Diario di una spettatrice
Il prossimo caos
Il nuovo film di Bertrand Bonello, “La Bête”, vagamente ispirato a Henry James, è una storia che mescola cronaca e fantascienza. Una grande prova per la protagonista Léa Seydoux
«Qualcosa lo attendeva, alle curve e agli incroci lungo il cammino dei mesi e degli anni, come una bestia feroce in agguato nella giungla». Il protagonista del racconto di Henry James La bestia nella giungla vive costantemente con la paura che gli succeda qualcosa di terribile e solo alla fine capisce che l’evento che il destino gli aveva riservato era la rivelazione della sua incapacità di amare.
È questo lo spunto letterario da cui ha origine la storia raccontata dal regista francese Bertrand Bonello nel film The beast, presentato l’anno scorso al festival di Venezia e giunto finalmente nelle sale. Un film complesso, a tratti cervellotico e di non facile interpretazione, certamente troppo lungo (146 minuti), in bilico tra fantascienza e mélo romantico, costruito quindi con ingredienti apparentemente inconciliabili. Ma nonostante questi limiti La Bête (titolo originale di una pellicola parlata in francese e in inglese e che raccomando in versione originale) è un film affascinante, perché travalica i classici schemi spazio-temporali e perché deve molto ai due protagonisti: la parigina Léa Seydoux e il londinese George MacKay.
Per godersi questo film aiuta credere almeno un po’ alla possibilità che noi viviamo molte vite. Perché di questo si tratta: l’azione inizia a Parigi nel 2044, precipita all’indietro nella Belle Époque del 1910, si trasferisce nella Los Angeles del 2014. Cosa collega queste tre vite lontane nello spazio e nel tempo? La presenza delle stesse due persone, un uomo e una donna di circa trent’anni, lui londinese e introverso, lei parigina di abbagliante bellezza ed eleganza, che continuano a incrociarsi e a inseguirsi per realizzare quell’incontro d’amore che non avverrà mai. E sta forse in questa impossibilità la traccia letteraria iniziale che il regista ha voluto mantenere all’interno di una sceneggiatura che presto prende altre strade.
Perché il presente del film è nel futuro di una Parigi proiettata tra vent’anni, una metropoli desertificata dove l’intelligenza artificiale ha occupato ogni aspetto della vita e alle persone che vogliono trovare un lavoro viene richiesto di ripulire il proprio DNA dalla memoria dei traumi e delle emozioni vissute in altre vite. Ma poiché questo “bagno” impone di riviverle, ecco che la storia balza repentinamente a quando tutto ebbe inizio, nella Parigi del 1910.
Prima di aggiungere ulteriori considerazioni, sottolineo una scelta del regista che ha un peso notevole nella sceneggiatura: all’interno della fiction ci sono riferimenti ad avvenimenti reali. La Parigi del 1910 non è scelta a caso: quell’anno la città fu sommersa dalla più grande alluvione della Senna che si ricordi. E sarà per colpa dell’alluvione che l’incontro tra Gabrielle e Louis, ricchi, belli e innamorati negli anni favolosi della Belle Époque, avrà un esito drammatico. Lo stesso dramma si ripeterà nella Los Angeles del 2014, poiché Bonello recupera nel film la vicenda del massacro di Elliot Rodger all’università della California. Fiction e realtà vengono così sovrapposte dal regista per costruire le tappe della storia di Gabrielle e Louis.
Cos’è “la bestia” che viene continuamente evocata nella pellicola, la percezione di una minaccia incombente che paralizza Gabrielle Monnier nelle scelte delle sue vite? Viene da pensare sia l’incapacità di concedersi l’amore e quindi di essere felice e pienamente umana. Non è casuale che il tema della bambola, cioè l’altro sé finto, attraversi tutta la pellicola: il marito di Gabrielle nel 1910 ha una fabbrica di bambole, nella villa di Los Angeles nel 2014 lei dialoga con una bambola-automa parlante, nel futuro le bambole diventano come i replicanti di Blade Runner e aiutano gli umani fino a innamorarsene. Ma non ci sono più emozioni, non ci sono più paure, ci sono solo gli occhi vuoti delle bambole che guardano i presagi di morte sparsi ovunque: incendi, coltelli sui tavoli, auto in corsa e i piccioni al posto dei corvi di Hitchcock.
Alla fine la storia sembra concedersi un inatteso happy end: tra vent’anni Gabrielle e Louis raggiungeranno finalmente quell’unione tanto a lungo inseguita? Chissà.
Certo, Bonello ha dovuto affrontare non poche complicazioni per realizzare questa pellicola. Il regista ha cominciato a scrivere la sceneggiatura nel 2017 avendo scelto fin da subito i protagonisti Léa Seydoux e Gaspard Ulliel, che aveva già diretto nel film Saint Laurent. Ma quando le riprese dovevano iniziare è scoppiata la pandemia e nel 2022 è morto tragicamente Ulliel (a Gaspard è dedicato il film). Come se la realtà volesse imporsi ancora una volta sulla finzione e al regista e a noi spettatori non restasse che credere alle parole che Gabrielle sussurra: «Ci devono essere cose bellissime in questo caos».