“Cosa dire ” di Angelo Capasso
Il pensiero sull’arte
Un percorso nella critica d’arte dalle origini fino a oggi, epoca del post digitale. Tra le diverse forme letterarie che l’hanno attraversata, le contiguità con altre conoscenze (linguistica, antropologia, filosofia, psicoanalisi, economia, sociologia) e i diversi contesti di applicazione (riviste, editoria, mostre d’arte)…
Lo status della critica d’arte è un argomento che conosce un dibattito intenso negli ultimi venti anni. La forte diffusione di riviste e di archivi di testi online propone dei modelli di lettura del testo scritto che non può non influire sulla scrittura, in generale, e in particolare sulla scrittura critica, quando questa deve proporsi come canale di approfondimento sulle problematiche offerte dall’arte. Angelo Capasso è un critico d’arte che ha analizzato le condizioni della critica d’arte sotto aspetti diversi nelle sue diverse pubblicazioni. In particolare con Naturans. Il paesaggio nell’arte contemporanea (Skira, 2018) ha fornito un’idea del progetto critico applicato nel Novecento da un punto di vista inedito, come analisi dell’arte del paesaggio intesa come progetto mentale che ha coinvolto l’arte in tutte le sue sfaccettature (pittura, scultura, performance arte, land art, e tutte le forme di concettualismi) e Sortir Du Champ. Art Criticism Outside the Ready Media (Silvana Editoriale, 2021) in cui l’uscita dal ready made non è soltanto un obiettivo dell’arte, ma anche della critica d’arte, in quanto scrittura senza autore, senza autorevolezza, senza autorialità. Con Cosa dire. Manuale di critica d’arte (Edizioni Grenelle, 2024), Capasso propone invece un’idea di critica d’arte che recupera la sua naturale predisposizione a strutturare e strutturarsi, si propone quindi come modello nuovo per la critica d’arte nel suo momento di crisi più profonda.
Il testo descrive un percorso della critica d’arte dalle sue origini fino a oggi. L’opera analizza le diverse forme letterarie attraverso cui questa materia ha preso forma per poi addentrarsi nella critica d’arte contemporanea, le contiguità con altre forme di conoscenza quali la linguistica, l’antropologia, la filosofia, la psicoanalisi, l’economia, la sociologia, e i diversi contesti in cui trova la sua applicazione: le riviste, l’editoria, le mostre d’arte. Come precisa Capasso (nella foto) sin dall’introduzione, il libro non intende essere un canonico manuale da scuola, ma proporre un punto di vista policentrico sul pensiero che ha toccato l’arte. Cosa dire è un manuale perché mette al centro il “cosa”, la relazione tra la parola della critica e quella dell’opera, la proposta di «essere un contenitore delle riflessioni di cui è necessario tener conto per conoscere l’arte e ampliare ogni indagine personale su di essa». Questo volume è quindi un’indagine sullo stato della critica a partire dalle sue motivazioni storiche (scrittori, filosofi e teorici che hanno contribuito alla nascita di un pensiero analitico cui la critica ha strutturato i suoi metodi di interpretazione) fino a oggi, epoca del post digitale. Negli ultimi anni, infatti, l’esplosione delle funzionalità espresse dal web e dai social media hanno trasformato l’idea di critica in un pensiero frammentario disperso nella rete, accolto in modo disattento e disinteressato. La proliferazione di testi brevi, di opinioni estemporanee e un linguaggio sempre più parsificato, come direbbe Kenneth Goldsmith, hanno portato alla definitiva crisi del libro e azzerato ogni forma di dibattito sull’arte aggiungendo ulteriori complicazioni a quelle che investivano la critica d’arte da tempi più lontani dell’avvento del web. «L’analisi di questo libro è dunque dettata dall’impossibilità di definire una teoria unica di definizione dell’opera d’arte, ma modelli di indagine che a ogni domanda cosa direrispondono rimettendo in discussione anche l’identità stessa della critica d’arte. Come nei testi critici di Arthur C. Danto, Cos’è un museo, Cos’è l’arte, Cosa dire di Angelo Capasso è un manuale aperto che pone una domanda in tono affermativo, ammettendo di essere un’opera che invita il lettore a completarla e a guardarne i contenuti come a un «delta di ipotesi che rimettano in gioco tutte le carte disponibili, anche quelle non giocate».
