Diario di una spettatrice
La favola di Anora
“Anora”, il film di Sean Baker che ha vinto a Cannes, è un generico remake (aggiornato ai tempi di Trump) di “Pretty woman”. Ma è una storia senz'anima che trasmette più noia che emozioni
È la favola di Pretty Woman (che è poi la vecchia storia di Cenerentola non più serva ma prostituta) riproposta oltre trent’anni dopo: invece dei finanzieri di Wall Street ci sono gli oligarchi russi, i loro figli viziati e viziosi, i gorilla e gli strip club, e fuori dalle ville e dalle limousine i poveri veri che non hanno niente, l’estrema ricchezza e l’estrema miseria di un mondo al contrario in cui i disperati votano per Donald Trump e Elon Musk. Insomma è l’America, bellezza!
In sintesi questa è Anora, la pellicola scritta, diretta e co-prodotta da Sean Baker che si è aggiudicata quest’anno la Palma d’oro a Cannes e che ora è nelle sale.
Credo che la domanda sia legittima: questo film meritava l’ambito riconoscimento? Secondo me no. E non perché sia un film “brutto”, girato o recitato male, tutti i tasselli che costruiscono una pellicola ben fatta sono al posto giusto. Ma manca un ingrediente fondamentale: Anora è un film senza anima, il regista racconta una storia ma non corre il rischio di avventurarsi oltre la superficie, non abbandona la sua confort zone fatta di bravi attori e di inquadrature perfette. Eppure questa pellicola avrebbe qualcosa a che vedere con alcuni aspetti dei tempi che stiamo vivendo, magari per noi lontani ma non per questo meno veri, ma fermandosi alla pelle (e in questo film è letteralmente così) non suscita nello spettatore alcuna emozione, è solo fiction. E la deriva di una generazione che, avendone i mezzi economici, preferisce consumare freneticamente tutto, a cominciare dalla propria vita, fino a stordirsi, è solo uno sfondo fotografato con le luci giuste.
La storia inizia in uno strip club di Manhattan, HQ, cioè Headquarter, quartier generale, dove le ragazze si spogliano e nei privé fanno dei loro corpi la fonte dei loro guadagni. Le scene sono esplicite, sospetto l’uso di controfigure professioniste in alcune performance acrobatiche di lap dance.
Anora detta Ani è una di loro, lunghi capelli neri, occhi grandi, una bocca che si mangia il viso, un corpo acerbo e perfetto, una nonna uzbeka che le ha insegnato il russo. Ovviamente sogna come tutte un’altra vita, anche se nel suo mestiere è la più brava. Visto che è l’unica spogliarellista che parla russo, viene gettata tra le braccia di Ivan detto Vanja, un ragazzo che è il sosia di Bob Dylan da giovane, con la sfacciataggine dell’erede di un miliardario moscovita. I suoi l’hanno spedito a New York per studiare, lui ha altre idee su come impiegare il tempo.
L’incontro tra i due ha tutti gli ingredienti per trasformarsi ben presto da hot date a love story. Lui la porta nella villa di famiglia e la vuole in esclusiva per presentarla agli amici come la sua ragazza, lei accetta in cambio di una cifra con molti zeri. E fin qui sembra davvero la riedizione della celebre commedia di Garry Marshall del 1990, anche se appare evidente che l’arroganza e l’immaturità di Ivan non hanno niente a che vedere con la classe e l’esperienza di Richard Gere.
Tra le frenesie del sesso adolescenziale, ogni tipo di droga e di alcol, party orgiastici presidiati dai gorilla, limousine e videogames compulsivi, Ivan chiede ad Ani di sposarlo e pare uno scherzo, ma lui è in un raro momento di lucidità tra una sbronza e l’altra perché in gioco c’è la Green Card e il suo desiderio di fuggire dalla famiglia. Lei capisce al volo che è l’occasione della sua vita e gli propone di celebrare le nozze nella Graceland Wedding Chapel di Las Vegas dove, come sanno tutti, è possibile farle in fretta e con valore legale.
Le conseguenze di questo matrimonio improbabile seguono una sceneggiatura ampiamente prevedibile. Ma è in questa seconda parte che arrivano le scene più godibili del film, quando la storia vira verso la commedia grottesca e certe situazioni evocano alla lontana, ma senza l’intelligenza micidiale dei dialoghi, i paradossi di Pulp fiction che proprio quest’anno celebra i trent’anni. Il gorilla russo che viene messo KO dalla ragazza, la lotta tra i due che fa macerie dell’arredo della villa, l’entrata in scena di T’oros, l’uomo di fiducia della famiglia e padrino di Ivan, per bloccare i neo sposi e costringerli ad annullare le nozze, è certamente la parte divertente della pellicola.
Bravi tutti gli attori, soprattutto la protagonista Mikey Madison chiamata a interpretare un ruolo non facile. Nonostante la giovane età, l’attrice ha alle spalle molta televisione ed è al suo sesto film (ha recitato anche per Quentin Tarantino in C’era una volta a… Hollywood).
In definitiva, cos’hanno visto i giurati di Cannes in Anora per assegnarle la Palma d’oro? Forse hanno voluto premiare un’intenzione: raccontarci un capitolo di questi nostri tempi duri e feroci attraverso la storia di una ragazza bella e disinibita come Anora. Alla fine lei scoprirà di credere ancora alle favole e che tutta la sua spregiudicatezza era solo apparenza. Ma le favole costruite oggi, come sappiamo bene, sono finte e soprattutto non prevedono più il lieto fine.