A proposito di "Ore incerte"
Voci e paesaggi
Il nuovo libro di Silvio Perrella è un "esperimento" letterario che mescola i generi per viaggiare con le parole e con gli occhi: il lettore, così, è chiamato a ricostruire i frammenti della propria stessa vita
La parola che più spesso compare in Ore incerte (Il Saggiatore, 304 pagine, 20 Euro), il nuovo libro di Silvio Perrella, è diorama. Un termine tecnico, usato con la semplicità di evocative parole-mondo, come cuore, casa, felicità. Il vocabolo ha origine nell’800, quando in Francia «in una grande sala a cupola (chiamata anch’essa diorama) veniva tesa verticalmente su una sorta di proscenio una gigantesca tela traslucida, sulle cui superfici erano dipinte due scene, a tinte tenui quella sulla faccia anteriore, a tinte più forti quella sulla posteriore; con diversi e opportuni mutamenti d’intensità e di posizione delle luci, si ottenevano varî effetti (passaggio dal giorno alla notte su un medesimo paesaggio, illusione di movimento, sovrapposizione graduale di due diverse scene, ecc.)» (Treccani).
Nel corso del tempo, diorama ha preso il significato generico di rappresentazione, spesso realizzata attraverso fedeli modelli in scala. Dunque, il termine indica l’intento rappresentativo di un oggetto nei confronti di uno luogo: ne è la concettualizzazione e poi la realizzazione miniaturizzata. Yi-Fu Tuan, padre della geografia umanistica, parla del “sense of place”, per indicare il ponte emotivo che l’essere umano costruisce verso gli spazi, forma mentale dei luoghi, il ricordo che abbiamo di loro, l’idea inevitabilmente deformata che ne abbiamo coltivato nel cuore e nel cervello. Per lui, dunque, ogni luogo possiede un campo emozionale, che il singolo individuo gli attribuisce, a seconda dell’esperienza. In tal senso, il diorama è un ineccepibile vettore di questa idea, perché nella sua natura intrattenitiva (infatti faceva parte di uno spettacolo circense) mantiene la volontà di colpire lo spettatore coi colori, con le luci, coi movimenti, quegli elementi che sprigionano da una rappresentazione spaziale dei sentimenti.
Insomma è una scatola magica che contiene idea e realtà, strettamente collegate dal ponte delle emozioni, cosa che lo rende uno strumento perfettamente umano. In Ore incerte, ogni singolo capitolo ha l’aspetto di un diorama. Il nuovo libro di Perrella, in tutte le sue parti – definite ore (c’è l’ora bassa, l’ora meridiana, ma anche l’ora ti amo) – è la rappresentazione di luoghi. Il testo prende velocemente la forma di un atlante vastissimo, dove si toccano i più svariati punti della Terra. Eppure, proprio come il diorama, l’obiettivo si focalizza sulla trasfigurazione sentimentale dei luoghi, non la loro oggettività fisica. Che si tratti di Venezia, Istanbul, Napoli, Kyoto, Salgareda, quello che conta non è l’autopsia dei luoghi, ma la loro psicologia: attraverso le parole, che sarebbero le tele traslucide del diorama, Perrella intende farci entrare nei paesaggi con l’occhio pulsante, mutevole, cercatore di uno spettatore irrequieto, che nel raccontare mantiene rappresentazione e trasfigurazione, ragione e sentimento. «Cosa sono i luoghi senza le persone, senza il loro apparire e fare geografia dei sentimenti?» scrive Perrella, in una delle tante note che appaiono ad inframezzare le ore. «Non si tratta di un viaggio consequenziale; un andare rettilineo; un portare il passo da un luogo all’altro seguendo la disposizione giudiziosa di una mappa […] Del tempo è impossibile dire nulla che non sia già cenere prima che la frase compia la sua riga. Lo si può però inseguire quando cade negli spazi e si fa ora incerta e cercante». Luogo e tempo sono intimamente collegati nell’esperienza umana e questo libro ne è una viva testimonianza, perché ogni pagina si pone all’ascolto dei sussulti dell’anima a Tangeri nell’ora serpentina, a Punta Licosa nell’ora di battesimo, ad Alessandria nell’ora a soprassalto.
Ore incerte è un testo ai limiti della letteratura, una di quelle opere che mettono un punto interrogativo alla definizione di romanzo. Non è classificabile, margina tra i generi e si fa poesia, autofiction, biografia, quaderno di viaggio, a piacimento: ha la forma della vita, ovvero l’assenza di forma. Persino il narratore si trasforma ad ogni svolta di pagina, creando un concerto di voci, perfettamente armonizzate nella musica del viaggio e del ricordo. Ci sono almeno tre anime in questo “libro”, definito «esperimento in fieri»: la prima è quella dell’autore stesso, che racconta i propri spostamenti tra le varie mete del mondo, così come i luoghi che ha incontrato nel passato; c’è la storia di Hatem e Suleika, persone-personaggi ricavati dal Divano occidentale-orientale di Goethe; ci sono le vite di scrittori, musicisti, artisti, che occupano le pagine del libro perché le loro storie sono strumenti umani, viatici per l’altrove, ponti per il segreto del vivere. Queste tre anime si intersecano come un coro a più voci, senza una precisa consequenzialità, ma con la libertà del vento, che viaggia prima da una e poi dall’altra parte. Dunque, il lettore è spinto al salto nel buio, aggiungendo all’incertezza delle pagine la propria, tentando di ricomporre i frammenti con la fantasia. In questo risiede la forza del libro: si è costretti, dal testo stesso, a completare il bianco delle pagine con la facoltà immaginativa, col ricordo e la curiosità, spingendosi ai limiti del medium, rendendo possibile riscrivere il libro in sé stessi. Bisogna trovare i luoghi non raccontati, collegare i tempi saltati, non tanto per amor di logica, ma per aderire alla natura umana, l’essere pensante-parlante-cercante.
«Custodisci i sogni di chi ama» è la frase che introduce Hatem e Suleika, due personaggi raccolti dall’opera goethiana. «Perché quando ci s’innamora a soprassalto, ogni cosa riprende una nuova forma ed è necessario ricucire la vela strappata di noi stessi e intercettare il nuovo vento e andare andare andare verso l’abbraccio o la morte». In queste parole, una direzione esistenziale che assorbe il racconto, sin dall’inizio: l’amore è il cuore pulsante, l’occhio che vibra, la penna infaticabile di chi sa stupirsi di fronte alla realtà. Perciò, la loro storia, questa rincorsa avventurosa di due anime tra gli anfratti del mondo, diventa custode del significato ultimo del libro: «Perché quel che conta è l’amore, lo sai?». Perrella sembra dirci che la vita sta fuori da noi stessi, tra le strade, le svolte inattese, gli interminati spazi, tra terra e mare; ma allo stesso tempo, il viaggio va coniugato al duale, va condiviso con un’altra anima, un altro punto di vista a raccogliere i frammenti dell’esistenza, così come fanno le due figure nella Barca mistica, il dipinto di Redon che effigia la copertina del libro.
La fotografia accanto al titolo è di Tiziana Cavallo.