Ritratto del grande regista scomparso
Ricordo di Jerome Savary
Omaggio a Jérôme Savary, creatore del “Grand Magic Circus”. Un artista di talento; vulcanico e geniale anche quando annegava la creatività nella confusione
A Parigi, ieri, è morto l’attore e regista teatrale francese (di origine argentina) Jérôme Savary. Aveva settant’anni. Dal 1968, quando venne in Europa, fino all’ultimo (malgrado la malattia che lo aveva colpito), il suo nome era sinonimo di follia teatrale, di esuberanza scenica: non c’era verso di evitare di stupirsi di fronte a un suo spettacolo. Tutto il teatro europeo, oggi, piange un vero e proprio maestro, al di là del suo stesso modo d’essere alla mano, del tutto contrario alla definizione stessa di “maestro”.
Oggi è prassi allestire musical di qualunque genere: in Italia (ma non solo) spesso capita che siano per lo più miseri, provinciali o privi di idee. Ma venti, trenta, quarant’anni fa il musical era un tabù. Come confrontarsi con la ricchezza degli americani? Come misurarsi con la straordinaria professionalità creativa dei suoi autori di storie, dei suoi poeti, dei suoi compositori? Jérôme Savary – forse forte della sua provenienza argentina – sfidò il tabù e costruì piano piano la sua strada al musical. Una strada che al rigore della scrittura preferiva la follia dell’allestimento. Lo sfarzo ricco degli americani fece spazio a quello creativo dei colori, all’ironia delle piume e delle paillettes. L’operazione di Savary ebbe qualcosa in comune (lui lo aveva capito quand’era venuto a lavorare qui da noi) con l’avventura dei fratelli Schwarz in Italia negli anni Trenta: l’uso, moderato, della ricchezza scenica traeva senso del suo occhieggiare all’esotismo. Insomma, per Savary come per le riviste dei fratelli Schwarz quel che contava era la capacità di evocare illusioni.
Savary, sfrontato e folle com’era, non si fermò nemmeno di fronte al confronto diretto con il musical americano. Tra il 1988 e il 1990 rifece in teatro Cabaret e Metropolis, mise in scena le masse della Rivoluzione francese. Ma si misurò anche con i classici: il suo Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare, per chi l’ha visto, rappresenta una pietra miliare della spettacolarità di quegli anni. Quando poi mise in scena Asterix il gallico in qualche misura superò se stesso, perché impose l’autoironia ai francesi…
Il fenomeno-Savary con il suo Grand Magic Circus (la forza creativa della cultura circense Savary la scoprì prima di Victoria Chapiln in Francia o del Cirque du Soleil, e non solo prima ma in modo molto più fecondo e autentico di Giorgio Barberio Corsetti, molti anni dopo, qui in Italia) fu una vera rivoluzione d’energia in tutta Europa. E fioccarono le opportunità (un Cherubini allestito alla Scala) e gli incarichi (prima al Teatro Nazionale di Chaillot poi all’Opera-Comique).
Savary, fino alla fine ha sempre garantito due privilegi ai suoi spettatori: il gusto di perdersi in un’energia creativa magari scomposta, ma sempre travolgente; e la possibilità di farsi ogni volta sorprendere da un colore, da un gesto, da un’allusione. E questo, in fondo, è il teatro. O almeno dovrebbe esserlo.