Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Il “gettone” di Testori

Storia del “Dio di Roserio”, esordio narrativo di Giovanni Testori, pubblicato nel 1954 nella celebre collana einaudiana diretta da Vittorni. In larga parte in dialetto milanese non “puro” ma “arioso”, il libro fu accolto in modo contrastante e le recensioni positive furono surclassate dalle stroncature

La collana einaudiana “I gettoni” nasce nel 1951 su iniziativa di Elio Vittorini, qualche anno dopo la chiusura del settimanale «Il Politecnico». Nelle intenzioni del suo ideatore, la collana avrebbe dovuto avere un accentuato carattere sperimentale e differenziarsi rispetto a quella dei “Coralli”, di più immediata fruizione e con un più collaudato risvolto commerciale. L’intento era quello di pubblicare libri di qualità non disdegnando le proposte degli esordienti. Nata per accogliere narratori italiani, “I gettoni” ospiterà anche autori stranieri del calibro di Jorge Luis Borges, Marguerite Duras, Dylan Thomas e Robert Antelme. Non sempre le scelte di Vittorini risulteranno però azzeccate, soprattutto sul versante italiano, anche se in questa sede confluiranno titoli importanti come Le metamorfosi (1951) e Maria(1953) di Lalla Romano, Fausto e Anna (1952) e I vecchi compagni(1953) di Carlo Cassola, Sei stato felice, Giovanni (1952) di Giovanni Arpino, Il visconte dimezzato (1952) e L’entrata in guerra (1954) di Italo Calvino, I ventitre giorni della città di Alba (1952) e La malora (1954) di Beppe Fenoglio, Il mare non bagna Napoli (1953) di Anna Maria Ortese, Il sergente nella neve (1953) di Mario Rigoni Stern, Gli zii di Sicilia (1958) di Leonardo Sciascia. Ma ai titoli di Franco Lucentini, Antonio (Tonino) Guerra, Mario La Cava, Mario Tobino, Renzo Biasion, Ottiero Ottieri, Giuseppe Bonaviri, Raffaello Brignetti, Manlio Cancogni, Elémire Zolla, se ne alterneranno altri passati in cavalleria. Pesa inoltre il rifiuto di accogliere nella collana einaudiana Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

La grafica della collana, di Albe Steiner, era sobria ed elegante. In copertina venivano riportati soltanto nome dell’autore, titolo del libro e dati editoriali, nonché il classico fregio con lo struzzo e la dicitura «Spiritus durissima coquit», recuperati da Oreste Molina da un codice cinquecentesco. Il formato è in-8°. Qualche copertina si differenzia rispetto alle altre, in quanto figurata. Precisa Giulia Iannuzzi: «A partire dalla quarta uscita compare inoltre il risvolto di copertina, nato dunque (almeno in Italia) proprio con “I gettoni”. Il risvolto diventa il luogo-chiave in cui Vittorini, alle soglie di ciascun testo, costruisce il suo personale discorso editorial-letterario». I titoli complessivi della collana furono cinquantotto (l’ultimo uscì nel 1959). Uno dei più significativi concerne l’esordio narrativo di Giovanni Testori con Il dio di Roserio, pubblicato come trentacinquesimo numero nel 1954. L’autore aveva pubblicato un paio di titoli con le Edizioni di Pattuglia e una monografia di disegni matissiani per Görlich. Il volumetto, in brossura con alette, consta di 170 pagine e ha quotazioni che variano dai 70 ai 100 euro. Il romanzo fu proposto da Calvino a Vittorini dopo un incontro torinese di Testori con l’autore del Visconte dimezzato e Renata Aldrovandi, moglie di Giulio Einaudi e sorella di Vando Aldrovandi, libraio milanese che ebbe un ruolo non secondario nella vicenda. Venne successivamente incluso, in versione più breve, nella raccolta Il ponte della Ghisolfa, titolo inaugurale del ciclo in cinque parti I segreti di Milano, edito da Feltrinelli nel 1958. Si tratta del terzo numero della collana “Biblioteca di letteratura. I contemporanei”, diretta da Giorgio Bassani. Un’ulteriore ristampa di Il dio di Roserio sarà effettuata nella collana einaudiana “I coralli” nel 1971, con un’elaborazione grafica del dipinto Bicycle II di Kendall Shaw e un brano tratto da una recensione di Anna Banti, apparsa su «Paragone» nel 1955.

Per la complessa vicenda che sottende i rapporti con Calvino e Vittorini e la conseguente riscrittura degli ultimi due capitoli del romanzo, nonché per le varianti, si rimanda alle note presenti nel “Meridiano” mondadoriano delle Opere scelte. Vittorini avrebbe voluto smussare la componente dialettale, consiglio che l’autore disattese. Testori, il quale aveva sottoposto il manoscritto al giudizio del suo mentore Roberto Longhi, attese alla composizione dello stesso tra il 1952 e il 1954. In una lettera inviata a Giulio Einaudi per spiegare il progetto precisò: «Nel manoscritto, se avrai pazienza di leggerlo, troverai, oltre a una pressoché generale costruzione dialettale, delle intere frasi in dialetto; non lieve (e non risolto, per ora) il problema della grafia: infatti, il dialetto dei miei personaggi, non è milanese puro, ma “arioso”: quello cioè che si parla alla periferia, e, dati gli incroci, forse oramai anche non in periferia».

Il romanzo è ispirato a una persona realmente esistita, come confidò Testori, in un articolo apparso su «Epoca» nel 1989, ad Ambrogio Borsani e Maria Giulia Minetti: «Seguivo le corse ciclistiche. Mi innamoravo, vivevo con i miei personaggi. Il “dio di Roserio”, per esempio, era un corridore ciclista, e io lo seguivo con la bicicletta da corsa perché lo amavo. E anche adesso che lui è diventato nonno, qualche volta ci vediamo». Il libro fu accolto in maniera contrastante: le recensioni positive furono surclassate dalle stroncature. Questo dato può aver influito sulla decisione di rinunciare al dialetto nella ristampa allestita per il succitato Ponte della Ghisolfa, il cui progetto era stato originariamente presentato a Einaudi nell’estate del 1957 ma che si concretizzò l’anno successivo con Feltrinelli.

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