Consigli per gli acquisti
La Bastiglia del sesso
Molte mode o manie di oggi sono nate nel Settecento francese: dai comportamenti sociali a quelli sessuali. Ma in amore tutto è lecito, come dimostrano le “Lettere d’amore di Enrico VIII ad Anna Bolena“
Parigi docet. Lo sanno anche i bambini, per così dire. Certi comportamenti, abitudini e mode non sono il marchio originale dell’epoca in cui viviamo. Hanno precedenti, magari di secoli. E in questo caso la Francia del Settecento ha tutto il diritto di rivendicare molte “invenzioni” sociali. Lo spiega bene, e brillantemente, Francesca Sgorbati Bosi nel libro Guida pettegola al Settecento francese (Sellerio, 347 pagine, 18 euro). Qualche esempio, per nulla esaustivo: l’uso di testimonial famosi per lanciare certe creazioni, la celebrazione quasi divina dei sarti, calzolai e parrucchieri, il consumismo e l’ostentazione delle novità. Ovviamente nei ceti alti della Francia di quel periodo. Una curiosità: si parlava già di depressione, un insieme di disturbi, di umor nero, che venivano classificati con nome di “vapori”. E circolavano anche quelli che avrebbero potuto essere rimedi o lenimenti: attività fisica o distrazioni in grado di impegnare mente e corpo. Consigli che stavano tuttavia accanto a quelli più fantasiosi, spesso dannosi.
C’era anche quella che oggi chiamiamo “pet theraphy”, ovverossia l’avere accanto o sopra le sottane delle dame animali da compagnia. Erano continuamente vezzeggiati e in maniera petulante “imposti” ad amici e ospiti. Pare strano, ma anche la cosiddetta rivoluzione sessuale, considerata innovativa nel 1968 (con il Rapporto Kinsey) è roba vecchia: a quei tempi si riconosceva alla donna il diritto all’appagamento sessuale, proprio come all’uomo. Se per quest’ultimo il sesso veniva ostentato, per le signore era, come dire, “velato”. Il piacere disgiunto dall’amore spesso lo inseguiva per noia, vanità, o, tante volte, per far dispetto a qualcuno. Idem per l’omosessualità: ufficialmente aborrita dalla legge che prevedeva la pena di morte, era tollerata normalmente per gli aristocratici, gli intoccabili. La diversità sessuale cominciò poi a entrare nella letteratura. Con la Rivoluzione Francese fu depenalizzata la sodomia. Quanto al lesbismo, esso semplicemente non era preso in considerazione. Come dire: non poteva esserci. Ma invece c’era. Una famosa attrice dovette espatriare per evitare il peggio. Anche i pettegolezzi, che ora chiamiamo all’inglese: gossip), erano diffusissimi. I cosiddetti “bruits”. Visto che la Francia di fatto impediva la circolazione di riviste leggere (la censura era molto severa), si aggiravano i divieti con pubblicazioni clandestine (anche Voltaire lanciava le sue frecciate con questo mezzo). Oppure per sapere cose intime di persone famose, bastava ascoltare i Bruits per le strade, nei mercati, ai giardini del Plais-Royal, ma anche nelle osterie. Per conoscere gli alti e bassi dell’aristocrazia c’erano i salotti, le accademie. E ovviamente la Corte. A Parigi valeva la massima di oggi: sparlate pure di me, ma continuate a parlare di me. In ogni caso le donne, nella pratica (anche politica) erano così influenti da costituire una specie di “repubblica delle donne”. Il mondo femminile come lasciapassare per vari incarichi. Madame de Montmorin suggeriva al figlio”State per fare il vostro ingresso in società, non ho che un consiglio da darvi: «Siate innamorato di tutte le donne»”.
