Su "Un giorno tutto questo sarà tuo"
Le donne di Ravera
Il nuovo romanzo di Lidia Ravera affronta un tema attuale e scottante al tempo stesso: le ragioni del movimento #MeToo. E spiazza il lettore affidando la voce dell'io narrante a un giovane scrittore...
Di penne come quella di Lidia Ravera c’è sempre bisogno: il suo ultimo romanzo né è l’ennesima dimostrazione. Un adolescente disturbato (così lui stesso alludendo ad alcune caratteristiche che ne fanno un ragazzino un po’ atipico), nonché voce narrante, decide di cimentarsi in un capolavoro letterario anche se non sa davvero cosa potrebbe distinguere il suo da tutto il resto dei libri. Il vero problema per lui è cercare, nel farlo, di non seguire le orme del padre, Giovanni Sartoris, affermato ed egocentrico romanziere che non manca di elargire consigli sul mestiere in svariati podcast. Per riuscire nell’impresa, Seymour, il nostro, applica una severa disciplina che consta sia nello scrivere ogni giorno in maniera assidua, tanto che quando per cause di forza maggiore non può dedicarsi a questa attività ne soffre terribilmente, sia nel cinico e distanziato osservare il mondo degli adulti che lo circondano (tra cui le tre ex mogli di Giovanni, o meglio: exmadri, come le chiama Seymour).
A dare una svolta alla trama di Un giorno tutto questo sarà tuo (Bompiani, 320 pagine, 20 euro) è un episodio, così rappresentativo di certa attualità: una giovane attrice, scartata ai provini per l’adattamento cinematografico di Seduzioni, opera prima di Giovanni, accusa il settantenne di aver preteso da lei un rapporto sessuale in cambio di favori professionali. Seymour si trova allora suo malgrado al centro della bufera e la sua professoressa di Lettere al liceo coglie l’occasione per stimolare un dibattito in classe sul movimento #MeToo, dibattito impoverito dalla presunzione di stabilire chi siano, ammesso che ci siano, le vittime e carnefici.
Ravera, scegliendo di raccontarci la storia attraverso gli occhi di chi è così giovane (e maschio!, elemento non secondario), sembra volerci offrire una prospettiva inaspettata. La compagna di exmadre numero uno, femminista indefessa, prenderà subito le difese di Tatiana, la denunciante, nonostante non ci siano ancora prove concrete che inchiodino Giovanni. La questione per lei è molto semplice: è necessario schierarsi in solidarietà con chi denuncia poiché la distribuzione del potere è squilibrata a favore della controparte maschile, una controparte che qui assume un ruolo emblematico: un singolo che però è anche esempio di una collettività, un potente che opprime e usa la sua posizione per approfittare di una donna (anche lei emblema della subalternità e del ruolo marginale in cui si può essere relegati). Ravera sviscera a fondo le implicazioni di un’accusa di questo tipo inscenando tutte le conseguenze, dalle più immediate alle scontate: è vero che la vita di Giovanni è stravolta, ma anche quella di Tatiana si rivelerà per niente immune da effetti collaterali indesiderati. È così che chi legge è chiamato a decidere da che parte stare. L’autrice gioca col lettore per mezzo di una serie di espedienti metaletterari in cui Seymour pondera sull’accaduto ma anche sulla letteratura e il suo ruolo, sulle migliori tecniche di scrittura e sugli escamotage per ammaliare il pubblico.
Come sempre, non è importante tanto l’epilogo, che, si badi bene, è comunque rilevante, quanto il modo in cui tutto il congegno è architettato. Ravera usa una lingua che, per un adolescente di chiara cultura ed estrazione sociale alta, influenzato dal padre ma anche dalle letture erudite che fa, è perfettamente credibile. Infatti, ci sono sì preziosismi, sui quali l’adolescente stesso scherza, ma anche colloquialismi e forme non del tutto canoniche pur in un generale contesto di medietà e scrittura per così dire tradizionale. Ironia e sarcasmo sono poi le armi con cui Seymour attacca e si difende, restituite tramite artifici linguistici che le mettono in risalto.
Alla fine dei conti si può dire che avviene ciò che dovrebbe sempre avvenire quando si fanno letture di qualità: si resta col dubbio che non esista una sola e unica verità, e si rafforza la convinzione che i punti di vista che si devono adottare siano molteplici e diversi. Un ottimo esercizio di cittadinanza attiva, dunque, un riflettere costante sulle innumerevoli sfumature di una realtà che non è e non può essere solo binaria ma che include varianti che rendono il giudizio sempre meno netto.
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.