il cane di Adam, dal fiuto prodigioso. Trovandosi a mungere una mucca sul prato, vedono comparire Mina, coetanea esile e muta,alla quale chiedono del pane. Ogni giorno trovano un involto con del cibo. La fitta neve peggiora la situazione, c’è il rischio congelamento. Rumori lontani: è forse l’Armata Rossa che avanza. Un giorno aiutano un disperso e ferito. Poi accade che Mina si avvicini a loro col corpo martoriato e la mente sconvolta. Adam sostiene che è una creatura dell’altro mondo, un angelo. Un modo per dire, interpretando l’autore, che non fa parte di quella brutalità intrinseca nel nazismo. I russi finalmente arrivano. Tra loro c’è un medico ieratico ma pragmatico in una tenda da pronto soccorso che salva Mina dalla morte. Nella solitudine inquietante del bosco, metafora di una zona di nessuno, sorgono molte domande: su Dio, sull’origine del male, sul perché gli ebrei sono, e sono sempre stati, perseguitati. Domande da bambini, interrogativi essenziali, cui è molto difficile rispondere. Se non impossibile dal punto di vista laico.
Piccolo formato. I libri di dimensioni tascabili non sono certo una novità. Se ne stamparono, e molti, dopo l’invenzione (a metà del 1400) di Gutenberg della stampa a caratteri mobili. E i lettori aumentarono in modo esponenziale. Nel Novecento ci fu poi il boom degli Oscar Mondadori e della collana Bur della Rizzoli. Oggi la Guanda, che reagisce alla crisi economica di un paese sostanzialmente ignorante come l’Italia e con indici di lettura scandalosamente bassi, propone la collana “Le bussole”, da otto a 11 euro. Ecco i primi titoli. Fred Uhlman con la Trilogia del ritorno (che comprende il famosissimo L’amico ritrovato, Un’anima non vile, Niente resurrezione, per favore); Alta fedeltà, successo di Nick Hornby ambientato in una Londra irrequieta e appassionata di musica); Luis Sepùlveda con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, vicenda collocata al margini della foresta amazzonica; Catherine Dunne, con Se stasera siamo qui, storia di amici che tentano un bilancio esistenziale; Paola Mastrocola con Una barca nel bosco, storia di un emigrato del su che approda a Torino, tradito dalla scuola; Jonathan Safran Foer con Ogni cosa è illuminata, viaggio di uno studente ebreo americano in ucraino in cui di certe vicende rimane solo il ricordo. Ognuno di questi libri riproposti in diverso formato (con copertina rigida) è stato un best seller.