Nella ricorrenza della Pasqua
Tra incarnazione e resurrezione
I due poli del processo salvifico e il dono del tempo. Attraverso cui Dio offre all'uomo, la sua creatura privilegiata, uno spazio di autonomia nel quale realizzare la sua libertà in un rapporto dialettico con Lui
La tradizione cattolica ha finito, senza che sia mai stata presa una decisione consapevole, per privilegiare la festività del Natale rispetto a quella della Pasqua. È il senso che si cela nell’adagio “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, che consegna alla famiglia e quindi agli affetti più profondi la prima occasione e a una distrazione immaginata a una temperatura emotiva più bassa la seconda. La sensibilità della Chiesa ortodossa è stata diversa e ha maturato un atteggiamento opposto.
Al fondo però tutti riconoscono che non ha senso contrapporre le due ricorrenze liturgiche in una sorta di competizione, immaginando che una debba prevalere sull’altra, magari assumendo l’habitus mentale di una tifoseria che parteggia per questa o per quella celebrazione, riconoscendone un carattere identitario. Piuttosto può risultare utile riflettere, in occasione della Pasqua, sulla ricchezza dell’offerta liturgica complessiva e sul fatto che ben difficilmente una ricorrenza può essere vissuta con profitto spirituale senza che una contemplazione allargata comprenda anche l’altra.
L’esistenza stessa dell’anno liturgico, la sua proposta ai fedeli, l’organizzazione della vita della Chiesa, o delle chiese, su base temporale diventano allora spunti di meditazione, di approfondimento testuale, di comparazione fra prospettive diverse nelle tradizioni evangeliche. Il tempo può essere considerato la gabbia nella quale noi uomini ci troviamo rinchiusi oppure il grande dono di Dio per offrire alla sua creatura privilegiata uno spazio di autonomia, per mettere davanti al proprio volto quel velo del quale parlano così spesso le scritture, che crea la libertà dell’uomo e rende possibile un suo rapporto non esaurito nella necessità, e quindi dialettico con Dio.
Proprio la nostra percezione del tempo, sulla cui oggettività fisica e teologia concordano nel metterci in guardia, allontana l’evento dell’incarnazione da quello della resurrezione, le due facce del processo salvifico attuato da Dio, che crea l’uomo e lo salva prima e fuori dal tempo, dimensione non vincolante ma solo strumentale per l’Onnipotente. Contemplare e ricordare nella liturgia la vita di Gesù Cristo sulla terra, tesa tra i due poli della nascita e della resurrezione, acquisisce sotto questa luce un significato complesso, che sottolinea l’aspetto decisivo dell’incontro fra Dio e l’uomo e delle modalità scelte da Lui per la sua realizzazione. Nella nascita e nella resurrezione di Cristo si realizza il mistero dell’incarnazione, di Dio che si abbassa all’altezza della sua creatura per abbracciarla, fisicamente, e per creare con lei un rapporto paritario, amicale, non violento, privo di imposizioni. Accettando anzi che la violenza insita nello squilibrio esistente fra i due poli del rapporto cambi di segno, scaricandosi sul creatore anziché sulla creatura, rovesciando la tradizione classica delle divinità pagane che perseguitano l’uomo per punirlo delle sue colpe. Al contrario il Dio del cristianesimo accoglie su di sé ogni incompatibilità, ogni colpa e ogni inadeguatezza, e accetta di morire Lui per tutti, perfino di essere ucciso dall’uomo che è venuto a incontrare e salvare.
La liturgia distribuisce nel tempo, nel corso ciclico dell’anno, la vicenda unica della creazione dell’umanità e della sua salvezza, solidale con quella dell’intero cosmo come suggerisce san Paolo nella lettera ai Romani. Ma di questa compattezza fondamentale degli eventi, dell’illusorietà del tempo, la liturgia non è affatto inconsapevole, tanto che nella messa della mattina della domenica di Pasqua si legge l’incipit del vangelo di Giovanni, che in poche righe di testo proclama il senso unitario della vita terrena di Cristo: «In principio era in Verbo», «tutte le cose sono state fatte per mezzo di Lui», «il verbo si è fatto carne e abitò tra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria». La salvezza dell’uomo e del creato è già compiuta, prima dell’inizio dei tempi, è insita nella creazione stessa.