Roberto Cavallini

La vita è un platano

Per Roma Art Week, Francesca di Ciaula e Silvia Stucky hanno realizzato una performance sul Lungotevere dove fu uccisa Giorgiana Masi. Quasi un rito di rinascita

Si è svolta il 23 ottobre una performance nell’ambito della nona edizione di RAW (Roma Art Week) delle due artiste Francesca di Ciaula e Silvia Stucky, «Tutto esiste in relazione a qualcosa d’altro. Tutto nasce dall’incontro. Le relazioni sono più importanti delle cose. Le relazioni sono affinità, scambio, empatia. La consapevolezza che tutto sulla terra è interconnesso, è in relazione, in continua e reciproca dipendenza l’uno dall’altro. Siamo interconnessi e interdipendenti. Questo genera ricchezza e ci affida una grande responsabilità: la responsabilità della cura». Affermano le due artiste.

Una cura rivolta, in questo caso, al ceppo di un grande platano, nel tentativo riuscito, malgrado la pioggia battente, di coinvolgere i passanti attraverso la donazione di opere, realizzate al momento, con varie tecniche tra cui i frottage che fa emergere dallo strofinare matite l’impronta dell’albero o opere ad acquerello realizzate sulla superficie del ceppo e ancora con interventi sulla corteccia e nel deporre terra negli squarci del tronco come elemento fertile per una nuova vita.

Due donne, due artiste mosse da un comun sentire, in momenti diversi, a bordo dello stesso famigerato Tram 8 che, per chi abita a Roma, è un po’ il simbolo della ripartenza e dell’arresto, e della speranza sospesa, all’altezza di ponte Garibaldi hanno osservato sgomente la scomparsa di un platano secolare. Ora di quell’ultimo platano, del filare di lungotevere, ne rimane solo un ceppo.

Una vita è stata interrotta e ne rimane (botanicamente giustificato o no, non è dato saperlo) il segno violento dalla mano dell’uomo. Il caso ha voluto che quel taglio sia stato operato dove avvenne un’altra interruzione, quella della vita di Giorgiana Masi, che fu uccisa proprio in quel punto e la cui lapide, che ricorda quel tragico evento di cui il potere è responsabile, ora non gode più del riparo di quelle fronde.

Due donne in momenti diversi a bordo di quel tram hanno rivissuto con forte lacerazione il senso della morte, il taglio netto e la sparizione di una vita umana proprio nel luogo dove innumerevoli volte sono tornate indipendentemente l’una dall’altra, a commemorare i tragici fatti del 12 maggio 1977.

Due donne in momenti diversi hanno sentito forte la necessità di avvicinarsi a quest’ultimo ceppo e a quella lapide, ma se da una parte la mano dell’uomo stroncò irrimediabilmente una vita, dall’altra una seconda vita non vuole morire perché non tutto dipende dalla mano dell’uomo e può sottostare al suo controllo.

In questi anni recenti, si suole ripetere come un tragico avvertimento, che l’umanità si sta dirigendo inesorabilmente verso la fine del mondo, ma fine del mondo non sarà. Sarà solamente estinzione del genere umano. Il mondo e la natura circostante sanno come mutare, come adattarsi, come opporsi, come resistere; forse, il concetto psicologico della resilienza, l’essere umano dovrebbe mutuarlo dalla natura circostante.

Due donne, due artiste, forti del loro comun sentire, hanno rivolto lo sguardo verso la natura spezzata e hanno visto come essa abbia intrapreso processi di mutamento.

Due donne, due artiste hanno rivolto l’obiettivo delle loro fotocamere verso una esplorazione che si è rivelata evocazione, metafora e scoperta di come i germogli rinascano inesorabilmente malgrado i tagli. Un’altra loro scoperta ha riguardato la cura che qualche anonimo passeggiatore, «lì sotto l’alberi de lungotevere», abbia sentito il bisogno di prestare, sostenendo con legami e reti, ramoscelli impertinenti nati negli interstizi dei parapetti.

La cura è una necessità e un bisogno.

Se «sotto l’alberi de lungotevere le coppie fileno» è anche vero che gli amanti volgono lo sguardo verso ciò che li protegge e quindi il loro filare comprende anche l’alberi de lungotevere che li accolgono e danno vita a una scenografia che favorisce la comunicazione dei sentimenti.

È facile, è giusto e inconfutabile, affermare il concetto che tutto sia interconnesso e che ogni cosa, persona o opera d’arte esiste in relazione all’altro. Si pensi ad una semplice poesia, essa ha tante vite, tante condizioni di esistere, quante sono le persone che ne entrano in relazione, ma la rivelazione dell’essenza più profonda di ogni relazione si realizza quando il comun sentire diviene predisposizione all’ascolto, sia della parola, che del lento germogliare di un fiore.


Le fotografie sono di Roberto Cavallini.

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