Riccardo Pastorello *
Parla il presidente degli esercenti

Le scarpe del Valle

«Gli uomini se la prendono con le scarpe quando la colpa è del piede", dice Vladimiro in “Aspettando Godot”. Lo stesso si può dire delle mistificazioni intorno all'occupazione del teatro romano

Gentile direttore, le scrivo nella mia qualità di presidente dell’Associazione Nazionale degli Esercizi Teatrali Associazione che fa capo a A.G.I.S.   e socio di un importante teatro milanese: il Carcano. I recenti sviluppi della questione del Teatro Valle e della gestione che di quello spazio è stata fatta e, colpevolmente tollerata dai soggetti che avrebbero avuto titolo e obbligo di definirne i contorni, impongono una riflessione profonda sui concetti che gli occupanti, sostenuti da alcune personalità di spicco dell'”intellighenzia” di alcuni settori della politica italiana, hanno tentato di legittimare.

Bisogna però fare un passo indietro per inquadrare l’intera questione. La prima è il ricorrente metodo che ispira molte delle decisioni della politica nazionale e locale nel nostro paese: vale a dire quello che distrugge prima di aver tracciato la linea della ricostruzione. Mi riferisco alla scellerata decisione che fece cessare l’attività dell’’Ente Teatrale Italiano, che avrebbe invece dovuto essere riformato e delegato a sostenere l’intero tessuto distributivo del nostro paese. Il Ministero dell’Economia lo inserì invece d’ufficio in un elenco di Enti Inutili con un’insipienza pari al recente decreto Istat sui costi intermedi dei Teatri Stabili a iniziativa pubblica, secondo il quale essi sarebbero di fatto “Pubbliche Amministrazioni!”,  senza che fosse prima definita, senza alcuna incertezza, la destinazione di quattro storici e importantissimi  teatri italiani: il Quirino e il Valle a Roma, la Pergola a Firenze e il Duse a Bologna.

Il Quirino fu messo a Bando Pubblico, a condizioni che scoraggiarono quasi tutti quelli  avrebbero potuto prendervi parte se le condizioni fossero state ragionevoli. Con il risultato finale che, dopo tre anni, il vincitore di quel bando, ha ottenuto, non potendone più sopportarne il peso aziendale,  di rimandare tutto quel personale in capo al Ministero (che se lo è ripreso senza la minima opposizione), mantenendo però la disponibilità del contratto di locazione della sala che da quel bando a lui derivava in diritto. Questo per pura informazione e per ribadire che, con la sola eccezione, in parte, della Pergola, il costo del lavoro che affliggeva l’E.T.I. in modo abnorme, si è semplicemente ritrasferito allo Stato.

Per La Pergola fu costituita una fondazione ad hoc partecipata da Comune di Firenze e da Cassa di Risparmio. Con il determinante consenso del Sindaco Renzi.

Il Duse, dopo un periodo intermedio di incertezza (e dopo che anche qui il personale E.T.I. era stato ritrasferito a strutture Statali), è stato preso in conduzione da imprenditori teatrali privati che con enorme sforzo quotidiano, stanno ricostruendo il rapporto con il suo storico pubblico, acquisendone addirittura di nuovo.

Il Valle è incappato nelle problematiche tipiche della città eterna: il vuoto assoluto di capacità di decidere: bando si, bando no, migliore offerta si, migliore offerta no, gara europea si, gara europea no,  gestione diretta del Teatro di Roma si, gestione  diretta del Teatro di Roma no, la Regione Lazio assente, assente anche la Provincia di Roma.

Presentissimi, invece, gli occupanti e a ragione, sino al giorno successivo all’occupazione.  Poiché l’unico scopo lecito di quell’esproprio doveva essere la denuncia della mancanza di iniziativa della politica. Un atto dirompente che non doveva e non poteva assumere il profilo che si è andando via via delineando. E che è stato consentito proprio  e solo dai veti incrociati della politica romana e, quindi, nazionale.

