“Per l’alto mare aperto” di Ettore Canepa
Visioni e approdi
Con attenzione critica selettiva l’autore, attraversando i mari narrativi di Coleridge, Carlyle, Melville, Fenoglio e Mussapi, ci invita a uscire dai mondi del realismo, per aprirci, con la pratica dell’immaginazione, le porte della mente creativa
La prima edizione di Per l’alto mare aperto risale al 1991, quando uscì nella collana di studi letterari di Jaca Book. Allora, il sottotitolo del libro recitava “Viaggio marino e avventura metafisica da Coleridge a Carlyle, da Melville a Fenoglio”. Ora, nella nuova riedizione riveduta e ampliata che è stata appena pubblicata da Moretti & Vitali, quel sottotitolo si è trasformato in “Nei mari dell’immaginazione: Coleridge, Carlyle, Melville, Fenoglio, Mussapi”. La circostanza non è affatto irrilevante e va subito sottolineata. Rileggendo i quattro ariosi, bellissimi saggi su La ballata del vecchio marinaio, Sartor Resartus, Moby-Dick e Il partigiano Johnny, che facevano da perno al volume di Canepa già più di trent’anni fa, insieme con la “introduzione” Mare / Immaginazione e il nuovo studio su Antartide di Mussapi che si è aggiunto in coda agli altri, risulta evidente come lo scandaglio felicemente indaginoso di Canepa abbia saputo approfondire le ragioni della sua gettata e approdare a un ulteriore livello di fruttuosità. Adesso si intravede un paesaggio “marino” della letteratura moderna ancor più delineato di quanto non fosse in precedenza, lungo una duplice e convincente linea genetica: quella che lega la tradizione anglosassone della scrittura di mare all’esercizio in re del suo presupposto ideale, l’immaginazione, intesa come intelletto agente; e quella che esonda, per così dire, dalla filiera testuale romantica e post-romantica anglo-americana per innervarsi nel pathos epico sotteso all’opera di due fra i maggiori protagonisti della letteratura italiana recente.
Ma parlare di viaggio per mare – dantescamente, “per l’alto mare aperto” della ricerca del senso – per Canepa significa parlare di un’avventura metafisica, poiché per lui il tema della traversata marina costituisce una pertinente, sintomatica metafora della dimensione arrischiata connessa alla tensione esistenziale e, in senso ampio, conoscitiva verso il significato ultimo dell’esistenza umana.
I saggi di Canepa s’inscrivono nel solco di un’attitudine critica che non si può certo dire à la page nelle nostre patrie lettere, e, più in generale, nel contesto di una società colta che vivacchia ancora spesso in plaghe strapaesane e/o in vario modo post-avanguardiste, e tende a misconoscere la credibilità teorica e la percorribilità in senso creativo di molte delle più acute intuizioni romantiche. Non sfugga lo spostamento del focus dall’idea (giusta, ma forse un po’ generica) di “avventura metafisica” a quella (di rilievo euristico ben altrimenti sottile) di “immaginazione” perpetrato nel passaggio fra la prima e questa più matura versione del libro. Uno spostamento che testimonia di un piccolo scarto importante: un movimento dell’intelligenza esegetica che qui ha portato il saggista, in naturale coerenza con i suoi assunti d’un tempo, a un lucido discorso sull’importanza e la fertilità della distinzione fra ragione e comprensione nell’estetica seminale di Coleridge e – lungo tale via – di quella, se possibile ancora più fondamentale, fra immaginazione e fantasia. Nella convinzione, esibita con sobrio understatement («a costo di risultare pedanti»), che esse facciano parte del novero delle demarcazioni «senza le quali si rischia di sacrificare, o, addirittura di perdere, il senso stesso dell’essere umani». Il che a me non sembra né pedante né eccessivo, poiché tener per fermi i valori della “distinzione” e della “sfumatura” del pensiero, come Canepa auspica con brillantezza anche stilistica, serve oggi più di ieri a un saggista-studioso non generalista per provare a tenere la “barra dritta” sull’osservazione appassionata del fenomeno umano: «Mai come ora, che ci troviamo di fronte agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, abbiamo l’occasione per accorgercene! Una cosa è produrre piacere, un’altra è rivelare» – dialettica, si badi, questa fra “produrre piacere” e “rivelare”, che è un modo per significare ed esprimere senza ambiguità un’opposizione in molti sensi radicale e decisiva, come lo sono quelle, che si danno per solo apparenti contiguità, fra la vista e la visione, il segno e il simbolo.
Dalle bonacce, le angosce, l’attesa dei venti, i naufragi, le lotte e, insomma, da tutto ciò che anima i versi e le narrazioni, sacrali e soprannaturali, dei tre grandi scrittori di lingua inglese sondati da Canepa, ai paesaggi rispettivamente langarolo e antartico di Fenoglio e Mussapi il passo è breve e tuttavia poderoso. L’oceano-Langa di Fenoglio e il “cuore bianco della terra” di Mussapi si mostrano qui come due iperboli di una geografia visionaria che si affida alla grammatica della narrazione poetica per dar voce non tanto (non solo) ad avventure storiche e metastoriche che corrispondono a una quête soprasensibile, quanto (e di più) ai luoghi stessi dell’immaginazione epica. In particolare in Mussapi autore di Antartide, la tensione e apertura alla novità e alla meraviglia dell’Altro si oggettiva, quasi in una sorta di controcanto a un tempo epico ed elegiaco, rispetto ai modelli diversamente gotici della Ballata di Coleridge e, più in filigrana, della Montagna magica di Mann, nell’individuazione di un glaciale “ombelico del mondo”, che rimanda all’idea di un orizzonte originario, essenzialmente mitico, carico di minaccia, ma, anche, custode del segreto della dignità dell’essere.
Così, grazie all’attenzione selettiva di Canepa accade che una visionarietà tipicamente inglese (angloamericana), attivata dal “contenitore simbolico” del viaggio per mare e dalle sue molteplici declinazioni metaforiche, sia proiettata in una vorticosa spirale di prestiti, ammicchi e ri-pensamenti posti in opera da due innovatori marcanti della letteratura scritta in lingua italiana. In ognuno dei suoi cinque studi/capitoli Canepa ci invita e aiuta a uscire dai mondi in ultima analisi “paciosi” che ci vanno raccontando i realisti della realtà, chiusi nel loro minimalismo da cabotaggio subalpino. Con lungimiranza comparatistica unita a competenza di merito e agilità di scrittura compone un polittico intrigante, che ha al centro il tema dell’immaginazione come facoltà chiave – come grimaldello trascendentale – per aprire le porte della mente creativa.