Al Teatro Vascello di Roma
La fabbrica dei sogni
La compagnia "La fabbrica dell'attore", fondata da Giancarlo Nanni e Manuela Kustermann, compie cinquant'anni. Un ciclo di spettacoli-evento festeggia il compleanno di una grande stagione di creatività teatrale
Il teatro La fede era una porticina su Porta Portese che, attraverso alcuni gradini, portava a un ampio magazzino cantina aperto nel 1968 e dove Giancarlo Nanni, lasciatasi alle spalle la sua inziale attività di pittore, comincio a ideare e presentare spettacoli assieme alla sua compagna attrice Manuela Kustermann. Era una delle tante e letteralmente cantine, a cominciare dallo storico Beat 72 per arrivare a La Comunità, l’unica ancora in attività, in cui prese forma quel teatro nuovo, sperimentale che sarebbe passato alle cronache come Scuola romana. Scendere quei gradini, non credo solo per me, era come entrare in un’altra dimensione, quella della creazione artistica, il cui fascino vinceva umidità e freddo, grazie anche a un fiasco di vino che Giancarlo faceva passare tra gli spettatori.
Nel 1997, a poco più di 25 anni dal debutto, Manuela Kustermann – rimasta sola alla guida del Vascello dopo la scomparsa di Nanni nel 2010, di cui ha fatto uno degli spazi più interessanti del panorama romano – ripropose A come Alice firmato da Nanni nel 1970, cui avrebbe fatto seguire allora, nel 1972, Il risveglio di primavera (nella foto accanto al titolo), due spettacoli che furono un po’ come manifesti dell’avanguardia teatrale anni ’70 che Giuseppe Bertolucci aveva cominciato a indagare allora, pubblicando prima La scrittura scenica e poi Il teatro-corpo-immagine, titoli che divennero definizioni. Due lavori nati appunto a La fede dove nel 1974 sarebbe nato il gruppo La Compagnia dell’Attore, che oggi compie 50 anni e che Kustermann festeggia dal oggi al 6 ottobre con uno spettacolo-memoria al Vascello, La Fabbrica dell’Attore 50 anni di (r)esistenza, dove la compagnia arrivò nel 1989 coraggiosamente, con quella voglia di sfida che Nanni ha avuto sempre, sino all’ultimo. Teatro che dieci anni dopo il Ministero riconobbe come Teatro Stabile d’Innovazione.
Tanti sono anche gli spettacoli successivi, da Amleto (1975) e Casa di bambola (1980), il primo con Kustermann nei panni del protagonista, il secondo con alcune belle intuizioni, come la scena, la casa di Nora che alla fine va restringendosi. Poi i lavori nati al Vascello, come quel Giardino dei ciliegi del 2006, metafora perfetta e intensa della probabile, in quel momento, chiusura per debiti del teatro. Una lotta continua quella per la sopravvivenza e si ricorda, ancora negli anni a La fede l’arrivo provvidenziale di Pierre Clementi che donò 600 mila lire ai due per poter pagare affitti e bollette arretrate, evitando il fallimento.
«Coraggio, provocazione, ironia», sottolinea Manuela Kustermann, che firma progetto, drammaturgia e regia di queste serate nate dal lavoro su una massa grandissima di materiale di archivio: «Non uno spettacolo in senso tradizionale, ma una serata immersiva, una specie di concerto, recital, happening tra documenti (c’è un pezzetto del restaurato film che Schifano girò sul Risveglio di primavera) e ricordi pubblici e privati, miei e di Massimo Fedele, membro storico della compagnia, più, anche se meno antico, Paolo Lorimer, proprio per fare un po’ di storia, testimonianza per chi non c’era, per i giovani oggi, ma anche alleggerendo con aneddoti, andando a memoria o col leggio, tra musiche recuperate e mille immagini, compresi i disegni che Giancarlo faceva sempre progettando i suoi spettacoli».
Le serate saranno naturalmente dedicate a Giancarlo Nanni, scomparso nel 2010, e a tutti quegli artisti di allora che oggi non ci sono più, per «riproporre un viaggio appunto dal teatro nelle cantine degli anni ’70 al Vascello, ripercorrendo la nostra storia e la nostra vita, sospesi fra immaginazione e realtà». Un percorso che ha le sue radici nella pittura, nell’arte, che era stata la prima passione di Nanni e il suo primo lavoro e la cronaca – o la leggenda? – narra di suoi grandi quadri esposti per strada, che in una notte sparirono, tutti rubati e chissà dove saranno oggi. Così, sempre, se doveva fare dei riferimenti sui suoi spettacoli, dare delle spiegazioni, usava il mondo e i movimenti dell’arte, dalla quale gli veniva quella visionarietà e grande libertà di espressione che portò in palcoscenico, innamoratosi praticamente a prima vista di Manuela quando la vide Ofelia nell’Amleto di Carmelo Bene.
Fu un periodo in cui, sull’onda del ’68, quella che sarebbe diventata l’Avanguardia romana portò la fantasia al potere, creando un proprio metodo di lavoro teatrale, senza prove tradizionali e un progetto creato a tavolino. Nanni fu capofila tra questi, spaziando fra teatro, cinema, danza, musica e arti, lavorando sull’improvvisazione, le libere associazioni, l’apporto creativo di tutti i componenti della compagnia, a cominciare dagli attori, per arrivare a un risultato complessivo la cui base era l’aspetto visivo che nasceva dal movimento dei corpi e il ritmo di parole e musiche.
«Rivedere le immagini di Risveglio di primavera mi ha davvero emozionato – racconta Kustermann dello spettacolo rimasto celebre anche per un suo efebico nudo – ma anche il trovarmi davanti a me giovane e carina non mi ha creato problemi: io non sento davvero il peso del tempo, come probabilmente quelli che fanno teatro, che recitano, e mi pare da allora ne sia passato poco, solo alcuni anni, specie ogni volta che salgo in palcoscenico e in particolare questa, più coinvolgente».