Torna l'atto unico di De Filippo
L’illusione comica
Inizia la lunga tournée di "Sik Sik" di Eduardo nella versione contemporanea di Pierpaolo Sepe: una storia di normali miserie che la magia non riesce più a risolvere...
Un muro sbrecciato su cui campeggia la grande scritta “Silenzio”, la musica malinconica di un piano solo riempie di attesa la penombra. Ed ecco l’ingresso spiazzante del “prestigiatorio” Sik Sik e della moglie incinta Giorgetta, tristi caricature della miseria umana, quel «Puozze sculà tu e io che ti tengo vicino» che strappa da subito una risata liberatoria. Entra in scena uno sprovveduto passante, un’occasione da acciuffare al volo per l’illusionista ciarlatano rimasto senza il complice di vecchia data che gli tiene bordone. Poi arriva lui, il palo ritardatario, guappo e sbruffone pronto a rivendicare il suo ruolo con un secco «Amico, qua ci debbo stare io»…
L’atmosfera si fa surreale nel ping pong di battute fatte di battibecchi, malintesi, vocali storpiate e buffe espressioni idiomatiche da avanspettacolo retro cui fa da contraltare il gioco mimico delle ombre che si stagliano sulla parete spoglia del teatrino di periferia quasi schermo di una pellicola muta. Scenografia, luci, musica, recitazione, regia si innescano alla perfezione nell’umorismo amaro del Sik Sik, l’artefice magico, firmato da Pierpaolo Sepe per l’omaggio, a trent’anni dalla morte di Eduardo De Filippo, tributato dalle tre massime fondazioni campane: Salerno Contemporanea, Campania dei Festival-Napoli Teatro Festival Italia e Benevento Città Spettacolo. Il testo più amato dal drammaturgo napoletano, straordinariamente divertente eppure venato di angosce disperate, il «capostipite di tutti i miei personaggi», come ripeterà spesso Eduardo, ricordando il parto del copione in treno, scritto frettolosamente, era il 1929, sul cartoccio che conteneva il pasto di un giorno, pane, formaggio e pere.
La rielaborazione è stata una bella sfida per il giovane regista partenopeo. La spinta l’ha data Giulio Baffi, che ha rispolverato, dal personale cassetto dei ricordi, la registrazione audio su cassetta da lui realizzata artigianalmente dell’ultimo Sik Sik interpretato da Eduardo, una domenica di maggio del 1979 al San Ferdinando, prima di ritirarsi dalle scene. Da quel nastro dimenticato per trentatré anni si sono materializzati lazzi ed improvvisazioni che non erano presenti nella versione originale, il critico li ha fedelmente trascritti ed ha consegnato il testo, assolutamente non manipolato, a Sepe che lo ha animato, pur nel rispetto filologico, con il soffio della contemporaneità. Realtà, vita, illusione, l’eterna magia del teatro. Lo spettacolo ha debuttato lo scorso settembre a Benevento e ora ha iniziato il suo tour dal Ghirelli di Salerno, prima di approdare al Teatro Nuovo di Napoli dove sarà rappresentato dal fino al 2 febbraio e poi, il 28 febbraio, al Menotti di Milano. Il meccanismo è ben rodato, lo si è visto sul palcoscenico salernitano, funziona nel ritmo narrativo come un orologio svizzero. Accompagnato com’è da felici intuizioni e soprattutto da quella coralità che appartiene alla visione di Sepe, un regista abituato a costruire i suoi lavori sulla collaborazione. Funziona, quindi, la scelta di Francesco Ghisu come scenografo in tandem con Cesare Accetta alle luci. Di grande effetto visivo e simbolico è il teatro-scatola magica con trame e schemi geometrici da Op Art che danno il senso ipnotico del movimento e dell’illusione. Si apre, si chiude, si trasforma, raccoglie e sviscera luoghi, personaggi, passioni, fragilità, inquietudini, inadeguatezze di chi cerca di trovare un posto nel mondo e di riscattare, attraverso il gioco di prestigio-menzogna, una vita senza dignità.
È il tema caro al De Filippo de La Grande Magia: «La vita è un gioco e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede…». Ed è questo il messaggio che ci consegna Sepe, la «metafora – spiega – dell’uomo del Novecento che non riesce ad essere adeguato, come non riesce ad esserlo quello di oggi». Nell’orchestrazione di questa storia di ordinaria tragedia di destini incrociati, raccontata sul sottile filo della leggerezza, spicca la maschera, divertente e commovente da clown bianco di Benedetto Casillo-Sik Sik. La scoperta di un interprete bravo, ingiustamente relegato a “comico”, che, invece, ben impersona, sospeso com’è tra poesia ed ironia, lo sfigato e simpatico mago costretto ad inventare espedienti di fortuna per arrivare alla fine della serata. Con lui sul palcoscenico attori che vengono da diverse esperienze e che per la prima volta si sono trovati a recitare insieme. Un altro piccolo, grande miracolo, un’altra magia che vede le buone performance di Roberto Del Gaudio, di Marco Marchisi e della friulana Aida Talliente. Anche se quest’ultima, forse, ha un po’ disorientato i nostalgici con il suo accento dalle inflessioni dell’Est. Volute e accentuate, peraltro, per sottolineare in qualche modo la voglia di cambiamento di un Sepe che ammette di aver «guardato De Filippo solo in televisione» e che per questo motivo ha avuto «un margine di libertà maggiore senza paura di tradire, perché la nostra missione è quella di avere un’idea che nel rispetto, anzi nella venerazione del maestro, ci lasci liberi di affermare con fermezza e con coraggio la nostra dimensione teatrale».
Per chi non riuscirà a vedere lo spettacolo c’è un regalo in libreria. Giulio Baffi ha pubblicato per Guida il suo Sik Sik, un vero gioiello. Oltre alla trascrizione di quel prezioso “artefice magico” del ’79, i ricordi personali, gli incontri in camerino con un De Filippo malato e affaticato ma pronto a dare il meglio di se stesso al pubblico, le rassegne stampa dalla “prima” napoletana all’ultima tournée prima di passare il testimone al figlio Luca, le foto di scena di Tommaso Le Pera, i bozzetti delle scenografie di Raimonda Gaetani, la locandina religiosamente conservata da Sergio Solli. La chicca, chiaramente, è quella vecchia registrazione quasi sbiadita con gli applausi, le risate ed i fruscii che coprono le battute, ma che restituisce, emozionandoci ancora, la voce inconfondibile di Eduardo.