Carlangelo Mauro
La fine di un'èra

Lo strappo occidentale

La scena obbrobriosa dell'aggressione Usa a Zelensky, alla quale il mondo ha assistito in diretta, ha cambiato l'Occidente. Ne parliamo con lo storico Marcello Flores

“Una grande pagina di televisione”. Così Trump alla fine dello scontro con Zelensky nello studio ovale, pieno zeppo di giornalisti (qualcuno interessato più all’abito di Zelensky che alle sorti del conflitto). In effetti è sembrato, appunto, uno show preparato per mettere in difficoltà il Presidente ucraino che ha mostrato ad un Trump completamente impassibile le foto delle vittime delle torture e dei crimini russi. Il Presidente americano e il suo vice, Vance, non hanno risparmiato colpi all’ospite, chiedendo “rispetto” verso gli Stati Uniti. In pratica, gli hanno chiesto di firmare un accordo sulle terre rare ucraine senza garanzie di protezione e di sicurezza per la nazione invasa, dopo che Zelensky aveva fatto l’elenco delle volte in cui Putin non ha rispettato i patti. Gli Usa, che con Biden avevano sostenuto l’Ucraina fornendo denaro in in armi dai propri depositi e in aiuti ‒ non certo le somme che Trump chiede indietro con interessi esosi ‒ sembrano ora più vicini a Mosca, come testimonia il voto insieme alla Russia all’ONU contro la risoluzione di Kiev che condannava l’invasione. Peskov, d’altra parte, ha dichiarato che la nuova politica estera americana “coincide in gran parte” con la nostra.

Intanto 16 Paesi euroatlantici, oltre a Nato e Unione europea, si sono riuniti per discutere di Ucraina e di sicurezza europea a Londra, in videoconferenza con i Paesi Baltici. Oltre che ribadire la vicinanza all’Ucraina ­‒ Zelensky è stato ricevuto da re Carlo ‒ Starmer ha dichiarato che gli Usa sono indispensabili per un piano europeo che comporti una pace giusta e annunciato che Inghilterra e Francia lavoreranno, con l’assenso del Presidente ucraino a un piano di pace da presentare a Trump. L’appuntamento ora è il 6 marzo per un Consiglio straordinario europeo.

A tre anni dell’invasione della Russia dell’Ucraina, abbiamo rivolto alcune domande su questa fase, ancora confusa, allo storico Marcello Flores, che ha insegnato Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Univ. di Siena.

Professor Marcello Flores, lei è membro di Memorial Italia, associazione che ha curato, con il suo coordinamento, una documentata trilogia in tre volumi di vari studiosi sulla guerra di Putin (uscita con il “Corriere della Sera” nel 2022-2023). “L’assedio alla democrazia”, per citare il titolo del primo, è cominciato tre anni fa, il 24 febbraio, ed è tuttora in corso. Spesso si è ripetuto sui social e in televisione  ̶  ho sentito ad esempio il professor Canfora intervistato da Augias qualche giorno fa  ̶  che gli accordi di Istanbul del 2022 avrebbero potuto garantire la pace già allora, ma fu Boris Johnson a sabotarli…

La guerra in Ucraina, cioè l’aggressione della Russia all’Ucraina nel febbraio 2022, ha suscitato fin dall’inizio, oltre a indignazione e proteste, una logica di «giustificazione» che è stata portata avanti, nel disprezzo della verità fattuale, da numerosi intellettuali, giornalisti, presunti esperti di geopolitica e di relazioni internazionali. L’elenco sarebbe troppo lungo, e in gran parte lo ritroviamo oggi tra coloro che, pur magari criticando la rozzezza e l’arroganza di Trump, imputano a Zelensky di «non voler» fare la pace. Le principali «giustificazioni» utilizzate per scusare, almeno in parte, il comportamento di Putin, erano prese di posizione utilizzate proprio da Putin: la Nato minacciava i confini russi e con l’ingresso prossimo in essa dell’Ucraina sarebbe stata una minaccia mortale per Mosca; in Ucraina dominava un finto regime democratico, che si era imposto con un colpo di stato nel 2014 ed era guidato da un’ideologia quasi nazista di cui era espressione Zelensky. Questi indiretti supporter di Putin – perché, tranne qualcuno squalificato già da tempo, nessuno di questi anti-Nato, anti-Ucraina e anti-occidente aveva il coraggio di difendere apertamente Putin, anche se suggerivano che l’Ucraina si sarebbe dovuta arrendere «al più forte» e l’occidente non doveva mandare armi per difenderla per evitare di proseguire e allargare la guerra – hanno proseguito anche successivamente, attribuendo la responsabilità del fallimento degli accordi di Istanbul, come indicò la propaganda di Putin, nell’interferenza occidentale, in particolar modo del premier Britannico Borsi Johnson e più tardi del presidente americano Joe Biden.

