In memoria di Zygmunt Bauman
Bauman, desideri liquidi
In tempi di social, “essere sentimentalmente connessi” è meno costoso che “essere sentimentalmente impegnati”. Una maniera tutta moderna per camuffare la paura ancestrale del legame stabile e un atavico egoismo. Lo spiegava bene il grande sociologo polacco appena scomparso
Con tutto il rispetto, la metafora di Zygmunt Bauman (l’illustre sociologo appena scomparso) sull’Amore liquido è una versione edulcorata del reale stato dei sentimenti moderni. Sarebbe più corretto dire Amore gassoso. Gabriel García Márquez, invece, da buon romanziere distratto, ha semplicemente invertito i termini in questione: al posto de L’amore ai tempi del colera, sarebbe stato più incisivo un Il colera ai tempi dell’amore. Miguel Benasayag e Gérard Schmit, poi, avrebbero fatto meglio a mutare il nome del loro famoso saggio L’epoca delle passioni tristi in La passione dell’epoca triste, così come Michel Foucault ci avrebbe azzeccato molto nello scrivere una Sessualità della storia piuttosto che una Storia della sessualità.
A prima vista, questi falsi rimproveri sembrano solo sarcastiche vendette dal sapore schopehaueriano, ma comunque sono dotati di un’ironia amara quanto veritiera. Ritornando al gas e ai suoi derivati, il compianto Bauman – nel meraviglioso saggio Sulla fragilità dei legami affettivi (sottotitolo dell’Amore liquido, edito da Laterza, ndr) – dichiarava: «Sembra che la conseguenza più feconda della prossimità virtuale sia la separazione tra comunicazione e relazione. Diversamente dalla prossimità topografica vecchio stile, essa non richiede che i legami siano già stabiliti, né ha come conseguenza necessaria di stabilirli. “Essere connessi” è meno costoso che “essere sentimentalmente impegnati”, ma anche considerevolmente meno produttivo in termini di costruzione e preservazione di legami». Secondo il sociologo la “connessione”, tipica dei social-network, degli smartphone, degli iPad, era la maniera (tutta moderna) per camuffare la paura ancestrale del legame stabile e quelle tare di inadeguato egoismo di cui è vittima qualsiasi persona solchi la faccia della Terra.
In un’intervista del 20 novembre 2012 a La Repubblica Bauman sottolineava la difficoltà dell’aspetto razionale nell’amore dei giovani d’oggi, allacciati sempre di più alla totale soppressione della routine per acquisire una felicità apparente e baggiana, il mito creato dai mercati: la novità a ogni costo. Il prezzo di questo “usa-e-getta felice” è la spaventosa fragilità dei legami che si traduce in irrazionale instabilità e in tentazione della tentazione, un termine filosofico coniato da Emmanuel Lévinas e ripreso sapientemente dall’intellettuale polacco appena scomparso. Detto in soldoni, alla gente non interessa tanto l’oggetto della tentazione quanto l’esser tentati dalla tentazione stessa in modo da uscire, appunto, dalla noiosa routine d’affetto per provare l’ebbrezza di essere vivi e amati («il desiderio di emozioni»). Questa diviene, allora, la suprema illusione di una libertà mascherata che lede lo stabile e scaraventa i rapporti in un’immeritata relazione di facciata, logora e sorda. Senza contare, poi, la beffa di produrre soltanto una nuova routine, non meno difficoltosa della prima.
Entro queste relazioni si cela, in realtà, un baratro di solitudine e incomunicabilità difficilmente recuperabile, vieppiù se gli amanti, obnubilati dal senso di realizzazione di sé, non si curano di coltivare il rapporto con l’altro, che agli occhi si deforma immancabilmente in straniero, alieno, nemico. A un quadro già così complesso si aggiunge l’altra illusione, quella dell’amore-per-la-vita, l’uomo/la donna-giusto/a, il “fantoccio azzurro” (più che principe), capace di vivere senza nemmeno respirare, perché a forza di idealizzarlo e asciugarlo d’isteriche correzioni mentali lo si è svuotato di ogni caratteristica umana, buona o cattiva che sia.
Questo fa sì che l’amore, per una strana modificazione chimico-fisica, dallo stato solido raggiunga direttamente lo stato gassoso: un’evaporazione tossica e sfumata ancor prima di cominciare, ancor prima di convertirsi in “liquidità”. Bauman ci ha insegnato, invece, a “faticare” più che a “provare”, a persistere nell’amicizia offline, anziché in quella online, dove con un pulsante si può mettere fuori gioco l’esistenza di qualcuno che ha smesso di piacerci. «Oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l’altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l’amore. Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana». La fatica dell’amore, l’impegno quotidiano, la costanza di un lavoro oltre che di un sentimento, e la ricchezza che ne deriva non sono icone di impossibilità icastica, ma la scelta che ognuno di noi è chiamato a fare. Quella che Bauman chiamava la “scelta giusta”.