Gli occupanti del teatro Valle, hanno avuto, in questo sconcertante vuoto decisionale e operativo, gioco facile nell’imporre un’ambigua ideologia di sinistra, nella quale ha dimora solo la parola diritto, mentre la parola dovere è cancellata o è posta in capo solo ai quei poveri disgraziati (tipico vizio di una visione massimalista che vede negli imprenditori  l’ostacolo primario da abbattere) che dirigono le Imprese teatrali vere e che danno lavoro a artisti, tecnici e autori, che tutelano i propri lavoratori sotto il profilo previdenziale, infortunistico, della sicurezza e sorreggono quelli dello spettatore attraverso un contratto che è costituito dall’acquisto di un biglietto. Non voglio qui aprire il fronte sul concetto di gratuità della cultura che, in un mondo nel quale un telefono può costare anche 600 euro,  tanti danni ha fatto o sta facendo, ma ci sarà sicuramente la necessità di dibatterne dopo che la questione “Valle” si sarà chiusa.

Ma ritornando all’occupazione, il primo corno del dilemma è proprio l’illegalità della stessa, che si è messa la coccarda del “bene comune” che, se non ricordo male, pur con molte deformazioni, esiste ancora: si chiama Res Pubblica, meglio conosciuta come Repubblica Italiana e implica diritti e doveri certi, fissati da una vera rappresentanza popolare che è terza nel dettare le regole del funzionamento dei beni collettivi.

L’altro corno è quello che ha evidenziato Franco Cordelli, che certamente non può essere considerato un reazionario “ancient règime”, quando sul Corriere del 19 settembre ha chiaramente detto che in due anni e mezzo, di “artistico” al Valle nulla è successo. Per questo motivo, mi sento di aggiungere che, se l’esperienza si concludesse in questo preciso istante, se ne accorgerebbero solo i soci del circolo Valle e non certamente il tessuto dell’Urbe.

Una ulteriore notazione va fatta sulla consistenza del numero dei soci fondatori, che dovrebbero essere, a quanto riportato dal Messaggero del 19 settembre, circa 5.300. Essi  avrebbero contribuito, ognuno con poco meno di 27 euro, a raccogliere la somma di 143.000 euro. Non un grande risultato per un’iniziativa che viene propagandata da due anni e mezzo come modello nazionale se non transnazionale, da un movimento che probabilmente ha contribuito a ammalorare la storica struttura del Valle con danni che andranno attentamente valutati. E, si badi bene: non sto parlando degli spettatori che hanno partecipato alle iniziative proposte, poiché il loro numero non è riscontrabile anche se sono stati pubblicizzati dati stratosferici sui quali nutro moltissimi dubbi.

Faccio memoria a questo proposito che il Ministero per le Attività Culturali, impone come condizione di accesso al sostegno delle attività di spettacolo culturale da parte dello Stato, che chiunque possa accedere a dette iniziative, attraverso il pagamento di un biglietto. Per l’appunto un “atto certo e verificabile” della pubblicità dell’iniziativa.

Un’ultima notazione sull’inderogabile diritto alla remunerazione del lavoro intellettuale. È noto che l’A.G.I.S. ha aperto con la S.I.A.E. ormai da molto tempo, un confronto che a volte è divenuto assi aspro, ma che mai ha messo in discussione il dovere di pagare il diritto agli autori. È invece il calcolo della base imponibile che è in discussione e questo confronto apre a volte un vero e proprio baratro fra noi e via della Letteratura. Per l’appunto una problematica politica che la politica dovrà risolvere.

Su questo argomento la posizione degli occupanti è, come molte  altre, opportunistica e in odore di vera e propria evasione o di “terra di nessuno”. Fausto Paravidino, che è uno dei più ferventi soci fondatori del Valle, sa benissimo che può incassare da se il suo diritto d’autore e che pertanto la SIAE non è un monopolio, né una forca caudina ineluttabile obbligatorio. Poiché vedo che la discussione verte quasi sempre sui massimi sistemi e non su fatti, in chiusura, gli chiedo  – e mi scuso preventivamente se l’informazione in mio possesso fosse inesatta – come mai,  quando i suoi lavori vengono messi in scena altrove, egli si faccia rappresentare dalla Società degli Autori, che poi contesta fieramente in via del Teatro Valle. Non vorrei che il problema fosse quello che in Aspettando Godot Vladimiro esprime lucidamente: «Ecco gli uomini! Se la prendono con la scarpa, quando la colpa è del piede».

* Teatro Carcano Milano, Comitato di presidenza A.N.E.T./A.G.I.S.

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