Questa «interpretazione», che si basa solo su dichiarazioni rilasciate da Mosca e prese per buone, è stata smentita sulla base delle minute dei colloqui che sono state successivamente rese disponibili. L’accordo, lungi dall’essere accettato, prevedeva la neutralità dell’Ucraina, la proibizione a entrare nella Nato, il mantenimento di un piccolissimo esercito, tutte questioni che erano la base di una discussione, non un punto di arrivo. Ma fu soprattutto la questione delle «garanzie di sicurezza» – le stesse su cui insiste oggi Zelensky nei confronti di Trump – a costituire un punto inaccettabile. Per Kyiv, infatti, in caso di una futura aggressione, l’intervento a sua difesa era sufficiente se accordata da tre stati garanti; per Mosca, invece, poteva avvenire solo con una decisione all’unanimità, e cioè anche con l’accordo stesso di Mosca che avrebbe dovuto intervenire contro la propria possibile azione futura di intervento militare in Ucraina. Che un filologo come Canfora non abbia sentito il bisogno di guardare ai documenti, alle bozze, alle diverse pubblicazioni parziali o integrali di quei documenti testimonia solo il predominio, nel suo giudizio, di un suo giudizio ideologico, ancorato da sempre a difesa della Russia, con Putin e anche, per il passato, quando a dominare era Stalin.

Lei ha scritto, con Mimmo Franzinelli, un libro sulla storia della Resistenza. Non so se ha potuto vedere il video in cui la portavoce del Ministero degli esteri russo, Zacharova, intona “Bella Ciao” con un giornalista italiano filorusso (che ha raccolto le firme di una petizione di coloro che non “si riconoscono nelle “dichiarazioni di Mattarella” a Marsiglia). “Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor”. Ma adesso l’invasore, la nazione occupante, è la Russia…

Quel video, come gran parte delle dichiarazioni della portavoce Zacharova, che è un megafono delle posizioni del Cremlino, è un ulteriore tentativo di accreditare l’Ucraina come stato nazista. Incapace di cogliere l’intima contraddizione di usare le parole di «Bella Ciao», che erano state cantate dagli ucraini e dai loro difensori in tutto il mondo nelle manifestazioni successive all’aggressione russa, le ha adoperate per cercare di far passare ancora una volta l’idea che la guerra – anzi, l’“operazione militare speciale” – era stata condotta con lo scopo di denazificare l’Ucraina, obiettivo che rimane ancora presente in tutte le dichiarazioni di Putin e che, anche se ormai in modo molto ridotto e quasi silente, viene riproposto anche da tutti coloro che condannano in primo luogo l’atteggiamento dell’Ucraina e dell’occidente per spiegare la tragica continuazione del conflitto in corso. Che l’Ucraina, e il suo presidente Zelensky in primo luogo, abbia deciso di «resistere» all’aggressione russa, è una verità talmente evidente che può negarla solo chi, in perfetta malafede, continua a riproporre le «giustificazioni» adottate da Putin. Tutti, statunitensi compresi che pure avevano avvisato in anticipo Zelensky della prossima mossa russa, ritenevano che l’Ucraina non avrebbe avuto la forza di difendersi – di «resistere» – di fronte all’attacco di una potenza militare della forza della Russia: tant’è vero che Biden offrì i suoi elicotteri al premier ucraino per fuggire da Kyiv dove si reputava i russi sarebbero giunti in poche ore o giorni. Come è ormai diventata leggenda, Zelensky chiese, non elicotteri per fuggire, ma armi per difendersi, per «resistere».

