Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

Due cinesi a Roma

"La città proibita", il nuovo film di Gabriele Mainetti, è una via di mezzo tra “Kill Bill" e “Vacanze romane”: due sorelle cinesi si inseguono in una Roma multietnica dominata da Marco Giallini e Sabrina Fiorilli...

«La differenza tra la mia casa lontana migliaia di chilometri e questa città è che qui tutto è permesso e niente ha importanza. Da noi niente è permesso e tutto ha importanza». Il è la Cina, il qui è Roma, una città che invece di farsi conquistare alla fine conquista. E questo confronto non senza fondamento lo fa uno che conosce bene il là e il qui: Mr. Wang, spietato e onnipotente capo dei traffici loschissimi che hanno nel ristorante cinese “La città proibita” il loro quartier generale e nella multietnica piazza Vittorio Emanuele del rione Esquilino il loro brodo di cottura.

A distanza di cinquant’anni dall’ultimo film americano di Roman Polanski Chinatown e a quasi quaranta da Grosso guaio a Chinatown di John Carpenter, il regista Gabriele Mainetti sceglie un’ambientazione del tutto imprevedibile per la sua terza pellicola (La città proibita, appunto) che rievoca le arti marziali cinesi wushu (più note da noi col termine kung-fu), citando a piene mani la mitica saga di Bruce Lee, Kill Bill di Quentin Tarantino, ma anche Vacanze romane di William Wyler.

Tutto ha origine dalla politica del figlio unico che impose alle famiglie cinesi un solo erede dal 1979 al 2013 (finché il governo di Pechino non si accorse che i morti superavano i nati). Un’eco di questa politica si è avuta in queste settimane a Masterchef 14, la vincitrice Anna Yi Lan Zhang è nata a Venezia perché i suoi genitori fuggirono in Italia per poterla avere.
Anche la storia raccontata dal regista romano ha origine nella Cina del figlio unico. Ci sono due sorelle bambine, Yun e Mei, e ci sono i loro genitori costretti a tenere nascosta la più piccola. Entrambe vengono addestrate dal padre alle arti marziali, Yun poco convinta, Mei invece decisa a riscattare la sua infanzia invisibile diventando invincibile.

È solo la premessa, l’azione si sposta subito a Roma dove Mei arriva per cercare la sorella maggiore, inghiottita nel baratro della prostituzione. E qui comincia lo spettacolo, perché la ragazza è una macchina da guerra che travolge chiunque si metta sulla sua strada. Ci provano senza riuscirci gli sgherri di Wang che sanno bene cos’è successo a Yun visto che lei lavorava per lui. Tra calci volanti e colpi a mani nude che spezzano braccia e gambe, con gran dispiego di scricchiolii sinistri, urla belluine ed effettacci alla Tarantino, per Mei l’imprevisto si incarna nella faccia buona e nei capelli neri di Marcello, il cuoco della trattoria “da Alfredo” in piazza Vittorio dove lei si precipita appena scopre che la sorella è scomparsa insieme al titolare del ristorante, ovvero il padre del ragazzo.

La trama del film è in gran parte prevedibile: ci sono i combattimenti coi cattivi, c’è la sete di vendetta, il dolore della perdita, ma c’è anche il romanticismo di una corsa in Vespa nella Roma di notte che ricorda Audrey Hepburn e Gregory Peck. Storia un po’ déjà vu e tuttavia non c’è traccia di noia nonostante la pellicola duri 138 minuti: il regista è abile nell’intrecciarne gli sviluppi senza perdere il ritmo e l’eccellente fotografia di Paolo Carnera fa il resto (cito tra i suoi ultimi titoli due film del calibro di Nostalgia di Mario Martone e Io capitano di Matteo Garrone).

Ma in fondo credo sia soprattutto l’atmosfera nostalgica e il contesto multietnico del suk di piazza Vittorio in cui il racconto delle due sorelle cinesi avviene, che alla fine aggancia lo spettatore, soprattutto chi riconosce in molte inquadrature quella Roma “sgarruppata” e genuinamente popolana in cui tutti si mescolano e che tutti accoglie, italiani e cinesi, indiani e africani, onesti e delinquenti, la città “de core” che neanche un boss spietato come Wang riesce infine a conquistare perché ne viene conquistato (e infatti il suo unico orgoglio è il figlio che lo rinnega, il rapper che canta in italiano e si fa chiamare Maggio).

Non rivelerò l’antefatto che precede l’arrivo di Mei a Roma ed è all’origine del racconto che la vedrà combattere accanto a Marcello, lei alla ricerca della sorella scomparsa, lui sulle tracce del padre che la vox populi dice scappato con la puttana cinese. Piuttosto merita spendere qualche parola sul cast. A cominciare dalla sorprendente protagonista, la trentatreenne Yaxi Liu, che le arti marziali le conosce davvero e arriva alla sua prima prova d’attrice con l’esperienza della stunt-woman professionista. Per la politica del figlio unico anche lei ha rischiato di non venire al mondo, esattamente come il personaggio che incarna. Con Liu un cast di facce note: Sabrina Ferilli è Lorena, cassiera del ristorante e moglie dolente di Alfredo (una comparsata mai tanto breve per Luca Zingaretti), mentre è affidato a Marco Giallini il ruolo cruciale di Annibale, l’anziano e sgangherato boss dell’Esquilino che sfrutta gli extracomunitari e rappresenta l’amico/nemico di Marcello, interpretato da Enrico Borello (già notato nel film di Francesco Costabile Familia). Ma anche Annibale ha un punto debole: è l’amore per Lorena, la moglie del suo migliore amico e socio in affari, forse pensa a lei quando canta La canzone dell’amore perduto di De Andrè e nessuno lo vede, seduto in casa davanti alla tastiera in mutande e pedalini.

La ricetta che ci propone Mainetti combinando i sapori forti delle arti marziali col condimento casereccio all’amatriciana, sorprendentemente funziona, il risultato non è il “mappazzone” temuto da Bruno Barbieri. Proprio come ha funzionato l’incontro in cucina tra le culture occidentale e orientale che ha fatto vincere Masterchef alla sorridente Anna Yi Lan.

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