Nadia Tarantini
A proposito di "E tu, chi sei?”

Nel deserto di Ortese

Lilia Bellucci analizza il mondo e la letteratura di Anna Maria Ortese, una grande scrittrice in conflitto con il mondo e con il linguaggio per andare in cerca di sé

E tu, chi sei?, è la domanda che Lilia Bellucci rivolge a chi leggerà il suo libro, il titolo che dà alla sua ampia e affascinante investigazione su vita e opere di Anna Maria Ortese, sottotitolo: Spazio, corpo, visioni in Anna Maria Ortese (Avagliano editore, 365 pagine, 21 euro). Il titolo già dichiara le intenzioni: per Lilia Bellucci, l’immersione nel mondo dell’autrice nomade, non riconosciuta abbastanza, rivalutata a decenni dalla sua morte, sarà preziosa per noi che leggiamo, e per il nostro tempo.

«È una scrittrice che delinea con forza un cambiamento di modi e mondi sociali non più rimandabile, e che costringe a chiedersi cosa significhi stare al mondo e la cura che questo richiede, perché l’individuo non è solo e l’identità è di tutti (citazione in corsivo da La virtù del nulla, in Corpo celeste, NdR)», pag. 21.

Ortese, dice Bellucci, persegue il cambiamento da una difficile posizione di partenza, ha bisogno continuamente di farsi coraggio – e farsi la penna, come scrive ne Il porto di Toledo: C’era in me una grande negazione del reale (lo vedevo come inganno e fuga) e oggi questo reale era tutto. Inganno e fuga erano tutto. E pensai: dove sarà qualcosa di reale-reale? Un continuo, come dicono i filosofi? E vidi che era la memoria.

Ed ecco allora l’invito di Bellucci: «anche noi poniamoci nella nostra vita e negli incontri come la scrittrice, accogliendo immagini di parole e di pensieri, ma non diventandone mai un semplice e inerte riflesso», pag.30. Per Anna Maria Ortese, è stato un duro esercizio fra sé e sé, fra sé e il mondo: Ben presto, dunque, io mi trovai a dovermi battere per una cosa – la vita – che era un abisso e una perdita. Dovevo scrivere – fermare continuamente il fluente e l’estatico. (da:. Dove il tempo è un altro in Corpo celeste).

E Lilia Bellucci continua ad indagare: «Se esiste una radice del suo vivere, è il deserto dell’abbandono e della solitudine, quello dei “senza nome”», come Ortese proclama ne ll porto di Toledo: E uomini e donne possono non avere un vero nome, essere unicamente forze ostinate, ignoti suoni. C’è la storia, fuori, c’è la Tigre nel cielo; e qui, nulla. Come in una cantina murata. «Quando siamo senza nome, perché nessuno sa chiamare la parte più vera di noi fuori da quel castigo di vita, allora resistere diventa anche un semplice inarticolato insistere»: autrice di E tu, chi sei? e scrittrice indagata paiono qui condividere una profonda sensibilità.

La consapevolezza di Bellucci si innesta in un parallelo fra il nostro tempo e il secondo Dopoguerra – momento di forte adesione creativa di Ortese alla necessità della scrittura. E però: «Nell’Italia del Dopoguerra, come in quella di oggi, c’è qualcosa di meraviglioso e crudele, che la fa desiderare come propria e, nello stesso tempo, c’è qualcosa che la fa sentire estranea, ormai di altri», pag. 35.

È il momento in cui comincia a delinearsi la storia de L’Iguana, alla quale Lilia Bellucci dedica forse la maggior parte delle pagine del libro, sia direttamente – per un’indagine ricchissima – sia come riferimento maestro della poetica e della filosofia di Anna Maria Ortese: perché, come tutte le grandi scrittrici, Ortese è anche una pensatrice, portatrice di intelligenza speculativa. Dunque, L’Iguana: servetta, bestia, donna…monstrum?

Comunque la definiate, ci dice Lilia Bellucci, Iguana è portatrice di amore, amore inteso come «fecondante»; amore e vita sono spirito celeste, che si incarna in quella piccola creatura. Lei che suscita in Daddo, che si innamora di lei, un cambiamento, un’evoluzione: «Daddo all’inizio della storia è un uomo indeciso e privo di volontà, alla fine della storia capisce, nella sua mortale immobilità, di essere solo all’inizio del viaggio» (pag. 138). Il fatto che Daddo sia un architetto, permette ad Ortese di fare della sua esistenza metafora di due mondi: quello di prima del suo approdo nell’isola fantastica di Ocaña, mondo mercenario e commerciale anche nell’uso del territorio per farne città; quello dopo l’incontro con l’Iguana, mondo consapevole che la vita (e anche la città) nasce e cresce dalle relazioni.