Ascesa e caduta. Altro che romanzo d’appendice! Le vicende che accompagnano la relazione tra Enrico VIII d’Inghilterra nonché figlio della dinastia dei Tudor, e Anna Bolena (nome italianizzato per Bolein) sono così fitte, complicate e intrise di tradimenti e superstizione da costituire forse la trama europea per eccellenza. Enrico, alto, grosso e noto per la sua bulimia sessuale, sposò adolescente Caterina d’Aragona, la quale però non riuscirà a partorire l’erede maschio, ma soltanto Maria, e prima e dopo avrà numerosi aborti tra cui il delfino che doveva chiamarsi come il padre. Enrico, tra le sue varie amanti, prova forte passione per Anna Bolena, più giovane di lui. Anna è determinata, abile al governo, così vicina ai “riformisti” da portare poi il regno di Londra allo scisma anglicano, ossia alla fine della sudditanza della corona nei confronti del papato. Enrico ottiene l’annullamento delle nozze con la spagnola- questione controversa sotto il profilo dottrinale ed ecclesiastico- e si sposa con Anna. La quale da molti non è affatto amata, a tal punto che le iniziali dei due sovrano, H e A, formano un “Ha” che viene interpretato come risata derisoria. Quando le contorte traversie politiche e dinastiche, gonfiate dal Vaticano e dai giochi politico finanziari di Londra, porteranno la Bolena davanti al tribunale (sarà poi decapitata: con la spada, in segno di rispetto e non con l’accetta) Enrico scriverà lettere alla reclusa manifestando la sua devota vicinanza. Queste missive, tutte inedite, sono ora pubblicate dall’editore Nutrimenti in Lettere d’amore di Enrico VIII ad Anna Bolena (126 pagine, 12 euro, con un saggio dell’anglista Nadia Fusini). Le nozze tra i due si celebrarono pressoché in segreto, in un clima freddo e a volte ostile (molti risero). E chi era ammorbato dal pregiudizio cattolico, pur non avendo mai visto la volitiva Bolena, la definisce lasciva, “alta di statura, troppo”, segno di tendenze libidinose, scura di pelle (in realtà era chiara di carnagione), “annuncio di malvagità, con un dente sporgente, marchio da associare alla stregoneria, e, addirittura dei dita nella mano destra. Ma tra Enrico e Anna ci fu passione intensa. Lo testimoniano queste malinconiche lettere in cui il sovrano si preoccupa del suo stato di salute (erano anni della “pestis sudorosa” o “sudor anglicus”) ed esprime ripetutamente “che per me il disagio dell’assenza è già troppo grande”. Oppure nelle lettere ci sono rimandi metaforicamente segreti al loro legame intimo, con numerosi riferimenti, appunto, alla “carne”. Quando il destino per Anna è ormai segnato, Enrico scrive: “…ovunque io sia, sono vostro, anche se a volte bisogna sottomettersi alla sorte”. E così si firma: “Dalla mano di colui che è e sarà sempre vostro”. Un sovrano dunque tenero, che probabilmente nascondeva l’innamoramento sotto il segno della premura, comunque bel lontano dalla sua fama di intrigante, machiavellico, diventato re trame ambigue e criminose. Nel 1536 Anna sale su patibolo. Dignitosissima, vittima, assieme al marito di quella “sorte” cui si accennava. Ma il popolo aveva sempre preferito la spagnola e cattolicissima Caterina, e il Parlamento era pericolosamente diviso.
Estraneo. Per quasi due anni, tra il 1974 e il 1975, lo scrittore veneto Goffredo Parise tenne nella seconda pagina domenicale del Corriere della Sera una rubrica in cui dialogava con i lettori. Illuminanti, oggi più che mai le sue risposte e le sue considerazioni. A un giovane che gli manifestava il desiderio di fare “carriera politica”, Parise risponde con una serie di ricordi. Da giovane il suo fare politica era legato alle sere, «nelle parrocchie, o in certe stanzette vicino alle parrocchie o in sedi minime di partito, o in qualche angolo di caffè o in certi studi di avvocati». Commenta: «Io avevo la sensazione di essere cicala in mezzo alle formiche: se io incantavano, le formiche badavano all’inverno». Passano gli anni: gli stessi amici continuano a riunirsi, «non erano affatto amici, ma si riunivano, trafficavano, e in quei pochi anni qualcosa mutò: non mi invitarono più alle loro riunioni, erano diventati misteriosi, evasivi, come chi sa nei confronti di chi non sa». Così Parise nelle belle pagine raccolte da Adelphi in Dobbiamo disobbedire (76 pagine, 7 euro). La frase che abbiamo riportata si conclude amaramente (e profeticamente): «…allora, infatti, non lo sapevo, ma quelle evasioni, quel cessare gli inviti, significava che i giochi erano fatti e le porte sbarrate. Il potere di domani era già suddiviso, e non erano graditi estranei ai lavori».