Un episodio inedito della sua vita
L’amore di Burri
Ecco la storia romantica e inedita della prima passione dell'artista. E del giorno in cui s'incendiò un sacco bagnato, messo al fuoco ad asciugare
Figlia di contadini e della campagna umbra, Giuseppina Martini nasce nel 1920 a Fighille, una frazione del comune di Citerna poco distante da Città di Castello. Ha grandi occhi scuri come le olive del sud, incorniciati da importanti sopracciglia, una caratteristica tipica dei Martini e lunghe gambe bellissime. Giuseppina Martini è una mosca bianca, una femminista ante litteram, una pittrice di talento, una filantropa che si muove e agisce invisibile mai parca di amore per il prossimo, soprattutto per i bambini malati di cui si prende cura prima e durante la guerra. Di lei, tutti ammirano l’anima semplice che sa riconoscere con innata naturalezza i suoi doveri ma anche i suoi diritti in quanto donna. Non è una persona espansiva, anzi. Nei modi è così discreta che spesso le persone faticano ad avvicinarla. Giuseppina Martini però ha lasciato un segno così profondo e indelebile nelle vite di coloro che l’hanno conosciuta, tanto da diventare un esempio anche per le nipoti che sono nate dopo la sua scomparsa.
Divenuta maestra elementare, ottiene nel 1941 una cattedra a Roccatamburo, un paesino di montagna. Parte sola, raggiungendo la piccola comunità montana in sella a un mulo perché non esistono ancora delle strade che colleghino il paesino al resto del mondo. Con lei c’è anche la nipote ancora bambina e futura maestra elementare, Marise Martini. Oggi Marise è in pensione e abita a Citerna. È lei a raccontarci, in quanto testimone, la storia che segue, quella dell’incontro di Giuseppina con un pittore, un tempo medico, di nome Alberto Burri.
Alberto ha prestato servizio durante il secondo conflitto mondiale come ufficiale medico ed è stato catturato dagli alleati e imprigionato in un campo di detenzione in Texas. Qui compie i suoi primi passi in ambito artistico. Presto l’arte diventerà la sua vita tanto da lasciare con la sua produzione un segno indelebile su scala mondiale.
Alberto abbandona la città e si trasferisce in montagna nei pressi di Botina dove va a vivere in una baita spartana. Il piano terra della baita non ha neanche il pavimento, poi c’è un soppalco di pietra, dove accende il fuoco per riscaldarsi e cucinare e in un angolo c’è il pagliericcio dove dorme. Porta con sé poche cose: una copia de “Le mille e una notte”, per lui il libro più bello mai scritto, e del siero antivipera. Per nutrirsi si procura pane e formaggio dai contadini che vivono nei paraggi. A Città di Castello non riescono a comprendere la sua scelta. Nessuno riesce a capire, nemmeno coloro che lo conoscono sin da piccolo, come possa un giovane uomo decidere di smettere di praticare la professione medica per andare a vivere in mezzo al nulla da solo.
Nel 1948 Giuseppina viene mandata ad insegnare a Botina. Ama fare lunghe passeggiate nei boschi circostanti. Ha un grande interesse per le erbe che coglie durante le sue camminate. L’incontro con Alberto avviene proprio durante una di queste. Marise racconta di come fra i due sia nata inizialmente un’amicizia presto tramutatasi in simpatia. Alberto e Giuseppina spesso camminano insieme per i boschi. Una sera vengono colti di sorpresa da un temporale. Riescono a procurarsi un sacco per il grano che usano per ripararsi dalla pioggia incessante. Giunti finalmente alla baita, accendono il fuoco e mettono il sacco ad asciugare. Poco dopo il sacco inizia a bruciare. Alberto, guardandolo bruciare ha un’intuizione che nel tempo diventerà uno dei punti cardine della sua produzione artistica. Si rende conto della capacità di quell’elemento primordiale che è il fuoco di accelerare la corrosione della materia e condivide la sua realizzazione con Giuseppina. Nel 1949 Burri realizza SZ1 il suo primo Sacco. Alberto inoltre scrive spesso a Giuseppina. Le manda poesie, disegni, pensieri.
Marise racconta anche il suo incontro con l’artista, avvenuto durante una giornata d’Agosto del 1949. Insieme alla zia, Marise parte in bicicletta da Fighille e raggiunge la baita di Burri nei pressi di Botina. Le due donne passano l’intera giornata con Alberto. Per pranzo mangiano gli spaghetti che ha portato Giuseppina dopo averli cotti dentro un bombolo di latta alta e tonda, un tempo usato per contenere le acciughe sottosale. Grattugiano il formaggio con una grattugia fabbricata da Alberto. È fatta con un pezzo di lamiera bucherellata con l’ausilio di un chiodo e di un martello. Mentre Alberto e la zia parlano, Marise legge Tempo, un giornale illustrato. Alberto si accorge che Marise è intenta nella lettura di un’intervista alla pittrice Novella Parigini, artista celebre per i suoi dipinti e disegni sui gatti. Alberto non ha una grande opinione della donna e dice alla giovane Marise che la Parigini non è una grande artista… Durante quella giornata Burri scatta numerose foto, fra queste anche una di Marise (è l’immagine riprodotta qui sopra), seduta mentre legge il giornale. Quella è una giornata che Marise non dimenticherà mai. Una giornata speciale che le due donne coronano con una folle e gioiosa discesa in bicicletta giù per il monte fino a Fighille. Marise porta con sé anche il ricordo di un uomo misterioso, vivo, che ha saputo reagire con straordinario coraggio seppure in modo originale alla crisi del dopoguerra.
Di partenza per gli Stati Uniti, Alberto chiede a Giuseppina di partire con lui ma Giuseppina rifiuta. Non se la sente di lasciare il padre vedovo, la sua terra, le sue radici. E prima di sposarsi brucia tutti i disegni, le poesie e i pensieri che Burri le aveva mandato durante la loro frequentazione.
Quest’ultima è solo una congettura di chi scrive l’articolo, ma non si può fare a meno di pensare che come accade spesso nelle fiabe e nelle leggende della tradizione popolare Alberto Burri abbia incontrato nel bosco una dama sua pari, venuta dal futuro eppure profondamente radicata nel presente, capace di parlare la sua lingua e di infondere nuova linfa vitale ad un mondo che si sta appena rialzando dal dramma della guerra.