Rimedi letterari per ogni malanno
Pasolini guaritore
Per le autrici di “Curarsi con i libri”, divertente catalogo sulla letteratura trattata come medicina, “Petrolio” è quel che ci vuole per liberarsi della Furbizia. Mentre per reagire ai disagi della Disoccupazione basta leggere “L’uccello che girava le viti del mondo” di Murakami: si finirà col prenderla a ridere...
Questo che segnaliamo è un libro intelligente per lettori intelligenti. Facile obiezione: allora è per poca gente. Contro-obiezione: è meglio partire da un sano e realistico ottimismo dicendo che in Italia ci sono molte sacche di intelligenza e di cultura raffinate; il fatto è che l’attuale tornado socio-economico-politico tende a non accorgersene e a far finta che non esistano, o cambiare subito argomento causa un sottile e urticante imbarazzo. Cominciamo con il segnalare le due autrici. Sono inglesi e si chiamano Ella Berthoud e Susan Elderkin. Si conobbero quando erano studentesse all’Università di Cambridge dove contrassero (sì, proprio come un morbo) l’abitudine di passarsi certi romanzi e di discutere attorno a questi nei momenti non proprio magici della loro esistenza. Insomma, scoprirono che la letteratura era una formidabile medicina ricostituente. Le due hanno collezionato gli appunti su moltissimi libri. Questa arguta antologia, non una delle solite, è stata pubblicata dalla Sellerio con il titolo Curarsi con i libri (608 pagine, 18 euro). Sottotitolo, che richiama apertamente quei volumetti che le nostre nonne tenevano a portata di mano: Rimedi letterari per ogni malanno.
Credetemi, ho aperto a caso questo libro e mi sono trovato dinanzi alla parola “Furbizia”. Poco sotto c’è scritto Petrolio, Pier Paolo Pasolini. Le autrici iniziano a irritare il nostro amor patrio dicendo che «la furbizia in Italia è un vizio endemico, un virus di base capace di generare ben altri e più devastanti malanni». Non che abbiano torto, ma irritano un po’, noi che siamo tanto permalosi. Però continuano affermando – quasi a nostro conforto – che «a ben guardare è riconoscibile in un volto, nell’espressione che produce, in un certo sfavillio degli occhi». Insomma, luce c’è, pur deleteria: non siamo degli allocchi come magari altre etnie. E poi questa è una considerazione cui nulla si può obiettare.
E ora veniamo a Pasolini, sul quale le due autrici anglosassoni hanno riflettuto bene precisando che «a dare la più convincente descrizione del classico sorriso di un italiano furbo è stato Pasolini, il più attento alle facce degli esseri umani e uno dei primi a denunciare per anni il propagarsi dell’infezione». Ecco il Pasolini “profeta”, l’“anticipatore” di nefandezze italiche, il “fustigatore” di vizi etici. Il romanzo Petrolio, anzi il suo “progetto di romanzo”, è uscito molto tempo dopo la sua uccisione, al Lido di Ostia (1975). Lo scrisse chiuso in una specie di torre medievale, nel Viterbese, dove, pagina dopo pagina, fece il ritratto di un imprenditore milanese, dotato di un fratello a cui intestava un gran numero di società. Scrisse Pasolini che si trattava di un uomo che «non avanzava, accumulava. Non saliva, non si espandeva». Superfluo indicare il nome vero. Quello dato al suo personaggio dal narratore bolognese (ce lo scordiamo spesso, ma nacque proprio a Bologna, aggiungendo poi alla sua filigrana intimo-culturale tracce friulane e romane) è “Troya”: e a questo punto non si sa se è meglio parlare di profezia o di chiaroveggenza. Un nome, una stoccata. Col tratto da chiromante. Pier Paolo, riportano le due inglesi, diceva: «Sarebbe per me troppo lungo seguire tutta la lenta storia (due decenni) di questa accumulazione». E sottolineava che alla base del suo impero c’era «un patto lombardo-veneto, sia pure con qualche tenebrosa radice meridionale».
Il sorriso di questo imprenditore «è il sorriso stereotipato dell’uomo pubblico, di uno costretto a sorridere». Ma non è un sorriso rassicurante, splendente, radioso, «tanto comune tra gli uomini pubblici». Pasolini accenna a un sorriso di complicità, quasi ammiccante: è decisamente «un sorriso colpevole. Con esso Troya pare voler dire che lui lo sa bene che chi lo guarda lo considera un uomo abbietto e ambizioso, capace di tutto, assolutamente privo di un punto debole, malgrado quella sua aria da ex collegiale povero e da leccapiedi da sagrestia». Non procediamo nella parola “Furbizia”. Certi ricordi (ma sono proprio tali e solo tali?) fanno male, gentili signore della perfida Albione.
Tanto per continuare a tirarci su, andiamo alla parola “Disoccupazione”, associata al grande scrittore giapponese Haruki Murakami. Le autrici suggeriscono la lettura dei suoi romanzi a chi è rimasto senza lavoro. «Murakami, tradotto in molte lingue occidentali, è anche il più sperimentale, è specializzato in personaggi passivi (in genere di sesso maschile, anche se qui il genere è irrilevante), con un sacco di tempo a disposizione e la tendenza a farsi coinvolgere in una serie di avventure che forse, o forse no, sono sogni, allucinazioni, oppure una futuristica trama cyberpunk». Ne L’uccello che girava le viti del mondo, c’è un certo Toru Okada che ha lasciato il suo studio legale senza una particolare ragione e s’avvia a fare quel genere di cose che si fanno quando si è disoccupati alla periferia di Tokio. Per esempio ascoltare La gazza ladra di Rossini, cucinare spaghetti alle dieci del mattino e assecondare la moglie che gli suggerisce di accedere a certi lavoretti domestici per i quali non è proprio adatto. Va poi a cercare un gatto e incontra due donne strane, in fondo a un pozzo asciutto. S’imbatte insomma in tanti casi bizzarri. Ma lui accetta tutto senza sorprendersi né obiettare. «Leggendo il romanzo impariamo a farlo anche noi» annotano le due autrici inglesi. Nel senso che Toru, se non capisce subito non importa. Magari ci arriverà più tardi.
Ed eccoci alla voce “Paura della morte”. A chi non è capitato di svegliarsi di notte con i sudori freddi, inchiodati al letto dalla terribile consapevolezza che smetterete di esistere… Don DeLillo in Rumore bianco mette in scena Jack che decide di recuperare, o inventare, la serenità mettendosi a fissare il suo bambino che dorme, un’attività che lo fa sentire devoto, parte di un sistema spirituale. La beatitudine di un bimbo dormiente è un balsamo. C’è anche un lato comico nella vita di Jack, quando, per esempio, tenta di parlare tedesco: «È uno dei momenti più buffi della letteratura», assicura la coppia inglese. Che raccomanda: «Leggete questo libro di notte, quando arriva la paura, e la vedrete trasformarsi in una risata».