Al Gran Teatro La Fenice di Venezia
L’amore secondo Neumeier
Il regista e coreografo John Neumeier torna a interpretare "Romeo e Giulietta" di Prokof’ev: un vero e proprio inno all'amore adolescenziale in musica e immagini
Romeo e Giulietta sarà sempre attuale. Nessuna intelligenza artificiale saprà mai riprodurre la potenza dell’amore che ci aveva ben raccontato Shakespeare a fine XVI secolo e che Sergej Prokof’ev (1891-1953) ci ha magicamente musicato nel secolo scorso. E questo lo abbiamo nuovamente perfettamente percepito l’altra sera al Teatro La Fenice di Venezia dove, in prima nazionale, l’Hamburg Ballet diretto da Demis Volpi l’ha messo in scena con la coreografia e regia di John Neumeier, e con la rapida e maestosa musica Romeo and Juliet op. 64 ideata da Prokof’ev tra il 1935 e il 1940.
Serata travolgente anche per la precisione esecutiva dell’Orchestra del Teatro La Fenice diretta da Markus Lehtinen.
John Neumeier mise per la prima volta in scena quest’opera, la sua prima coreografia di lunga durata, nel 1971 con il Frankfurt Ballet di cui lui era allora il direttore artistico. Poi nel 1974 e nel 1981 lo rielaborò sul palcoscenico con
l’Hamburg Ballet, compagnia fra le più prestigiose, con cui lui perfezionò in vari step l’opera di Prokof’ev. La più recente è del 2023.
Questa è la settima volta che l’Hamburg Ballet è ospitato a La Fenice. L’approccio coreografico di Neumeier si concentra in particolare sul lato umano dei personaggi: la loro vita interiore e lo sviluppo che attraversano durante il corso della piéce. Incorniciata nelle opulente scene e costumi di Jūrgen Rose.
Questa produzione fa risorgere una Verona del medioevo e ci conduce dentro un balletto carico di emozioni che parla del desiderio per la vita e per l’amore. La danza, ci ricorda Demis Volpi, felice di essere nuovamente a La Fenice, è una forma d’arte universale che lega tra loro le persone, unite dal potere del corpo umano in movimento per esprimere le nostre più profonde emozioni.
Neumeier ci svela che per la prima volta ha deciso di affidare i personaggi principali a interpreti molto giovani, intendendo così rendere ancora più veritiero questo dramma decisamente inverosimile. Rileggendo il testo di Shakespeare ci ritroviamo davanti a una Giulietta appena quattordicenne con una madre al massimo di ventisette anni.
Tutta la vicenda è concepibile solo con persone molto giovani che prendono decisioni in modo rapido e spontaneo. Persone per le quali l’amore letteralmente esplode. E con il cast adolescenziale da lui scelto tale percezione è coerente con questa atmosfera shakespeariana.
Non c’è bisogno di una prima ballerina virtuosa per il ruolo della protagonista. E infatti Giulietta alla prima era impersonata piacevolmente da Azul Ardizzone, una giovanissima argentina nata nel 2007 e nelle altre repliche da un’altrettanto giovane Ana Torrequebrada. Mentre Romeo alla prima era il giovanissimo brasiliano Louis Musin e, nelle successive repliche, Emiliano Torres, anche lui quasi adolescente. Ma tutti già con buone esperienze internazionali alle spalle.
E noi in platea percepiamo benissimo l’intento registico di mostrarci in danze semplici l’idea dei personaggi e dei loro livelli psicologici. E vediamo danzare le ballerine sulle punte dei piedi per farci meglio comprendere l’artificiosità del ballo di società. Oppure vediamo Giulietta, nella sua purezza assoluta nella scena iniziale del balletto, danzare saltellando in giro nuda per meglio esprimere l’incoscienza dei bambini.
Sempre dall’idea del regista è perfettamente percepibile nei protagonisti: gli opposti di attività e passività, di innocenza ed esperienza. Infatti all’inizio Giulietta è ingenua, innocente, mentre Romeo è navigato. Quando si innamorano si scambiano i ruoli e ognuno diventa, per così dire, l’altro. Romeo viene “disarmato” dall’amore. Giulietta scopre in sé l’attività. Una metamorfosi che il regista ci mostra con la danza. All’inizio Giulietta sembra che non sappia danzare. Romeo invece, sin dal primo passo un abile ballerino. Ma sulla tomba di Giulietta non riesce più a danzare. E alla fine quando Romeo non è più in vita anche Giulietta non riesce quasi più a danzare.
In questo disegno, naturalmente, il regista è stato aiutato dalla musica di Prokof’ev nata espressamente per il balletto. Che aiuta al meglio a esprimere il “dramma danzato” secondo le regole del teatro psicologico-realistico. Prokof’ev concepì questo balletto nel 1935. Uno dei suoi lavori più belli e più amati dal pubblico del mondo intero. In questo balletto Prokof’ev riuscì a legare miracolosamente la profondità dell’ispirazione con una affascinante semplicità di linguaggio. La sua musica sembra ancora oggi scavalcare i traumi dell’arte contemporanea ponendosi a modello di quel sentimento diffusissimo che deplorava la perdita dell’immediatezza della comunicazione. E questo il regista John Neumeier lo ha perfettamente compreso e ben interpretato.
Di grande fascino anche le scene che ricordavano le atmosfere di Piero della Francesca, soprattutto per l’uso avvincente e drammatico dello spazio che lui fa nei suoi quadri. A questo concorre anche la perfetta mobilità del palcoscenico che ha consentito trasformazioni fluide. Fra le scene non c’è mai una pausa per una trasformazione. Sembra proprio che il movimento dello spazio faccia quasi parte della scenografia.
Tutto questo ha decisamente rapito il pubblico internazionale de La Fenice che ha lungamente applaudito la riuscitissima rappresentazione.
Le fotografie dello spettacolo sono di Kiran West.