Nicola Fano
Quello che Alemanno e Marino non sanno

Gli antenati del Valle

L'occupazione del teatro Valle ha un precedente storico illustre. Di maggiore intensità politica e di minore durata temporale. Capitò nel 1968 a Parigi, quando il Movimento prese il Théâtre de l’Odéon. Ma finì in un altro modo...

Le polemiche per l’occupazione (festosa) del teatro Valle di Roma hanno un precedente illustre: di maggiore intensità politica ma di minore durata temporale. Capitò nel 1968 a Parigi e a far da sfondo alle istanze rivoluzionarie di una generazione piena di punti interrogativi fu il Théâtre de l’Odéon. Una bella sala finesettecentesca, se la conoscete: in cima a una strada di librai antiquari e di bottegucce fanée. Ai piedi di rue de l’Odéon, poi, fino a qualche anno fa c’era un ristorante alsaziano da perdere la testa. Pare ci fosse anche nel Sessantotto.

Nel 1968 ero un ragazzino (non avevo dieci anni) ma per un sortilegio che non vi sto a dire andai a Parigi con i miei genitori. In automobile dall’Italia: era estate e mi ricordo abbastanza nitidamente solo la statua e la fontana davanti a Pont Saint-Michel dipinte di rosso e l’obelisco dello Châtelet con le piante intorno tutte strappate e le macchine che sfrecciavano in circolo come per non guardarlo così deturpato. Châtelet non mi piacque, mentre la fontana rossa mi parve molto divertente: ma mi ricordo che la zona alle spalle di quella fontana (verso boulevard Saint-Germain) era off limits: troppo pericoloso… Non ricordo, insomma, di essere arrivato fino al Théâtre de l’Odéon, quella volta. E forse fu un bene, come si vedrà. Ci andai, per la prima volta, nel 1984, per il debutto de L’illusion Comique di Corneille, la prima regìa di Strehler per il Théâtre de l’Europe. Ma questa è un’altra storia: il frastuono del Maggio s’era assopito e il ristorante alsaziano lì sotto era nel pieno dei suoi fasti.

Molti anni dopo, nel 2007, preparai a lungo un fortunato spettacolo su Garibaldi con Sergio Fantoni, il grande attore e regista, e Gioele Dix. Verso la fine del lavoro di preparazione Sergio mi lanciò una strana proposta: studia l’occupazione dell’Odéon nel Sessantotto, ché poi ne facciamo uno spettacolo. Assemblee aperte, intellettuali che amoreggiano, scrittori che recitano, attori che fanno politica e un finale a sorpresa, mi disse Sergio Fantoni. E aggiunse: “Lo facciamo al Valle, facciamo uscire gli attori dai palchi, come fosse una vera occupazione… il Valle è l’unico teatro che somiglia un po’ all’Odéon”. Chiedeteglielo, a Sergio, se non vi fidate! Mi disse proprio così e non sapeva di essere profetico. Ma poi mi disse anche come la vicenda sarebbe dovuta andare a finire, anzi come era andata a finire sul serio a Parigi, nell’estate del 1968: un apologo stupendo! A Fantoni non gliel’ho mai detto (il nostro progetto non ebbe futuro), ma studiai a lungo la storia dell’occupazione dell’Odéon: recuperai materiali e documenti in Francia, interrogai attori e storici, insomma ricostruii la vicenda che i francesi postumi (postumi al Sessantotto) hanno sempre taciuto con grande tenacia. Al punto che trovare documenti su quell’evento oggi è molti difficile (benché, comunque, ne esistano…).

barrault all'odeonAllora, vediamo un po’: direttore dell’Odéon era Jean-Louis Barrault (nella foto qui accanto, in assemblea), forse il più grande attore teatrale francese del Novecento. Fu lui ad acconsentire l’occupazione del “suo” teatro da parte degli studenti del Maggio Francese. Barrault era appoggiato (politicamente e culturalmente parlando) da André Malraux, grande intellettuale e all’epoca ministro della Cultura (in Francia succede che gli intellettuali abbiano anche responsabilità governative), quindi si considerava un ponte importante tra la rivolta e il governo di Georges Pompidou. Oltre a tutto quest’ultimo, a differenza del presidente De Gaulle, riteneva che gli studenti andassero assecondati e gestiti, non arrestati. La sua linea “morbida” ebbe successo soprattutto in occasione dell’occupazione dell’Odéon.

