Leone Piccioni
Némirovsky racconta Cechov

Morire bevendo champagne

L'autore del “Giardino dei ciliegi” si spense in una calda notte di luglio con una coppa in mano... Ce lo descrive la scrittrice ucraina nella biografia dedicata al grande scrittore: un'analisi della letteratura russa dove si riflette anche su Tolstoj

Irène Némirovsky ha scritto una vita di Anton Cechov uscita in Italia qualche mese fa presso l’editore Castelvecchi nella traduzione di Monica Capitani (La vita di Cechov, 192 pagine, 17,50 euro). Cechov era nato ai primi di gennaio del 1860 a Taganrog, città portuale costruita sul Mar d’Azov: polverosa d’estate, fangosa d’inverno. Fu una città mercantile al tempo di Pietro il Grande, poi decaduta e rovinata dalla costruzione di una ferrovia che collegava Taganrog a Rostov sul Don. Il padre fu un commerciante molto prepotente e molto religioso. Picchiava la moglie e i figli ma voleva per loro un’educazione intensamente religiosa. Aveva una drogheria, un’erboristeria e una merceria che talvolta lasciava in custodia ai figli. Anton aveva due fratelli, Sasa e Nicolaj, quest’ultimo molto dotato per il disegno. Il padre imponeva lunghe soste in chiesa ai figli e aveva creato con loro un coretto che si esibiva in canti religiosi: anche in piena notte secondo le varie liturgie. Fin dall’adolescenza Anton e Nicolaj facevano un piccolo giornale con racconti dell’uno e disegni dell’altro.

CECHOV Cover DEF_Layout 1Ci fu poi il trasferimento a Mosca in gravi difficoltà economiche. Anton aveva diciannove anni: si è iscritto alla facoltà di medicina, collabora con qualche giornaletto, pubblicazioni effimere che stentavano a pubblicare e difficilmente pagavano. Anton collaborava a uno di questi giornali intitolato Schegge. Piano piano Cechov si fa strada. Per qualche anno ama e imita il grande Tolstoj. Eppure «è impossibile immaginare due nature più diverse l’una dall’altra: Tolstoj è fatto di passione, di sublime caparbietà; Cechov è scettico e distaccato. Uno brucia come una fiamma, l’altro illumina il mondo esterno con una luce fredda e dolce. Il gran signore idealizzava gli umili; il plebeo Cechov aveva troppo sofferto per provare per loro qualcosa di diverso da una lucida compassione. Tolstoj disprezzava l’eleganza, il lusso, la scienza, l’arte. Cechov amava tutte quelle cose» e soprattutto restava il fatto che Tolstoj era credente e Cechov no. Già nel 1889 Cechov si distacca dalla dottrina di Tolstoj: i racconti da lui scritti in quell’epoca sono i più fiacchi che abbia mai scritto.

Malgrado la sua malattia (Cechov era tisico), nel 1890 lo scrittore organizza un grande viaggio che lo porta all’isola di Sachalin per poi tornare attraverso l’Europa e Shanghai, Manila, Singapore, Costantinopoli. Si entusiasma a Venezia, rimane piuttosto freddo a Roma, Firenze e Napoli. Gli piace Parigi e gli piacciono i francesi. La produzione di racconti di Cechov è al suo massimo. Avrà molta influenza su scrittori importanti e particolarmente – come sottolinea la Némirovsky – su Katherin Mansfield.

Ma è ora di pensare al suo capolavoro: il teatro. Il Gabbiano (un fiasco a Mosca, un successo a Pietrogrado: un andamento che si ritrova), Zio Vanja, Le tre sorelle, Il giardino dei ciliegi tengono ovunque il cartellone fino a quando di questo imponente repertorio si occupa la scuola drammatica di Stanislavskij. Naturalmente Cechov ha rapporti con gli artisti e con le attrici: s’innamora di Olga Knipp, che conosce quando è ancora impegnata in parti minori ma che rapidamente sale ai primi ruoli delle rappresentazioni. Cechov è ricambiato ma la malattia va avanti e cresce. Per trovare un clima più benefico si trasferisce in Crimea. Olga passa qualche tempo con lui ma è sempre richiamata dagli impegni di teatro a Mosca. Lei vuole sposarsi e Cechov resiste. Acconsente poi a patto che la cerimonia si svolga in assoluta solitudine: solo i testimoni, neanche i parenti.

Quando Cechov morì l’albergo della Crimea «era pieno di gente, ma tutti dormivano e la moglie di Cechov si sentì più abbandonata e ancora più sola in mezzo a quella folla indifferente… Era una calda notte di luglio. Olga fece venire lo champagne; Cechov disse a voce alta al dottore. “Muoio”. Poi prese la coppa, sorrise con il suo sorriso meraviglioso e disse. «È tanto che non bevo champagne”».

 

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