Naturalmente la resistenza della popolazione ucraina all’invasione russa ha caratteristiche diverse dalle Resistenze che si svilupparono in Europa nel corso della seconda guerra mondiale, dal momento che è costruita attorno al proprio esercito, condizione del tutto mancante in un’Europa occupata dai tedeschi e aiutata dal coraggio e dalla forza di britannici e statunitensi. Eppure di una resistenza si tratta, perché coinvolge l’intera popolazione civile, i profughi che sono dovuti fuggire dalle loro case, i tantissimi ucraini che erano già fuori dal loro paese e che sono usciti in numero ancora maggiore con l’inizio dell’aggressione.

Siamo ancora con i colloqui Trump-Putin, e con le recenti risoluzioni Onu, ai campi separati e “distinti” di Pace e Giustizia di cui lei parla nel secondo volume “Anatomia di un regime”? Trump, inoltre, che ha accusato in questi giorni Zelensky di essere “un dittatore non eletto”, ha chiesto all’Ucraina di firmare un accordo sullo sfruttamento delle terre rare e 500 miliardi indietro, molti di più di quelli forniti in armi e in aiuti all’Ucraina… Ho letto i punti dell’accordo su alcuni quotidiani ucraini con termini contrattuali diversi. Ma dopo il recente incontro-scontro alla Casa Bianca tutto sembra essere messo in discussione… Vorrei qualche sua considerazione al riguardo su questo quadro che si fa sempre più complesso.

Lo scontro cui abbiamo tutti assistito nello Studio Ovale ha costituito una tappa nuova, anche se non del tutto imprevista, nello «scaricamento» che Trump aveva già compiuto e illustrato dell’ex alleato ucraino. Nuova è la forma di attacco deliberato, di trappola preparata, di uso della forza e dell’arroganza che si è manifestata plasticamente nella solitudine di Zelensky, quasi impedito di parlare dall’aggressività di Trump, ancor più di quella di Vance, e dalla corte di giornalisti – una parodia della stampa libera che abbiamo imparato ad amare negli Stati Uniti fino a poco tempo fa – che sembravano i valletti del presidente e del vicepresidente vogliosi di farsi benvolere con le loro stupide domande. Anche se Zelensky è sembrato uscire umiliato e sconfitto, e politicamente è stato così, da un punto di vista morale e simbolico appare lui il vincitore di uno scontro impari fin dall’inizio.

Adesso non è chiaro, e nessuno può prevederlo, cosa potrà succedere, se ci sarà lo spazio per un riavvicinamento, se Trump si renderà conto che avere ceduto a Putin su tutte le sue richieste prima ancora di iniziare la trattativa creerà dei contraccolpi all’interno di un partito repubblicano che, per quanto trumpizzato, mantiene una storica avversione per la Russia e la sua potenza; e soprattutto non è chiaro quello che l’Europa vorrà e saprà fare, in termini di continuità degli aiuti militari all’Ucraina e di costruzione di una propria difesa militare unita autonoma da quella legata alla supremazia e all’ombrello degli Stati Uniti. Le ipotesi possibili sono molte, e potranno anche presentarsi in successione o accavallandosi nei prossimi mesi, rendendo la situazione ancora più complessa e difficile. Oltre che sempre più tragica per un popolo aggredito che resiste ma inizia a mostrare debolezze e contraddizioni, anche se sembra intenzionato a non accettare un accordo tra le due potenze ex nemiche durante la guerra fredda che sembrano riunirsi nella logica della ragione del più forte e del disprezzo delle regole che hanno guidato il mondo negli ultimi ottant’anni.

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