Paolo Ardovino
Canzoni e canzonette

Da Olly a Tabucchi

La musica dei nuovi cantautori è impregnata di "nostalgia", a partire da quella "balorda" di Olly. Un sentimento molto letterario. E difficile da definire, come diceva Antonio Tabucchi

La nostalgia, per Olly, è balorda. Ma dietro non si pensi a una sudata ricerca lessicale operata dal giovane cantautore genovese. «A dire il vero, la canzone aveva un titolo differente […] Il brano si intitolava Bastarda nostalgia, ma poi ho scelto di usare “balorda”. Era un termine che usava mia nonna quando non le andava di fare qualcosa. Diceva “ho la testa un po’ balorda”». Nella testa del fresco vincitore del 75esimo festival di Sanremo, semmai, è scattata un’intuizione. Si possono fare letture di vario tipo attorno alla canzone del momento, e molte sono già state fatte. L’immagine dell’artista ligure, sobria, faccia pulita, outfit casual, baffi e sigarette retrò si allontana da quell’immaginario che vorrebbe gli idoli dei giovani solo con aria da gangster e volti tatuati. Sul piano autoriale, sorprende la rottura determinata da un testo e una canzone che sono un ritorno al cantautorato pop che fa l’occhiolino ai primi anni duemila piuttosto che agli scenari urban della contemporaneità.

La forza dei versi di Olly sta nella loro universalità. La seconda strofa del brano recita così: «Ridere, piangere e fare l’amore/ E poi stare in silenzio per ore/ Fino ad addormentarci sul divano/ Con il telecomando in mano/ Non so più come fare senza te/ Te che mi fai vivere e dimenticare/ Tu che mentre cucini ti metti a cantare/ E tu chiamala, se vuoi, “la fine”/ Ma come te lo devo dire?/ ‘Sta vita non è vita senza te». Lo stile di Olly in Balorda nostalgia entra dritto nelle case degli italiani, più che nei loro smartphone. È un brano nazional-popolare, più che un trend. E colpiscono le assenze di inglesismi, i riferimenti ai brand, le citazioni cinematografiche. Manca del tutto l’uso di similitudini, tutti elementi ormai mutuati dalla scrittura rap. Viene semmai difficile ricondurre certe immagini allo stesso autore. Pensare che un ragazzo di 23 anni, oggi, si addormenti sul divano con il telecomando in mano, guardando la televisione, suona anacronistico. Una normalizzazione (un appiattimento?) della vita giovanile dove possano rispecchiarsi gli adolescenti e i ventenni di oggi e, forse anche molto di più, quelli di ieri (nella prima strofa per esempio si parla della «signora, là, affacciata al quarto piano/ Con la sigaretta in bocca, mentre stendeva il suo bucato»). Le parole di Balorda nostalgia starebbero bene cantate da voci generazionali come quella di Max Pezzali o Tiziano Ferro.

Poi la nostalgia. La curiosità dei giornalisti nelle ultime tre settimane si è spesso concentrata sul capire come sia possibile che con così poco vissuto anagrafico si possa evocare la nostalgia. Ma per presentare il suo brano in gara a Sanremo, Olly aveva spiegato così il titolo: «È un’emozione che conosciamo tutti, che sento e che voglio scoprire. Secondo me la nostalgia non è solo di qualcosa che è successo ma anche di qualcosa che non è mai veramente accaduto». Più volte, nel corso delle interviste, il cantautore ha completato il discorso allontanando il sentimento nostalgico alla sfera del passato e vedendolo come spinta per il futuro. Può essere così? Sì, e sarebbe d’accordo con lui Antonio Tabucchi, se avesse ascoltato la canzone. Lo scrittore di Sostiene Pereira, ma anche di tanti libri che affrontano il tema del tempo e della nostalgia come Requiem, Il gioco del rovescio, Si sta facendo sempre più tardi, ha dato un significato a questo sentimento mentre cercava di dargli una definizione adatta: «Qualcosa di straziante, ma può anche intenerire, e non si rivolge esclusivamente al passato, ma anche al futuro, perché esprime un desiderio che vorreste si realizzasse. E qui le cose si complicano perché la nostalgia del futuro è un paradosso. Forse un corrispettivo più adeguato potrebbe essere il disìo dantesco che reca con sé una certa dolcezza, visto che… Insomma, come spiegare questa parola?», così scriveva in Viaggi e altri viaggi.

In un festival di Sanremo caratterizzato quest’anno da brani intimistici, è proprio la nostalgia a spiccare, più dell’amore tout court. Lucio Corsi, con il suo portamento favolistico, richiama la nostalgia più evidente possibile. Quella verso la nostra età fanciullesca, e in questo il duetto con Topo Gigio sulle note di Nel blu, dipinto di blu ne ha aumentato il carico. Ha allargato, anzi, a una nostalgia comune dei tempi che non sono più. Tempi avvertiti come più semplici, più lenti e più genuini.

Sulla nostalgia è imperniato anche l’intero album di Joan Thiele appena pubblicato, Joanita. Qui il sentimento è sottinteso e affidato alla musica. È la nostalgia del vissuto ma anche di un tempo mai vissuto. Più a fondo: di un tempo forse mai esistito ancora, ma di cui già sentiamo l’assenza. Su questa ambiguità di sensazioni si potrebbe in realtà descrivere l’intera produzione discografica internazionale attuale, che al massiccio recupero di sonorità degli scorsi decenni unisce suoni figli dell’innovazione tecnologica. Da cui nasce una terza, nuova, via. In Joanita le atmosfere nostalgiche, non è un caso, si impongono alla mente in brani come Tramonto, Occhi da gangster e Volto di donna dove nelle produzioni sono state rielaborate alcune composizioni del maestro d’orchestra Piero Umiliani, autore di diverse colonne sonore. Scenari da spaghetti western e mondi eterei si mischiano e fanno della nostalgia un sentimento tanto concreto e passato quanto immaginario e idealizzazione di un futuro. Un futuro, appunto, di cui avere già grande nostalgia.

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