“Artissima” a Torino
Lo spirito del Boom
Vitalissima e piena di spunti di riflessione la XX edizione della fiera d'arte contemporanea della città sabauda. Notevole il pot-pourri estetico della sezione “off off” The Others: un modo efficace per rispondere alla crisi
E fu ancora Artissima. La “torinesissima” fiera d’arte che si è appena conclusa – giunta quest’anno alla sua XX edizione – ha ancora prodotto notevoli e, soprattutto, volenterosi risultati. A cominciare dai numeri: 190 gallerie da 40 Paesi di ogni parte del mondo dimostrano con i fatti un’internazionalità e una capacità che in questi tempi di vacche stentatissime fanno ben riflettere. Riflettiamo, dunque: a oggi, l’arte interessa ancora o è solo un passatempo radical chic?
Obiettivo dell’arte è anche quello di far meditare, e di opere che cercano di produrre tal effetto attraverso interpretazioni che arrivano finanche alla denuncia sociale quest’anno ne sono state presentate parecchie. Esempi interessanti? L’angelo di Dio del trio Blue and Joy con la loro cattedrale di caramelle anticlericale, il polacco Tobias Zielony che tramuta prostitute di Berlino in tele d’arte antica; e, ancora, la libanese Adelita Husny-Bey che chiede ai giornalisti egiziani disoccupati dopo la primavera araba di raccogliere su una lavagna le parole che a oggi hanno difficoltà a scrivere.
Tutto bello. Tutto molto bianco e ben costruito. Ma il mio preferito, quello che più mi fa riflettere sullo stato e la funzione dell’Arte rimane il più popolare e “off off” The Others alle ex Carceri Nuove. BOOM! The Others, quest’anno alla sua terza edizione, è un progetto espositivo internazionale dedicato esclusivamente alle gallerie di arte contemporanea emergente. Una sorta di pot-pourri estetico materico che raccoglie in un unico e suggestivo luogo le proposte culturali più sperimentali e anticonvenzionali. Le gallerie ammesse alla fiera sono quelle aperte dopo il 1 gennaio 2009 mentre, indipendentemente dalla data d’apertura, partecipano liberamente artists-run-spaces, collettivi di artisti associati, centri no-profit, associazioni, fondazioni, premi per l’arte, residenze d’artista, scuole d’arte e accademie, librerie che si occupino di arte, spazi che si dedichino al design autoprodotto, alla grafica d’artista… tutto purché nuovo, non visto ed emergente.
Ogni galleria ha a disposizione una cella con relativo piccolo wc ed è tutto vero: queste erano realmente le anguste stanzette dei detenuti ma non vi è alcun nesso tra il luogo ospitante e la ricerca di una metafora connotante l’arte odierna. Nessun parallelismo arte-galera: gli allestimenti presentati, infatti, possedevano sì un titolo, ma interpretato come un’ulteriore declinazione dell’evento, una possibile risposta al momento di crisi economica e creativa, un’espressione di quello che è per questi artisti il BOOM (inteso all’inglese, quale contrario di crisi).
Gli spazi del Carcere sono un’opera di Escher: corridoi e stanze stanno curiosamente dislocati in tre piani ai quali si accede arrampicandosi per scale cinte da un ballatoio in ferro battuto con vista su un cortile interno rotondo. Al centro del cortile una scala che entra nelle viscere della terra, circolare anch’essa, preludio all’inferno o al sogno. Intorno all’edificio il giardino al quale si accede attraversando una passerella stretta fra cespugli di grosse ortensie color polvere. A destra una zona bar sull’erba, poi una fontana, alberi, ristoranti, librerie. Tutto “di passaggio”. Nel teatro dell’ex carcere, poi, una performing area con nutritissmo programma di eventi trasversali che spaziano dalla musica alla letteratura.
Ed è stata proprio “La Notte delle Arti Contemporanee” a inaugurare la serata con il Premio Rolling Stone Food e la musica live open air. Qui non importa il fresco autunno sabaudo: il vino e la cioccolata scaldano, la gente viene ancora in bicicletta e la serata è in fermento, tersa nel cielo e piena di stimoli in terra. Ecco, è qui lo spirito del BOOM: anche così si può rispondere alla crisi, all’immobilismo, alla lamentela costante. (N.B. The Others è stata curata da Olga Gambari, Roberta Pagani e Stefano Riba)