Il nostro inviato a Roma
Il complesso di Venezia
Lo avevamo già detto: non basta un Tir per fare un Gra. Così la vittoria del docu-film di Alberto Fasulo al Festival del Film capitolino ha il sapore di uno scimmiottamento degli esiti dellla Mostra lagunare vinta da Gianfranco Rosi
Dopo il nostro intervento ribadito ieri su queste pagine, a proposito dell’assegnazione del Marc’Aurelio d’Oro a Tir, il film dell’italiano Alberto Fasulo, torniamo brevemente a fare il punto su quello che secondo noi è il significato di questa strampalata premiazione. Se infatti da un lato gli altri premi sono del tutto condivisibili, sembra a noi evidente che la pellicola del regista friulano segni la tappa fuori percorso di un tragitto che il documentario sta faticosamente portando a termine. È inevitabile, come noi abbiamo fatto in tempi non sospetti (http://www.succedeoggi.it/2013/11/tir-gra/), accostare il vincitore del Festival Internazionale del Film di Roma al vincitore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ovvero Sacro GRA di Gianfranco Rosi. Che però a quello non è nemmeno lontanamente paragonabile. Sembra quasi che esista una forma di complesso di inferiorità di Roma rispetto a Venezia, che peraltro sta nei fatti, cioè nella storia, nel prestigio e nella collocazione molto diversa che le due manifestazioni occupano nell’immaginario collettivo.
Diciamo questo soprattutto in virtù delle critiche anche feroci che al Festival di Alberto Barbera sono state rivolte, anche da chi scrive. Insomma, se tu “fai vincere” un prodotto italiano, un documentario o qualcosa che un documentario sembra, come Sacro GRA, io “faccio vincere” Tir, che allo stesso genere appartiene. Il punto è che Tir, che avrà pure visto uno sforzo creativo e produttivo encomiabile, non è nulla di che. Resta un esercizio sterile, realizzato a togliere, a togliere tutto il non autentico. La telefonata del figlio di Branko, il protagonista, che vuole cambiare casa, ad esempio, è vera, e al regista è sembrata come una manna dal cielo. Ma capite che così procedendo i cinque anni della realizzazione sarebbero potuti diventare cinquanta.
Anche Rosi ha accumulato ore e ore di girato, ma è stato il montaggio e non la casuale intrusione della realtà a comporre i tasselli del film. Che peraltro non ci ha fatto impazzire per più di un motivo, ma accidenti, averne. Sembra un po’ la barzelletta di quel tizio che imita l’amico in tutto, e quando al ristorante deve ordinare l’antipasto, invece di prosciutto e melone, per fare qualcosa di diverso ordina salame e anguria. In conclusione ribadiamo che far vincere Tir, anche in presenza di film in concorso di spessore così diverso da rendere impensabile solo l’accostamento, ci sembra un errore. Così non si fa un favore al cinema italiano, perché si fornisce una indicazione bislacca.
Sembrerà un paradosso ma il successo di Tir non fa bene al successo di Sacro GRA, perché in qualche modo stabilisce una relazione artistica (?) tra le due pellicole. Dovrebbe servire un po’ di più per vincere una competizione che vuole essere o diventare prestigiosa. Vero è che già l’anno scorso si era affermato il micidiale E la chiamano estate dell’altrettanto micidiale Paolo Franchi, ma se sbagliare è umano, perseverare diventa diabolico. E, credeteci, a noi prosciutto e melone non piacciono nemmeno tanto.