Il caos della banca toscana come un romanzo
Un Monte di guai
Catastrofismo, sensazionalismo, un buco nero? Forse, per Monte dei Paschi di Siena il peggio è passato. Gli azionisti curano le ferite, i correntisti rialzano la testa e lo Stato ci "guadagna" gli interessi sul prestito-monstre. Controstoria di una favola italiana
Ci sono due modi per leggere il bilancio presentato questa settimana da parte della più antica banca del mondo: c’è il catastrofismo e il sensazionalismo, giustificato dall’apprendere che la mala gestio del precedente management ha portato un rosso di oltre 3 miliardi di euro. Non basta: i derivati che rimangono in pancia a Mps sono più di 38 miliardi, il che significa che se dovessero verificarsi nuovi scossoni borsistici, l’istituto senese rischierebbe di precipitare in un gorgo ancora più nero di quello in cui già adesso si trova. Ma c’è di più: se oggi un ipotetico (e assai improbabile) compratore decidesse di acquistare il 100% del capitale della banca senese, potrebbe portarselo a casa con meno di 2 miliardi di euro. Una cifra che, per il terzo istituto di credito italiano, appare quantomeno ridicola. Il punto è che gli anni “allegri” pre-crisi – in cui si acquistava Antonveneta per una cifra folle e si nascondevano le perdite attraverso quella finanza creativa che è una delle cause principali della recessione mondiale che ancora continua a farci dormire sonni poco tranquilli – sono un fardello talmente pesante che per essere definitivamente abbandonato ci sarà bisogno di tempo e, soprattutto, di una congiuntura economica ben più favorevole di quella che attualmente stiamo vivendo. Quindi, c’è ben poco da imputare, almeno per ora, al tandem Alessandro Profumo-Fabrizio Viola che sta faticosamente cercando di ridare lustro alla banca ormai decaduta.
Ma, dicevo, c’è anche un modo un poco meno drammatico di leggere la vicenda Mps. Dal momento che l’istituto di credito senese è sotto i riflettori delle varie autorità, da Bankitalia all’Abi, passando per la Consob e senza dimenticare la Guardia di Finanza che spesso e volentieri si palesa nella sede di Rocca Salimbeni, possiamo sbilanciarci a dire, senza tema o quasi di venire smentiti, che tutto il marcio che doveva venire a galla è ormai affiorato e che, di conseguenza, ora si può ricominciare una politica economica che sarà estremamente faticosa e che, soprattutto, non potrà che fondarsi su qualche dolorosa rinuncia. Ma che porterà, in tempi ragionevoli, a un risanamento del gruppo e a un suo ritorno tra le banche “affidabili”, anche per le agenzie di rating.
D’altronde, l’intero sistema bancario italiano, complici le norme più stringenti che entreranno in vigore il prossimo anno con le regole di Basilea 3, dovrà necessariamente “darsi una sistemata”, riorganizzandosi ed eliminando sprechi. Ma, estendendo ulteriormente il discorso, sarebbe bene che iniziasse anche a capire “che cosa vuole fare da grande”. Che l’alta finanza sia un terreno pericoloso e accidentato è un dato di fatto certificato dagli sconquassi che ancora adesso stiamo patendo. Forse, sarebbe meglio che le banche ritornassero a fare…le banche, a concedere maggiori aperture di credito nei confronti di aziende e famiglie che stanno soffocando. Perché se è vero, e lo è senz’altro, che il sistema degli istituti di credito ha fin qui retto piuttosto bene, non dovendo ricorrere, salvo rare eccezioni, ad interventi diretti dello Stato come accaduto in altri paesi, è anche vero che l’eccessivo rigore con cui le banche (non) concedono prestiti sta diventando un problema serio per un’economia asfittica come quella italiana, che rischia ogni giorno di più di morire non tanto per dei fondamentali poco solidi, ma per carenza di liquidità. Un problema di cui la politica, se esistesse ancora, dovrebbe preoccuparsi, invece che scannarsi su questioni che hanno ben poca attinenza con la vita reale. Utopia?