Il nuovo libro di versi di Roberto Deidier
Tempo e arte
Un bestiario, lo sguardo sulla natura, immagini, memorie, dediche d’occasione, il moto del sentimento domestico, le stagioni che finiscono… Un “mosaico” di liriche con una «coerenza architettonica dell’insieme» che disegna un itinerario di emozioni e rivelazioni spesso struggenti
È Anna Maria Ortese a ispirare il titolo del nuovo libro di versi di Roberto Deidier Quest’anno il lupo fissa negli occhi l’uomo, pubblicato, per i tipi di Molesini Editore (Venezia 2025), con un saggio Sostenendo lo sguardo: per una poetica dell’anticipo di Marco Carmello. Ma ecco, in esergo della prefazione, una citazione da Etymologiae di Isidoro da Siviglia, Hisidorus Hispalensis, rammentare che lo sguardo del lupo può fare ammutolire, ridurre al silenzio. Non così nel trittico Tre canzonette per il lupo, dove la parola del poeta non si arrende all’immobilità, si fa motore di vita:
Si dice, quando il lupo ti assale,
Che puoi salvarti nell’immobilità
Quasi confondendoti alla terra,
Provando a fingere la morte.
Ma non riesco a imitarla.
Mi metto a ringhiare, faccio il lupo
E a quel punto il lupo si allontana
O gli volto le spalle e vado via.
Altri animali entrano nel bestiario di Roberto Deidier: una tigre ripresa in traduzione da William Blake («Tigre, tigre, abbagli e bruci/ le foreste della notte»), figura di «fiera simmetria» e di bellezza; un coniglio reinventato in Primarosa dall’autrice il cui nome è nel titolo; La volpe, il cinghiale, il serpente, lo scoiattolo incontrati «nell’assalto del verde» di un bosco di lecci da Giulia Napoleone e fermati come «simbolo di spietata tenerezza». All’artista amica la lirica è dedicata, ma con lei il dialogo poetico continua anche con l’Orsa in fuga sul Grande Carro, rivelando l’importanza per Deidier del rapporto con l’arte, la quale nutre e crea un tessuto vario d’immagini, che la parola poetica disegna e vivifica. Esemplari le quattro poesie composte per Primarosa Cesarini Sforza, Palazzo Abatelli, Si dice che Lucifero osservando, Alba estiva di latte e di fornace, Come settembre ai suoi ultimi giorni ma perfetta ecfrasi anche Antonio Donghi, Gita in barca, intrisa di memorie classiche.
“Mosaico”, definisce l’autore questa sua raccolta di liriche o dediche d’occasione, ma giustamente nel saggio introduttivo si sottolinea la coerenza architettonica dell’insieme. È innanzitutto lo sguardo sulla natura, che fa affiorare momenti poetici di grande intensità tanto da trasformare l’interno di una casa in un giardino segreto (Tra i muri di una casa l’universo); una piazza, con metafora ardita, in «un lago / Increspato d’onde umane» (la piazza è un lago); un cammino «su per il crinale /Fino alla cima» in un’apertura di cielo per la felicità dell’amicizia (Verso Fatuzza, con Belinda); i campi arati nella ricchezza dell’«oro delle spighe» (Pensando ai classici che ama). E se il discorso poetico si avvale di un realismo domestico, il moto del sentimento lo sposta in una direzione più alta, in una commozione rattenuta per essenzialità di scrittura, ma non meno ardente. Così un abbandono modifica gli oggetti di I piccoli oggetti sparsi per la casa, «segnali brevi di passi dislocati», di geografie domestiche mutate, fino all’explicit definitivo: «Nulla è più al suo posto. Adesso».
È il tempo che si consuma a rendere struggenti molte situazioni poetiche e a far emergere ombre segrete pur in un delicato interno amoroso: «Nel cuore come batte il tuo cuore / E allora addestro il respiro al tuo. / Così distraggo il tempo che ci assedia / E invento il nostro tempo fino al sonno» (La sera, davanti al televisore). Allo stesso modo la meteorologia detta titoli e versi che parlano di stagioni che finiscono (Altra fine d’estate, Come settembre ai suoi ultimi giorni), di tramonti o albe, del «muro dell’estate» e di «lame del pomeriggio» (Tre stadi), mentre una riflessione svuota la realtà di ogni senso o principio, annulla i pensieri (Come il senso, alla fin, torna al nulla) lasciando emergere la forza del verso, che può trasformare un luogo in un itinerario di emozioni e di rivelazione: «La serranda abbassata la strada soffia ancora/Anche se è tardi e il condominio/ Si sgretola nel sonno impiegatizio []…nessuno mi guarda, non sono più/ Dove annaspavo a vent’anni ma in un mare / Più ampio // e dopo ce n’è un altro» (Invece di una poesia d’amore). Un inverno «incantato» ci sorprende infine da una lirica di gusto popolaresco, appartenente alle Calascionate nella lingua del padre, scritte, confessa l’autore, in un napoletano inventato, riprendendo un’antica tradizione musicale. Tra queste un’esortazione all’anima, Anima stanca, ‘nfusa, affatecata (Anima stanca, sudata, affaticata) sul tema d’amore, assai presente nei versi, ci riporta all’«Anima sempre sola, smarrita / In questo immenso giardino dei giorni» del Notturno d’Adriano, in cui la memoria poetica tra Yourcenar e Penna s’incontra con il desiderio illusorio di fermare nella giovinezza il fluire del tempo.
(Nelle immagini: Antonio Donghi, “Gita in barca”, particolare; Roberto Deidier © Carla Morselli)


