Sergio Buttiglieri
Al teatro San Carlo di Napoli

Rusalka in piscina

Il regista russo Dmitri Tcherniakov ha proposto una "Rusalka" di Dvorak in chiave moderna e per niente fiabesca: un azzardo riuscito, per uno spettacolo molto emozionante

Grande inizio, quello della stagione lirica 2024/2025 del Teatro San Carlo di Napoli con una sorprendente Rusalka di Antonin Dvorak messa in scena dal bravissimo regista Dmitri Tcherniakov che ha voluto produrre una scossa elettrica a noi spettatori. Ha, con grande maestria, cercato di andare oltre il limite di questa fiaba lirica in tre atti della celebre sirenetta su libretto di Jaroslav Kvapil.

Questo regista (che è anche straordinario scenografo) ha preferito concentrare l’attenzione su Rusalka, tenendo gli altri personaggi ai margini, compreso il Principe (impersonato adeguatamente dal tenore Adam Smith), per raccontare non una Rusalka da fiaba ma una Rusalka vera. Il Principe, chiarisce il regista, è solo l’artefice della sofferenza di Rusalka. Non c’è bisogno di infarcirlo di tutti i dettagli della fiaba. E così i personaggi acquisiscono uno spessore psicologico. Tcherniakov sapeva che quest’opera era particolarmente amata dai cantanti. Ma lui ha saputo non infarcirla di troppa crema, è riuscito a non renderla sdolcinata, né melodrammatica. Prima di tutto scegliendo un cast che potesse dare profondità al racconto. A cominciare dalla stratosferica, applauditissima soprano lituano Asmik Grigorian nel ruolo di Rusalka. Una vera attrice che canta con una versatilità sbalorditiva. Una ragazza vera che abita in un mondo moderno. Il tempo delle fiabe è passato. Non vogliamo andare a teatro per azzerare il nostro vissuto e la nostra esperienza. Altrimenti, sostiene il regista, sarebbe un autoinganno e il nostro rapporto con l’opera sarebbe ridotto, piccolo.

L’opera inizia (e prosegue come in una sorta di graphic novel per i tre atti in versione a tratti acquatica o urbana grazie alla maestria di Maria Kalatozishvili) con i disegni animati delle sirenette, fatti apposta per questa sua regia, che nuotano dentro l’acqua. Poi affiora Rusalka in tutta la sua corporeità. Nel secondo atto lei alla festa in costume al castello, tutti sono intenti a travestirsi e lei si travestirà da Rusalka, persino con la coda da sirena.

Questo capolavoro di Dvorak, che debuttò nel 1901 al Teatro Nazionale di Praga, ha ancora oggi la capacità di toccare corde universali e profondamente contemporanee. Dvorak, ci ricorda il sovrintendente in uscita del Teatro San Carlo Stèphane Lissner, ci invita a riflettere sull’eterna tensione tra l’umano e il sovrannaturale, tra il desiderio di appartenenza e la condanna dell’incomprensione. Rusalka ci parla di vulnerabilità, di trasformazione e della complessità delle emozioni umane.

Questa nuova, potente produzione, grazie all’accorta regia di Tcherniakov, ci ha tutti incantati, grazie alla sorprendente scenografia che ci permette di focalizzare i cantanti in riquadri sempre in movimento che ci stupiscono non facendoci percepire se veramente gli attori sono reali o all’interno di un video, se cantano davvero in diretta oppure frutto di una realtà virtuale. Una complessa affascinante sinergia fra tecniche barocche e software che ci conducono verso le intelligenze artificiali.

Musicalmente, la sostanza di Rusalka si usa farla risalire con certezza ai precedenti fondativi e ispiratori di Wagner, di certo Brahms, del nazionalismo boemo, di tardo romanticismo miscelato con la rivendicazione di una presenza consistente di spirito melodico popolare ceco. In questo straordinario caleidoscopio di stili e di rimandi che è Rusalka, emerge tuttavia, pur con l’anticonvenzionale regia a cui abbiamo assistito, la meravigliosa capacità di Dvorak di cesellare con elegante leggerezza fiabesca questo spazio sonoro talvolta incantato, altre volte arabescato e sognante, anche grazie alla perfetta direzione del coro di Fabrizio Cassi.

Così, andando a rileggere la Sirenetta di Andersen abbiamo ritrovato il resoconto lineare e sintetico di una vicenda tragica tra terra e mare. Analogamente se rileggiamo a fondo il libretto di Jaroslav Kvapil che tanto piacque a Dvorak, ormai maturo e celebrato compositore, possiamo raccontarci che, in fondo, si tratta della solita storia di metamorfosi di una creatura non umana che desidera diventare donna, che per farlo sigla un contratto maledetto con la strega dei boschi Jezibaba (interpretata dalla notevole Anita Rachvelishvili) e che, tradita dal Principe amato, è destinata a sprofondare negli abissi del lago dopo aver dato la morte all’amante infedele, con contorno di ninfe, ondine, cacciatori e principessa rivale ( la brava mezzosoprano Ekaterina Gubanova).

Per Dvorak, ci ricorda il direttore musicale Dan Ettinger, tutto è suono, movimento e amore. E amore vuol dire pace. Le regie, come quella di Tcherniakov, rileggono l’opera in vari modi, la partitura è invece intoccabile. Non possiamo e non vogliamo cambiarla, ci ricorda Ettinger, La musica è la musica da favola di Dvorak. Apparentemente ci troviamo di fronte ad un contrasto. Come può funzionare una partitura fiabesca su una storia con i toni e i costumi della quotidianità? Ebbene, funziona, sembra un ossimoro, ma non lo è, anzi è proprio nella diversità dei registri che si ricrea l’armonia. A volte quello che pare stridere, a un livello più profondo mostra una connessione nascosta: è il segreto di questa produzione meravigliosa. E noi spettatori concordiamo perfettamente con lui. Felici di aver assistito a questo ennesimo inizio di Stagione sempre di grandissima qualità come il Teatro San Carlo, il più antico d’Italia, si merita.

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