Perché, a meno di non voler paragonare Sartre e Barrault con Fausto Paravidino e Fabrizio Gifuni, bisogna anche dire che l’occupazione dell’Odèon fu una cosa seria. Breve e seria. Per un mese si alternarono tra la platea e il palcoscenico le migliori menti di Francia, impegnate in una sorta di dibattito permanente (dibattito culturale e politico). C’erano da ripensare i rapporti sociali, le regole delle relazioni generazionali, la struttura stessa della formazione e della definizione della nuova classe dirigente del Paese. I francesi si prendevano un po’ troppo sul serio, è vero: ma si ponevano problemi importanti, che andavano un po’ oltre il semplice cabotaggio della gestione di questo o quel teatro. Lì si supponeva di dover rifare la Francia; e con essa l’umanità intera. Che per i francesi coincide con la Francia.

Pompidou chiamò Malraux e gli chiese di intervenire per non far degenerare la situazione. Ma Malraux disse che Barrault orami era ingestibile e nelle mani dei rivoltosi. I quali avevano preso l’Odèon come il loro Hide Park Corner, come il luogo dell’assemblea e della progettazione permanente. Sennonché Pompidou chiamò il suo ministro dell’Interno Raymond Marcellin, fresco di nomina dopo il siluramento di Christian Fouchet che era stato letteralmente travolto dai primi moti. Marcellin chiamò il capo della polizia, Maurice Grimaud, anche lui fresco di nomina dopo l’allontanamento di Maurice Papon, e gli chiese di intervenire subito per interrompere l’occupazione dell’Odéon. Parallelamente Malraux chiamò Barrault e lo avvertì che la polizia stava preparando un blitz per liberare il teatro: fallo sgomberare prima che la situazione degeneri. Sembrava una partita a scacchi: qualcuno doveva cedere per primo. Non ho questo potere, disse Barrault. Forse, in cuor suo pensò che le rivoluzione non si fermano, che il bene comune non è un bene pubblico neanche se il pubblico non mette le cose in comune… forse. O forse no. Ma l’occupazione andò avanti e studenti, intellettuali, attori, professori, semplici cittadini continuarono ad affollare l’Odéon per parlare e ascoltare. E orinare e defecare: questo fu il problema.

odeon occupato2Perché poi, che cosa fece quel genio di Maurice Grimaud? Mica mandò, l’esercito, mica scatenò i media contro gli occupanti… no. Si limitò a interrompere la fornitura dell’acqua al Théâtre de l’Odéon. Non la corrente, perché gli occupanti avrebbero dovuto continuare a vedersi in faccia, ma l’acqua sì. E allora l’odore di merda inevasa dai (pochi) bagni del teatro cominciò a esondare dalle toilettes, invase prima i foyer settecenteschi, poi entrò prepotentemente nella sala, segnano di sé la meraviglia rivoluzionaria di studenti, scrittori e intellettuali. Divenne periglioso andare in bagno: tanto più periglioso per chi occupava il teatro ventiquattr’ore su ventiquattro. Per un po’ i locali pubblici fuori dal teatro (un piccolo ristorante, oggi sulla destra della facciata, carissimo!) ressero all’impatto di tante vesciche e tanti intestini irrequieti, ma alla fine la situazione esplose. L’occupazione piano piano lasciò il passo alla merda e entrare dentro all’Odéon divenne insostenibile; figuriamoci viverci dentro come per un mese avevano fatto i rivoluzionari del Sessantotto francese. Il teatro fu abbandonato in fretta, senza che un solo poliziotto dovesse intervenire in alcun modo. Ci vollero molti mesi perché la bonifica e il restauro fossero portati a termine. Molti. E Jean Louis Barrault perse il posto.

Può darsi che Alemanno sia un ignorante, ma se Ignazio Marino o Flavia Barca conoscessero la storia o avessero dei buoni consulenti…

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