L’isola di Ocaña non è sulle carte geografiche, l’Iguana, Estrellita, uscita dalle stelle, vive nel mondo di sotto, al quale ci affacciamo sempre con spavento – pur sentendocene attratte/i. L’isola-balena, il pozzo, via Manzoni da cui parte il viaggio, percorso al contrario, dalla città al pozzo la corona dei luoghi di avvicinamento al vero sé. La distanza, la differenza – invece dell’omologazione. E Chi scende nel pozzo – ad esempio – conosce la pietà. E come si può vivere, agire, governare con giustizia, senza conoscere la pietà? (dalla lettera di Alba De Cèspedes in risposta al Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg, entrambi i testi pubblicati sulla rivista Mercurio numero 36/39, 1948, dialogo citato a pag. 263).

Mai come oggi siamo così distanti dagli altri e da noi stessi – scrive Lilia Bellucci citando Aldo Meccariello (Distanza, 2021): «[…] la pandemia, la digitalizzazione, le necessità del sopravvivere, le città poco ospitali, stanno allontanando le persone dalla relazione con la realtà. Occorre trovare un nuovo equilibrio, ragionando proprio sulle distanze […] ridefinire la propria soggettività e porla in azione nella concretezza del presente», pag.59.

Anna Maria Ortese, maestra di distanze – che ha sperimentato l’ostracismo del suo ambiente dopo la pubblicazione de Il mare non bagna Napoli – cerca sé stessa, cerca la scrittura, cerca sé stessa attraverso la scrittura. Cerca una forma nel testo che sia soltanto sua, cerca il self. Eppure, nel suo perenne isolamento, la fama di asociale, nel suo scrivere dialoga con chi, come lei, ha cercato una forma che andasse aldilà della realtà più banale. Con Maria Zàmbrano, nel pensare attraverso il sentire; con Le città invisibili di Calvino; con Nadine Gordimer; con Hélène Cixous.

La sua espressività – ci racconta Bellucci – «coincide con il mormorante mare delle immagini interiori»: «A volte, nella vita – scrive l’autrice di E tu chi sei? – accade qualcosa di improvviso e sembra di precipitare in una voragine senza fine e senza ritorno […] ci sentiamo attoniti, come morti, sicuramente in sottrazione». Ma poi, – le risponde Anna Maria Ortese – da tale nulla, ecco liberarsi sottile una nuova anima. Spesso è più lieve di una farfalla, ed erra intorno alla prima […], pag. 203.

Possiamo allora accogliere anche tutto il male del mondo – corporeo e spirituale trovano una sintesi nel sé che scrive, riflette e rimanda, nel pendolo fra realtà respingente e immaginazione appagante. Non siamo da soli: abbiamo Il cardillo addolorato, anima dei defunti e simbolo della Passione di Cristo, abbiamo le piccole persone, appassionato e talvolta indignato interesse di Anna Maria Ortese per il non-umano, più attuale che mai. «L’uomo è amorale e considera la Terra come un oggetto destinato al consumo edonistico e al profitto, come un elemento inerte in un processo industrializzato di produzione e mercificazione», scrive Bellucci a pag. 223; rilanciando così un vibrante anatema di Ortese: Così l’uomo è l’oggetto più sordo e cieco dell’Universo, e si spiega a questo punto la necessità di considerare il luogo dove vive, la Terra, un oggetto meccanico, a lui pienamente soggetto, di cui egli conosce tutti i segreti e dispone di tutti i comandi (da Io credo in questo, ne Le piccole persone), pagg. 223-24. «La voce di Ortese qui si fa profetica. – il commento di Bellucci – L’uomo si illude di poter controllare cataclismi ed epidemie, s’illude pensando che il denaro lo salvi. Nessuno si salva da solo».

La perturbante (L’Iguana), una lente per osservare ciò che succede. Le isole, l’acqua – luoghi sempre presenti nella narrazione di Ortese – uno spazio altro, la possibilità di ripensare il mondo, il fluire della coscienza; la discesa nel pozzo il rito di passaggio.

E infine. La scrittura di Lilia Bellucci, nel procedere dell’indagine su Anna Maria Ortese – la sua vita, le sue opere – si fa ortesiana, simbolica, evoca le immagini necessarie, indispensabili, per il nostro presente. E tu, chi sei?, la domanda si fa incalzante. «Quanto riconosciamo di noi in questa Ocaña remota e prodigiosa? C’è il nostro presente nelle domande radicali che il testo pone: chi siamo? […] Nel nostro presente, manca il raccontare chi siamo […]  È il paesaggio che il silenzio, prima e dopo tutto, crea nell’interiorità: quello che nasce sollevando la mente verso il possibile».


Accanto al titolo, elaborazione grafica di Succedeoggi.

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