Cartolina dall'America
Encomio di un presidente
Ritratto di Jimmy Carter, morto a cent'anni. Di sicuro è stato uno dei presidenti americani più sottovalutati: un leader sincero che, più di molti altri, ha cambiato volto alla società Usa con il suo stile e le sue riforme
Si può dire con relativa certezza che il democratico Jimmy Carter sia stato il presidente più sottovalutato della storia degli Stati Uniti. Almeno cosi dicono molti degli storici presidenziali americani. A causa di questa mancata considerazione dopo il suo primo mandato che va dal 1977 al 1981 gli è stato preferito l’attore repubblicano Ronald Reagan il quale, a mio avviso, al contrario, è invece il presidente più sopravvalutato della storia americana. La fama di Jimmy Carter viceversa è legata principalmente agli anni successivi a quelli del mandato presidenziale.
Dopo essere stato senatore della Georgia dal 1963 al 1967 e il 76esimo Governatore di quello stato dal 1971 al 1975, nella successiva corsa presidenziale Jimmy Carter si è rivelato una sorpresa. Ha battuto tutti i candidati democratici e il repubblicano Gerald Ford che corse per la Casa Bianca dopo essere stato vicepresidente di Richard Nixon e poi presidente quando quest’ultimo si dimise a causa dello scandalo Watergate. Come dice lo storico Jonathan Alter nel suo libro, uscito nel 2021 His Very Best, Jimmy Carter è stato male interpretato dalla storia americana. Alter, dopo avere scandagliato in filigrana i suoi anni presidenziali ha scoperto che gli accordi di Camp David tra l’egiziano Sadat, e l’israeliano Begin, promossi da Carter, costituiscono i capitoli di uno dei trattati di pace più significativi dalla seconda guerra mondiale in poi. Gli unici che assicurarono una pace in Medio Oriente in quegli anni. Oltre a questi, Carter stabilì relazioni diplomatiche bilaterali piene con la Cina, su cui ancora oggi il mondo dell’economia si basa per i suoi rapporti di scambio. Con l’Unione Sovietica di Breznev concluse un accordo per la limitazione delle armi nucleari e iniziò le negoziazioni che avrebbero poi restituito il canale di Panama a Panama.
Carter ha siglato 14 provvedimenti di leggi ambientali che già da allora tenevano conto delle modificazioni climatiche, ha istituito la FEMA (Federal Emergency Management Agency), l’ente federale per la gestione delle emergenze, ha varato un provvedimento, il cosiddetto Ethics in Government Act, che proteggeva gli informatori, i cosiddetti whistleblowers del governo, ha creato il Dipartimento di Education e quello dell’Energia. Ha nominato inoltre a direttore della Federal Reserve, quel Paul Volcker che risanò l’economia riducendo l’inflazione, cosa di cui Reagan in seguito si prese il merito.
Carter veniva da lontano, da una fattoria a Plains, in Georgia dove, quando nacque, non c’era acqua corrente, né elettricità. Studiò all’accademia navale di Annapolis in Georgia, conseguì un diploma in scienze e perseguì la carriera militare. Nel 1946 sposò la moglie Rosalynn con la quale rimase insieme per tutta la vita e alla quale dovette l’incoraggiamento nella carriera politica. Successivamente frequentò corsi di energia nucleare all’Union College di Schenectady, ma quando il padre morì improvvisamente dovette ritornare ad occuparsi dell’azienda di famiglia e lasciò allora la carriera militare con il rank di tenente. Pagati i debiti e diviso il patrimonio tra gli eredi, la famiglia Carter si ritrovò povera a vivere in una casa popolare. Dopo anni di studio dei processi agricoli e di saggia amministrazione, l’azienda agricola di noccioline divenne un’impresa di successo. Questa condizione gli garantì il supporto economico quando iniziò la carriera politica al cui centro pose le lotte per i diritti civili, che sostenne per tutta la vita. In politica ebbe alti e bassi e la sua parabola fu sempre caratterizzata da una profonda fede religiosa che lo sostenne e lo aiutò anche nei momenti più difficili. Fu tuttavia sempre un fervente sostenitore di una libera chiesa in libero stato.
