A proposito di “Donne che non muoiono”
Vendetta femminile
Il nuovo romanzo di Maristella Lippolis è una storia di donne che decidono di non sottostare alla violenza dei maschi. L'unica scelta possibile è vendicarsi tutte insieme
«Quando escono dalla libreria è notte. Camminano nel buio insieme per qualche tratto, le voci che frantumano il silenzio e ne fanno cristalli che vanno in pezzi. Intorno a loro si sprigionano scintille, i corpi sembrano illuminarsi. […] Una cosa che le donne conoscono molto bene, tutte ne hanno fatto esperienza più di una volta nella vita, ma forse non sempre si sono rese conto da dove arrivassero quelle scariche. Non dall’aria o dall’umidità, come si pensa di solito, ma dal corpo, dalla rabbia che provano in quel momento. Che può fare molto male, soprattutto se sono insieme».
Siamo quasi alla fine del nuovo libro di Maristella Lippolis, Donne che non muoiono (Vallecchi, 308 pagine, 18 euro), a pagina 261, una trentina dalla fine – quando vediamo sprigionarsi da un gruppo di donne quell’energia che può far male. Ma sin dalla prima pagina una reazione furente è corsa sotterraneamente ad ogni capitolo, nutrendosi di fatti presenti e ricordi del passato, di racconti ed esperienze dirette.
Le donne che scintillano sono dodici, quattro le conoscevamo già da un precedente romanzo di Lippolis (Raccontami tu, L’Iguana), otto sono inedite. E potremmo aggiungere, però, una tredicesima donna, la protagonista di Adele né bella né brutta (Piemme), il primo romanzo a tiratura nazionale della scrittrice pescarese (ma nata a Ventimiglia). Adele condivide con le protagoniste di Donne che non muoiono una delle possibili reazioni alla rabbia: la vendetta.
Rabbia e vendetta riconducono Maristella Lippolis, che nel 2022 aveva debuttato, sempre da Vallecchi, nel mondo della fantascienza con La notte dei bambini, alla sua primitiva passione per storie di donne che non trovano nella vita ciò che meritano – e che solo attraverso il rapporto con altre donne riescono ad uscire da esistenze asfittiche, mortificanti. O, come in questo caso, dalla violenza più brutale.
Confessa Lippolis nelle finali Note dell’autrice: «Questa storia nasce dalla rabbia e dalla sensazione di impotenza che mi assale ogni volta che una donna viene uccisa […] Si è nutrita […] del privilegio di poter inventare una storia, quando ti sembra di poter fare poco altro».
Agnese, Alice, Amelia, Caterina, Cinzia, Dina, Margherita, Marianna, Melania, Olimpia, Romina, Valentina – sono portatrici di storie – loro o di altre – intrise di violenza, e segnate da impotenza. Perché vittime o amiche o sorelle o figlie – di donne che subiscono violenza da uomini; e che vivono lo stesso senso di impotenza della scrittrice che decide di romperlo con il romanzo.
S’impegnano ad uscirne con l’autodifesa e soprattutto con la vendetta. L’ultima vendetta – realizzata tutte insieme – è quasi, e anche, una burla; ma quelle che percorrono la vita di Romina, di Melania, della madre di Romina – sono vendette molto serie.
Giustizia o vendetta? Salvezza per giustizia o salvezza per vendetta? Ma i tribunali non offrono garanzie alle donne – e neppure le denunce, neppure le cavigliere elettroniche e gli obblighi di tenersi a distanza dalle compagne minacciate fermano gli uomini violenti. A volte, come nel romanzo di Lippolis, vale più un evento casuale, ad esempio una gatta nera, a risolvere, come per magia, una situazione.
I libri possono salvare? Le donne che non vogliono morire – e aiutare le altre a salvarsi, a sopravvivere – possono cercare fra le pagine dei libri, in un gruppo di lettura, le soluzioni? Sì, propone Donne che non muoiono, possono rispecchiarsi nelle parole dei libri di Stephen King, di Camilla Lackberg, Anna Banti ed Alba De Cèspedes, di Anne Cameron e di Miriam Toews. Di Alda Merini, Gabrielle Filteu-Chiba, Susan Gaspell. Perché le parole, sì, possono aprire gli occhi e salvare. Insieme alle risorse del corpo, che può essere allenato, irrobustito e insieme reso più flessibile.
A volte sembra una fiaba – per l’immediatezza dei cambiamenti che si verificano nel racconto; altre volte aspro come un panphlet di propaganda: Donne che non muoiono dovrebbe essere letto insieme, sia dalle donne che vivono una violenza, sia dalle operatrici del settore. Discusso e approfondito per cercare le strade migliori per superare un’emergenza gravissima – quella della violenza maschile e dei femminicidi – , che resta sommersa sotto luoghi comuni e stereotipi che generano impotenza. Nascosta per lo più nelle case di gente normale – case che Lippolis nel romanzo invita a fare la loro parte, come fossero personagge.
Giustizia o vendetta? Salvezza per giustizia o salvezza per vendetta? La discussione si accende nel gruppo di lettura: «Le vendette a volte si sposano con la salvezza, altre volte con il farsi giustizia da sé, perché sarebbe troppo difficile ottenerla in altro modo. […] è sui confini labili tra vendetta, giustizia e salvezza che le voci delle lettrici in quelle serate […]si alzano di tono, si accaniscono, si sfiniscono. […] E se accadesse, tu che faresti? Io che farei?».
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.
![condividi su Facebook Facebook](https://www.succedeoggi.it/wordpress/wp-content/plugins/social-media-feather/synved-social/image/social/regular/32x32/facebook.png)
![Condividi su Twitter twitter](https://www.succedeoggi.it/wordpress/wp-content/plugins/social-media-feather/synved-social/image/social/regular/32x32/twitter.png)
![Condividi su Linkedin linkedin](https://www.succedeoggi.it/wordpress/wp-content/plugins/social-media-feather/synved-social/image/social/regular/32x32/linkedin.png)