Dalla rivolta alla violenza
La tragedia del ’77
Uno spettacolo di Francesca Pirani e Eugenia Scotti mette in fila una serie di storie nate nel cuore dell'Autonomia. Per capire come dalla voglia di libertà si sia passati alla lotta armata. Un ammonimento anche per oggi?
“’77. La rivoluzione è finita. Abbiamo vinto” Così titolava il numero di giugno di A/traverso, la rivista dell’ala creativa dell’autonomia bolognese prima che la conclusione del grande convegno di settembre sancisse la fine di tutte le speranze che il movimento portava con sé. Da questo trae ispirazione il titolo dello spettacolo messo in scena da Francesca Pirani e da Eugenia Scotti. Consapevoli del fatto che dopo quella fiammata creativa che aveva acceso le speranze di un futuro in cui ribellione, antagonismo, desiderio, sogni e fantasia si erano scontrati contro le logiche razionali dei padri e il fanatismo delle ideologie, le due autrici, di cui una, Eugenia Scotti insieme a tutti gli attori all’epoca non era ancora nata, si pongono l’interrogativo di come mai nell’arco di pochi mesi quella rivolta nasce e muore. Francesca Pirani anima dello spettacolo ha lavorato al soggetto e alla sceneggiatura per diversi anni per farne un film in cui il teatro sarebbe stato uno degli elementi narrativi, “perché in quell’anno il teatro insieme alle radio libere, era uno dei pochi posti dove si cercava di raccontare qualcosa mentre fuori si sparava” afferma la regista.
Così traendo ispirazione dalle lettere che in quell’anno furono scritte da molti giovani al quotidiano Lotta Continua assieme a Francesca Angeli ne ha fatto una sceneggiatura teatrale. Alla domanda se il tema era quello della rivolta perché ha scelto il ’77 e non il ’68, la regista risponde: “Perché quell’anno è stato decisamente più tragico del ’68 e perché il ’77 è un fenomeno tutto italiano mentre il ’68 è stata un’ondata europea, mondiale. Così questo era un modo per parlare di questo paese e fare i conti con problemi ancora oggi irrisolti. Il ’77 registra caratteristiche particolari e tutte italiane tra cui la disaffezione alla politica, lo scontro con il Partito Comunista, l’arrivo delle droghe pesanti, la lotta armata. C’e una disperazione diversa, psichica”.
“Come è possibile – si chiedono le autrici – che un’area non trascurabile di ragazzi poco più che ventenni si sia trasformata in una banda di demoni dostoevskiani? Come è potuto accadere che l’hashish e la marijuana siano state spazzate via da un fiume d’eroina? Le domande a cui non fu offerta alcuna risposta, la sete di fantasia e di libertà che non trovarono sorgenti ma pozzi avvelenati, impedirono la nascita di un’identità nuova, ancor peggio produssero molte catastrofi sorde, i cui pezzi schizzarono in centro direzioni”. Riecheggiando storie e personaggi di Turgenev, Camus e Dostoevskij il testo sul movimento del ’77 passa senza soluzione di continuità dalle vicende dei giovani terroristi russi a quelle di un gruppo di studenti che sta per passare alla clandestinità, facendo confluire l’uno nell’altro livelli linguistici e temporali differenti. Unici elementi scenografici un tavolo e un materasso che collegano tre diversi piani narrativi: 1) l’incontro al buio tra un ragazzo e una ragazza che decidono di non rivelare la propria identità; la ragazza sta per passare alla clandestinità e questa è la sua ultima notte di libertà; 2) attraverso le relazioni di un gruppo di studenti in un appartamento emergono le diverse anime del movimento, le contraddizioni interne, le dinamiche umane e il confronto con il grande tema della violenza; 3) due scene ispirate alle tematiche nichiliste di metà ottocento tratte da I giusti di Camus riportano in primo piano tematiche ancora irrisolte nel ’77 tra cui appunto l’uso della violenza. E a proposito di questo tema un dialogo, tra gli altri, esemplifica lo spirito dei tempi: ad una ragazza che rivolgendosi al più violento degli studenti del movimento afferma “mi fai venire l’angoscia” il giovane risponde citando Kirkegaard “l’angoscia è la vertigine della libertà”. Allo stesso tempo il lavoro teatrale delle due registe oltre a permettere un confronto con i padri da parte delle giovani generazioni cerca di ridisegnare gli slanci irrisolti e le speranze frustrate di ventenni che hanno creduto che l’assalto al cielo fosse intriso di violenza.