Certo commise errori che gli costarono cari tra cui quello di avere un difficile rapporto con il Congresso ed ebbe la sfortuna che la fine del suo primo e unico mandato coincise con la crisi degli ostaggi americani prigionieri nell’ambasciata americana a Teheran, dopo la rivoluzione di Khomeini. Questa vicenda determinò la sconfitta alle successive elezioni che premiarono il suo avversario, Ronald Reagan. Un altro errore che gli costò la presidenza fu la sua incapacità di unificare il partito democratico. E la sfida da sinistra di Ted Kennedy nelle primarie del 1980 gli fu di grande detrimento. Ma ci furono anche altre condizioni oggettive che lo danneggiarono come il costo del petrolio, la crisi energetica, l’inflazione. Danneggiarono soprattutto la considerazione della sua presidenza i cui riconoscimenti tardivi sono arrivati proprio in questi ultimi anni, anche se già nel 2002 gli fu conferito il premio Nobel per la pace. Ma durante gli anni del suo mandato rimasero invisibili.
Rimane tuttavia la difficile questione del suo mancato riconoscimento all’epoca, nonostante le riforme che varò e le innovazioni che portò. Inoltre non è mai stato rimarcato il fatto che Jimmy Carter è forse l’unico presidente americano che non ha mai mentito e che è stato fedele alle sue parole fino in fondo, una cosa rara e unica nella politica at large di tutti i tempi.
Viene comunque spontaneo chiedersi perché gli americani dopo presidenti che hanno tenuto fede alle proprie promesse, passando provvedimenti di portata politica epocale, ne scelgano altri che un po’ per il loro gigioneggiare con i media, un po’ per le loro attitudini di uomini di spettacolo, riescono come gli incantatori di serpenti a conquistarli con promesse superficiali e perfino con i loro errori che fanno passare per nuove verità e riforme necessarie per il paese. Hannah Arendt avrebbe detto che mancano di stile, quello stesso che invece la filosofa attribuì a JFK, eccetto che quella fu un’eccezione che non si è più ripetuta nella storia presidenziale americana e che certo ormai, anche se ci fosse, non attirerebbe più consensi. Uno stile sobrio, serio, essenziale basato sulla capacita di accettare responsabilità importanti che richiedono, rinunce, sacrifici, gli stessi che Kennedy chiese ai cittadini di esigere dai loro governanti, non è più popolare
Cosi purtroppo gli americani hanno votato per Ronald Reagan dopo Jimmy Carter e per Donald Trump dopo Barack Obama e ancora per Trump dopo Joe Biden, tutti presidenti che non verranno certamente ricordati per il loro stile.
Anche Obama, come Carter, ha avuto difficili rapporti con il Congresso, (esso a maggioranza repubblicana ha praticato nei suoi confronti un ostruzionismo cieco e distruttivo) e non è riuscito a tenere unito il partito democratico. Inoltre la sfida a sinistra ha prestato, anche nel suo caso, il fianco a critiche pesanti, non tanto perché le richieste di quella parte fossero più giuste, quanto perché Bernie Sanders, suo esponente di punta, ha avuto il sostegno della stragrande maggioranza dei giovani su molti punti del programma elettorale. La moderazione di Obama, come quella di Carter, è stata alla fine una carta vincente per entrambi, perché non solo hanno attirato maggiori consensi, ma hanno rispecchiato di più il tessuto sociale del paese. Tuttavia nella sinistra meno compromessa con il potere c’è ancora una maggioranza di persone professionalmente inclini ad accettare sfide ideali e a cui è rimasto un briciolo di etica nel rapporto con la politica. Mentre per rispettare valori più moderati si sono rispolverati, vedi il caso di Obama, personaggi dall’anima nera come Larry Summers o Timothy Geithner compromessi fino al collo nella crisi del 2008 e mai riabilitati, e che non hanno giovato a molte delle sue scelte economiche.
Forse più che cercare di compiacere e allisciare il pelo della loro base elettorale, i futuri presidenti democratici, oltre all’unità del partito, necessaria per far funzionare la macchina politica, dovrebbero preoccuparsi di più del casting dei personaggi che fanno eleggere e di cui si circondano. Chissà se l’algoritmo di questi tempi glielo permetterà…