Nel dettaglio: il volume si divide in tre grandi capitoli. Il primo, Per una storia della critica. D’après Giulio Carlo Argan, ripercorre le origini della storia della “critica d’arte” trovando nell’omonima voce dell’Enciclopedia Novecento Treccani, scritta da Giulio Carlo Argan nel 1975, il suo fil rouge. Dice Capasso: «La critica d’arte nasce da un paradosso: dal dilatarsi dell’immagine attraverso la parola che si maschera in un apprezzamento, un’opinione, un giudizio. L’immagine e la parola sembrano due forme di conoscenza separate al principio. Ripercorrere la storia della critica d’arte fin dall’origine significa risalire alla scaturigine di questo paradosso, spingersi quindi al congiungersi dei due poli, dove è comunque la parola a convergere e a confluire nell’arte». Da questi presupposti si identifica la differente posizione dello storico e del critico d’arte: «Il confronto tra il critico e lo storico dell’arte si fonda sul diverso raggio d’azione dei due: lo storico descrive una linea diacronica, orizzontale, infinita, che si basa su dati accertati; il critico invece opera in senso sincronico, puntuale, entro un ambito ristretto, basandosi su informazioni nuove, da verificare quindi su dati accertabili. La storia dell’arte quindi è il frutto di certezze sedimentate, misurate dal lungo confronto intrattenuto con altri storici dell’arte; quelle della critica sono invece certezze non sedimentate alla ricerca di una propria collocazione».
La seconda parte del libro analizza gli strumenti critici affiancati alle scienze umane, come psicoanalisi, sociologia e filosofia, per rivelare nuovi aspetti dell’arte. Gilles Deleuze, nel suo saggio Critique et Clinique, introduce la clinica come un contesto analitico, dove l’atto creativo diventa un atto curativo e di resistenza. Arnold Hauser, con Storia sociale dell’arte(1955), segna l’inizio dell’analisi sociologica dell’arte, evidenziando l’interdipendenza tra fattori sociali, economici e politici all’interno di un “sistema dell’arte”, cioè l’insieme delle funzioni nate attorno all’opera d’arte, nate in questa rete composta dal critico d’arte, dalle università, dai musei, dall’editoria, dal collezionista, dal mercante, dal gallerista, dalle case d’aste e dalle fiere. La seconda parte di questo capitolo è invece dedicata alle teorie sul postmodernismo, in particolare al femminismo e al post-femminismo.
L’ultimo capitolo, Il critico all’opera, tratta del dibattito nato con il nuovo millennio attorno alla potenziale o reale crisi della critica d’arte destituita dal suo ruolo tradizionale dell’arte stessa e del panorama borbottante dell’informazione di massa che ormai dilaga a una velocità imprevedibile. Oggi, il dibattito sembra essersi spostato dalla crisi dell’arte alla crisi della critica d’arte. Il problema attuale, più che l’autorevolezza della critica, sembra essere l’autorevolezza degli spazi in cui la critica si esprime. Attualmente, assistiamo infatti anche alla frammentazione di questa disciplina (distinzione tra la critica degli artisti, la critica accademica e quella giornalistica), prodotto della trasformazione subita dalle riviste d’arte, e della proliferazione di riviste online e di giornalisti anonimi che hanno trasformato la scrittura sull’arte in scrittura informatica. Tutto ciò ha ovviamente avuto anche un forte impatto sul linguaggio, e Capasso cita il noto studio di James Elkins, What Happened to Art Criticism? (2003), secondo cui l’attività critica si stia sempre più identificando con la scrittura creativa. Al contrario, per Capasso, il rinnovamento della critica dovrebbe sorgere dalla sua autonomia e libertà, ma anche dalla sua profonda capacità di organizzarsi attorno alle scienze, allontanando le visioni autoreferenziali del Postmoderno, le sue invenzioni linguistiche e narrazioni fantasiose, per ritornare, come indicava Argan, all’interno del solco delle conoscenze epistemologiche che sono nate nel Novecento. La critica per uscire dalla crisi, deve essere uno strumento che “genera crisi”, quindi esce fuori dalla scrittura ammorbidita e consolatoria diffusa dai media digitali, per contribuire a elevare il discorso artistico e a mantenerlo fertile e dinamico, scrivendo una storia tramite centri concentrici e mobili che promuovono costantemente nuove onde di pensiero. Per sviluppare tali capacità, la voce critica deve essere un “dire” e non semplicemente un “parlare”, rappresentando questa la certezza più solida.