“L’amore, le Muse, la bellezza, l’incanto, il rito”
Le parole di Saffo
Il grecista Angelo Tonelli propone una nuova traduzione dei versi di Saffo per costruire un elogio (poetico) alla vitalità di una delle figure più affascinanti e complesse della classicità
La testa del mitico Orfeo, decapitato dalle Mènadi, approda sulle sponde dell’isola di Lesbo e continua a cantare: questa è l’eredità del mito. Poeta, incantatore, musicista, sciamano, iniziatore della poesia corale e colui il quale introdusse l’alfabeto, che gli era stato insegnato dalle Muse, Orfeo, con la capacità del suo canto, muoveva alla gioia, ‘modificando l’anima e le cose degli umani’, e il suo spirito sembra celarsi dietro la ‘musica-poesia’ di Saffo – la decima Musa, secondo Antipatro di Sidone – l’unica poetessa di cui ci siano pervenuti gli scritti e colei la quale nell’isola di Lesbo nacque (vii sec.). Direttrice e sacerdotessa di un tiaso, ella educava giovani donne non solo alla poesia, ma anche alla danza, alla musica, al rito e ai compiti che avrebbero rivestito nella famiglia e nella società, e ciò implicava talvolta rapporti omoerotici con le allieve (come accadeva nella paideía virile), per alcune delle quali scrisse versi appassionati.
Donna aristocratica, esiliata da Mitilene a causa di contrasti tra fazioni politiche, madre di Cleis, figlia adorata, in un rapporto privilegiato con le nove figlie di Mnemosyne («Le Muse mi resero degna di onore / facendomi dono delle loro opere») Saffo canta, accompagnata dalla lira, l’amore per la vita, il traviamento amoroso e la gelosia, sino a descriverne, al pari di una malattia, i sintomi fisici: il cuore si agita, la lingua si spezza, il fuoco scorre sotto la pelle, gli occhi non vedono, le orecchie rombano, «e poco lontana da morte /sembro a me stessa…»
Accorpando i frammenti saffici in cinque gruppi, in virtù di una scelta antologica volta ad evidenziarne l’«aura orfica», che resta intatta, Angelo Tonelli (Lerici, 1954), uno tra i maggiori studiosi di letteratura greca classica (tra le opere recenti, I Greci in noi: dalle origini della nostra cultura, alla deriva transumanistica, Meltemi, pp. 214, € 18,00), in Saffo. L’amore, le Muse, la bellezza, l’incanto, il rito (Marsilio, pp. 104, € 12,00) offre una traduzione che ha il fine di essere nuova, bella nonché fedele all’originale greco.
«Parole in musica, musica in parole che calamitano l’ascoltatore-lettore in una trama armonica», come nell’elogio di Elena che, in contrasto con la tradizione, è appoggiata da Saffo perché ha abbandonato il marito, il marziale Menelao, per inseguire Paride, l’uomo che amava: «Chi una schiera di cavalieri, chi di fanti/ altri di navi, dicono sia la cosa più bella / sopra la terra nera. Io / ciò che uno ama». Nei versi, l’amore si lega alla lode della raffinatezza, eleganza e sensualità, rimarcando il predominio delle qualità interiori sull’esteriorità («Chi è soltanto bello, lo è nell’istante in cui lo guardi / Chi adesso è eccellente, subito sarà anche bello»), culminando nella contemplazione della luna, paragonata della «soverchiante bellezza femminile», la cui luce illumina la celebrazione dei rituali notturni ed i sacri simposi dove, epifanica, è presente Afrodite.
Per mezzo di Tonelli, che con la sua traduzione tradìsce il testo greco aderendo alla sonorità e ritmo appassionato della poetessa, Saffo «ci restituisce intatta, sorgiva, la sua esperienza, illuminata dalla pupilla della Dea, che consacra ogni vissutezza».