I deliri del bibliofilo
Musica e flânerie
Funambolo della parola, Bruno Barilli è stato una delle figure più singolari del mondo letterario italiano. Ricca e graficamente alta la sua produzione: dall’esordio con “Delirama”, al “Sorcio nel violino”, al libro più rappresentativo del suo estro “Il paese del melodramma”
Una delle figure più curiose e intriganti del panorama letterario della prima metà del Novecento è senz’altro quella di Bruno Barilli, nato a Fano nel 1880 e morto a Roma nel 1952. Nonostante avesse studiato composizione a Parma e in Germania, Barilli, convinto assertore dei precetti verdiani, non riuscì mai ad affermarsi come musicista. Il libretto di una sua opera, Emiral, rappresentata a Roma senza successo, venne edito da Ricordi nel 1924 (si rammenti anche Medusa con cui vinse nel 1914 il concorso Mack Cornik). Non è un caso che la sua prova d’esordio, incentrata sul tema del melodramma, si intitolasse Deliramache in serbo significa “vagabondo” e che Lo stivale, ultimo volume apparso postumo nel 1952 per Casini Editore, fosse dedicato ai reportages compiuti fra Bolzano e Taormina. Tra i due poli una serie di titoli che un esegeta fedele come Enrico Falqui dispose lungo le coordinate della divaricazione tematica presente nei due volumi delle opere vallecchiane del 1963: Il paese del melodramma e altri scritti musicali e Il libro dei viaggi.
Non è facile d’altronde sviscerare il tema del vagabondaggio intellettuale da quello espressamente consacrato al tarlo melodico, insinuantesi sempre e comunque, alla stregua di un’ossessione prepotente ed esclusiva. I primi titoli contengono brani che si ripercuotono, con numerose varianti, da un testo all’altro, tanto che nell’edizione critica del Sorcio nel violino, ideata da Mario Lavagetto e uscita da Einaudi nel 1982 nella collana “Einaudi Letteratura”, fu necessario allestire una tavola prospettica con l’indicazione degli scritti transitati da un contesto editoriale all’altro.
Il suo libro d’esordio, Delirama, fu accolto nel 1924 come settimo titolo della collana “Terza pagina” diretta da Orio Vergani. Il volume, in brossura, contenente una prefazione di Emilio Cecchi che figurerà anche nel Sorcio nel violino e nel Paese del melodramma, presenta in antiporta un ritratto in bianco e nero dell’autore realizzato da Armando Spadini. Sono qui confluiti tredici saggi di taglio musicale apparsi su «La Ronda» e in vari quotidiani. Il volumetto sarà ristampato nel 1944 dall’Editoriale Romana, aumentato delle prose presenti nel Sorcio nel violino, come quinto numero della collana “Micron” in una tiratura di 1800 copie su carta normale, oltre a 250 esemplari stampati su carta speciale. Un’ulteriore versione venne allestita nel 1948 nella bella collana “Opera prima” di Garzanti, curata da Enrico Falqui, in una tiratura di 200 copie.
Il sorcio nel violino uscì presso la Bottega di Poesia di Milano nel 1926 nella collana “I Fascicoli Musicali”, curata da Giovanni Da Nova. Si tratta di un volumetto in brossura che in copertina riporta solo nome dell’autore, titolo e relativi dati editoriali. Ma il libro che forse maggiormente rappresenta l’estro di Barilli è Il paese del melodramma, edito da Giuseppe Carabba di Lanciano, soprattutto in considerazione di una grafica che ben si adatta al contenuto “tellurico” dei brani ivi contenuti. Sui piatti appaiono, su fondo verde, due disegni “dionisiaci” di Scipione, ispirati al mondo musicale dell’amico. Il titolo e i dati dell’editore sono riportati in inchiostro rosso. Il libro, di cm 20 x 13, contenente 232 pagine, venne stampato nel 1929, anche se sia nel frontespizio sia nel colophon non risulta indicata la data di pubblicazione. Il costo era di 10 lire. È abbastanza facile da reperire sul mercato antiquario con quotazioni varianti dai 50 ai 100 euro. Non contravvenendo a una logica orientata al repêchage di testi pubblicati precedentemente, Barilli accoglie qui prose tratte da Delirama e Il sorcio nel violino.
Non mancheranno altri titoli particolarmente ricercati dai collezionisti: da Parigi, edito da Carabba nel 1938, con sovracoperta disegnata da Di Bene e sedici disegni fuori testo della figlia Milena Pavlovich Barilli, a Il sole in trappola. Diario del periplo dell’Africa, proposto da Sansoni nel 1941, da Ricordi londinesi, pubblicato dalle Nuove Edizioni Italiane di Roma nel 1945 a Capricci di vegliardo, stampato nel 1951 dalle Edizioni della Meridiana. Un discorso a parte meritano i due manufatti più rari di Barilli: la cartella Comme la lune, curata da Velso Mucci e dalla moglie Dora Broussard, licenziata dal Concilium Litographicum di Roma in 80 esemplari numerati e firmati dall’autore e dall’incisore, contenente una xilografia e due disegni di Mino Maccari e una litografia di Giorgio de Chirico e il volumetto La loterie clandestine, delle Éditions de l’Hommage di Roma, in tiratura numerata di 89 copie, dove figurano ai piatti un’incisione di Maccari e, fuori testo, tre litografie, rispettivamente di de Chirico, Maccari e Savinio. Entrambi i titoli hanno quotazioni superiori ai 5000 euro. E pensare che a questo funambolo della parola, recante a spasso «la finezza del suo gran volto equino» (Ungaretti), veniva fatta l’elemosina per strada a causa dell’aspetto trasandato, come descritto con una punta di civetteria nel Viaggiatore volante (Mondadori, 1946), anticipando la figura patetica di quell’«Orfeo senza denti» ormai sopravissuto a sé medesimo.