La testa a tavola
Castelli di vino
Storia (controversa) del vino dei Castelli romani: dall'Antica Roma a oggi, una vicenda fatta di sperimentazione, gusto e commercio. Fino alla nomina di Frascati "città del vino" 2025
Frascati città del vino 2025. A conferire tale titolo al capoluogo dei Castelli Romani, dodici realtà che sorgono sulla grande caldara della zona di Albano, vulcano quiescente ma ancora attivo, che conferisce il terroir ideale per la viticoltura, l’Associazione Nazionale Città del Vino, associazione istituita a Siena nel 1987. In tale occasione la rivista il Gambero Rosso ha auspicato che tale riconoscimento sia una buona occasione perché i produttori del vino laziale riescano finalmente a sconfiggere quella nomea che il vino “de li castelli” ha da decenni: il vino da “fraschetta”.
In effetti per anni, soprattutto nel secondo dopoguerra, la grande capacità produttiva dei vigneti dei Castelli è stata improntata sulla quantità più che sulla qualità. Una realtà comune a quasi tutte le regioni. Il vino è sempre stato considerato un alimento più che una bevanda e tutt’oggi definirlo una bevanda tout-court risulta improprio se non limitante.
La realtà è che negli anni ’70 e ’80 alcune regioni compresero l’importanza di una produzione di qualità, non elitaria, ma distinguibile. Non è un caso che il Piemonte abbia 19 Docg, il Veneto 14, la Toscana 11. Il Lazio ne ha solo 3. Tante Doc ma solo 3 Docg. Due dei Castelli: il Frascati Superiore Docg e il Cannellino di Frascati, un vino dolce.
Rappresenta quasi un paradosso se pensiamo quanto i Romani antichi abbiano influito nella conoscenza del vino e del suo affinamento. La coltivazione della vite ha origini in Oriente e nella nostra penisola furono i greci ad introdurre la produzione di vino, gli etruschi furono i primi ad affinarla, ma si deve ai Romani la produzione di vino in Europa: furono loro a portare le viti a Bordeaux, sulla Loira, in Borgogna, come ci ricorda l’autore dell’Atlante del Vino, Hugh Johnson. E sempre ai romani va attribuito l’uso della botte di legno. E il vino sapeva invecchiare: Hugh Johnson ci ricorda di come il «pregiatissimo Opimiano (dall’anno del consolato di Lucius Opimius, 121 A.C.) si bevesse ancora dopo 125 anni di invecchiamento».
E in effetti Roma è caratterizzata nella sua storia dalle vigne. Basta guardare la mappa della Capitale: Vigna Clara, Vigna Murata, Via delle Vigne etc… La vite veniva coltivata anche dove erano i palazzi del potere dell’antica Roma, il Palatino. Quel vigneto è tornato produttivo e affidato alle cure del consorzio di Cori su volontà del Parco Archeologico, ovviamente non a fini commerciali. E non c’è soluzione di continuità tra Roma e i Castelli. Ovviamente la produzione si è spostata fuori dalla città, ma a cominciare dal Parco dell’Appia Antica.
Oggi la realtà del vino del Lazio si è modificata. Per il contributo delle nuove generazioni, ma anche e soprattutto per il contributo di molte donne imprenditrici. E il “Frascati” di pronta beva, quello che ci aspettiamo culturalmente, si accompagna oggi a Frascati invecchiati, da apprezzarsi dopo oltre un decennio di affinamento. “Frascati Città del Vino 2025” e le diverse iniziative che caratterizzeranno i Castelli Romani e non solo, durante questo anno, saranno l’occasione per prenderne coscienza.
L’immagine è di Roberto Cavallini.


