Diario di una spettatrice
Taxi analyst
“Una notte a New York" con Dakota Johnson e Sean Penn è un film che parte da un'idea intrigante ma si perde presto: una seduta di psicoanalisi (troppo lunga) in un taxi...
New York, esterno notte. Un taxi sgangherato percorre l’autostrada che collega l’aeroporto JFK a Manhattan. A bordo c’è una giovane donna nervosa che si mordicchia le lunghe unghie laccate e sbircia ansiosamente i messaggi osceni che le invia a raffica l’amante sull’iPhone. Alla guida c’è un sessantenne stropicciato dalla vita, occhi ridotti a fessure, rughe profonde come cicatrici e bicipiti che gonfiano la t-shirt. Girlie e Clark sono i protagonisti di Una notte a New York, esordio alla regia della sceneggiatrice statunitense Christy Hall. Un film il cui trailer mi aveva subito intrigata, per la situazione che racconta e per la bravura degli attori chiamati a interpretarla. Purtroppo la pellicola che ho visto non si è rivelata all’altezza delle aspettative.
Spiego perché questa opera prima non mi ha convinta. Il film – escluse la scena iniziale della partenza dall’aeroporto e la scena finale dell’arrivo a destinazione – si svolge interamente all’interno della vettura che si dirige verso “la vecchia cara Midtown” dove abita la donna, auto che dopo poco resta bloccata nell’ingorgo provocato da un incidente. Questa sospensione spazio temporale crea le condizioni per lo svolgimento della storia che avviene all’interno dell’abitacolo, praticamente girata in tempo reale sulla durata effettiva del percorso, visto che è lunga 101 minuti e il montaggio si riduce all’alternanza di primi piani strettissimi sui due attori e riprese dell’auto in corsa.
Il film consiste esclusivamente nel dialogo che nasce tra il taxi driver, loquace quanto un avvocato ma con uno slang infarcito di “fuckin” e “bullshit”, e la cliente che gli rivela a poco a poco i segreti della sua vita privata fino a confessargli i suoi traumi infantili. È una situazione che mi è sembrata fin dall’inizio artificiosa, perché questi confronti verbali che mettono a nudo la mente e la vita succedono solo in una seduta psicoanalitica e dopo un lungo trattamento.
L’artificio è rafforzato dal fatto, evidente fin da subito allo spettatore, che si tratta di una sceneggiatura destinata a uno spettacolo teatrale: il luogo è unico e delimitato dai finestrini dell’auto, ho scoperto che le scene sono state girate su un palcoscenico dotato di schermi giganti che riproducono l’ambiente esterno. Ora, io amo molto il teatro, ma quando è fatto a teatro, cioè con la presenza contemporanea degli attori e degli spettatori. Per convertire il teatro in cinema in modo convincente, cioè senza annoiare visto che i due linguaggi sono diversi, ci vuole un grandissimo regista come Roman Polanski (penso ai suoi film Venere in pelliccia e Carnage).
La situazione che Hall ambienta nel taxi è invece del tutto improbabile, la regia procede a fatica, i due attori protagonisti (Sean Penn e Dakota Johnson) sono diretti in modo approssimativo e la loro gestualità risulta ripetitiva, senza sfumature: Dakota Johnson continua a mordersi le unghie e Sean Penn mi è sembrato fuori parte, non ho ritrovato l’attore di Mystic River e This must be the place, ma certo quelli erano ben altri registi.
La storia della programmatrice informatica che torna a New York dall’Oklahoma dove un tempo viveva con la sorella e dove si è consumato l’ennesimo trauma della sua vita – in apparenza realizzata, in realtà fragilissima e irrisolta, con un amante sposato e con prole, il daddy-paparino del titolo originale – resta incastrata nello spazio angusto del taxi e non decolla oltre il dialogo improbabile con un conducente zotico trasformato in un personaggio a metà tra lo psicanalista e l’insegnante di yoga, come suggeriscono i consigli finali che Clark propina a Girlie.
Alla fine del film mi è venuta in mente una scena di Mighty Aphrodite di Woody Allen, quando il coro greco commenta la tragedia di Edipo e declama che il mito del figlio che uccide il padre per andare a letto con la madre avrebbe dato origine a una professione di successo pagata 150 dollari all’ora, dove l’ora è di 50 minuti. Ecco, una seduta psicanalitica dura 50 minuti. Collocarla all’interno di un taxi è una forzatura cui nessuno crede, raddoppiarne la durata magari funziona su un palcoscenico, non al cinema.