Filippo Caronia
Da Cheever in poi

La festa

Filippo Caronia, allievo del corso di scrittura di Andrea Carraro, Filippo La Porta e Sebastiano Nata, "continua" un racconto di John Cheever

«Continua l’incipit del racconto Il nuotatore di John Cheever, proseguendo la narrazione e cercando di portarla rapidamente a conclusione, senza superare i 5000 caratteri circa»: questa la traccia di lavoro proposta dalla Scuola Orlando nell’ambito del corso di scrittura “Il racconto della realtà” di Andrea Carraro, Filippo La Porta e Sebastiano Nata. I due testi che pubblichiamo qui sotto, dunque, sono l’incipit di John Cheever e il “seguito” scritto da Filippo Caronia.


 

(John Cheever, incipit de Il nuotatore) «Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: “Ho bevuto troppo ieri sera”. Si poteva udire i parrocchiani che lo bisbigliavano all’uscita della chiesa, si poteva udirlo anche dalle labbra del parroco, mentre si infilava faticosamente la tonaca nel vestibolo, si poteva udirlo nei campi di golf e di tennis (…) “Ho bevuto troppo” gemeva Dario X. “Tutti abbiamo bevuto troppo” gli faceva eco Linda. “Dev’essere stato il vino” osservava Elena “Ne ho bevuto troppo di quel vino rosso.”

Ciò avveniva ai bordi della piscina di casa X (…) Il sole era caldo. Nino era disteso vicino all’acqua verdognola, una mano immersa nell’acqua e l’altra stretta intorno a un bicchiere di gin…

 * * * 

(La festa di Filippo Caronia) Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: “Ho bevuto troppo ieri sera”. Si poteva udire perfino i parrocchiani che lo bisbigliavano all’uscita della chiesa. E ci poteva stare, dopo la festa della sera prima.

Quel 14 giugno era stato un sabato memorabile, durante il quale la famosa Fiera delle Anime di Pognasso Vicentino, di cui Eliseo era il santo patrono, aveva raggiunto l’apice dei festeggiamenti. Sul palco, il karaoke aveva coinvolto anche i più stonati, fra le risate generali. In piazza, avevano ballato insieme, vecchi, donne, bambini, con gli uomini del paese a incitare battendo le mani in cerchio. E mentre i fuochi di artificio brillavano il cielo con stelle di fuoco multicolori, i bicchieri di vino rosso del consorzio della Lega della Fratellanza venivano svuotati uno dietro l’altro, in crescente successione e da tutti.

“Che successo”, si complimentavano quelli del comitato organizzatore, con in testa il parroco e il sindaco.

Ugo Bacin, principale azionista del consorzio e famoso per le tante vittorie nella gara annuale di nuoto sul Bacchiglione, il fiume di Vicenza, era stato eletto primo cittadino grazie ai voti della Lega della Fratellanza.

Quel “ho bevuto troppo ieri sera”, si poteva udirlo anche da altre labbra, quelle del parroco, mentre si infilava faticosamente la tonaca nel vestibolo, dopo la messa domenicale.

E si poteva udirlo anche da chi a messa non era andato e, quella domenica, provava a giocare, con la testa pesante, nei campi di golf e di tennis.

Quel peso lo avvertivano tutti e, stranamente, non solo nella testa ma anche in petto. Un’angoscia cupa e indecifrabile, che non gli dava pace. Perché, a un certo punto, doveva essere accaduto qualcosa, di cui non riuscivano ancora a rimettere a fuoco i contorni.

“Ho bevuto troppo” gemeva Dario, il figlio di Bacin. “Tutti abbiamo bevuto troppo” gli faceva eco Linda, la sua fidanzata, nonché nipote del parroco. “Dev’essere stato il vino” osservava Elena, sua sorella, “Ne ho bevuto troppo di quel vino rosso.”

Ciò avveniva ai bordi della piscina di casa del primo cittadino. Il sole era caldo. Nino era disteso vicino all’acqua verdognola, una mano immersa dentro e l’altra stretta intorno a un bicchiere di gin. Lui il vino non lo sopportava proprio, quasi quanto non sopportava suo zio Ugo, e perciò non l’aveva bevuto.

Ma Nino il peso al petto lo sentiva più degli altri, perché lui i fatti li ricordava eccome!

Durante la festa, aveva visto entrare, nel cerchio dei ballerini, prima Sued e Amina, infermiere presso il piccolo pronto soccorso di zona, e poi Maryam e Zahira, operaie del consorzio. Con loro c’erano anche Ashar, Khalid e Ghazi, rispettivamente addetti alle consegne a domicilio e aiuto pizzaiolo della pizzeria più importante della zona. In paese da diversi anni, tutti li conoscevano e ne apprezzavano le capacità, superando, non senza sforzo, un atavico pregiudizio.

Nino ricordava bene di aver visto i tre ragazzi, in cerchio con gli altri uomini, applaudire le ragazze, che avevano una dote naturale per la danza.

Tutti sembravano allegri e in pace fino a quando una frase, una dissonanza volgare nell’armonia contagiosa di quei momenti, uscì dalla bocca di uno dei più ciucchi, un paesano cha lavorava al consorzio. Dopo una frazione di silenzio, tutti gli altri cominciarono a ridere ammiccanti e altre frasi sgraziate seguirono le prime.

Le parole urlate da Ghazi interruppero quelle risate: “Il santo Eliseo, della vostra festa, viene citato anche nel Corano come un profeta onesto e giusto e perciò è venerato pure da noi mussulmani! Questa è anche la nostra festa!”

Nino ricordava bene le altre parole, sempre più malevole e ostili, che si erano levate dal coro di quelli già ubriachi e aveva visto i ragazzi richiamare le ragazze impaurite e abbandonare la festa. E, senza sorprendersi, aveva visto il sindaco, ubriaco come gli altri, fare un discorso strascicato, pieno di risentimento. Parole insolenti, cariche di accusa verso quella comunità di nuovi arrivati che additava come la causa del peggioramento della qualità di vita in paese. Frasi feroci, che incitavano ad agire, anzi a risolvere, una volta per tutte.

Nino aveva ascoltato anche Dario che, sempre ansioso di farsi apprezzare dal padre e, con Linda ed Elena fra i più esaltati, gridava, più forte di tutti, di marciare uniti verso la nuova moschea, in frazione di Sopralacqua, subito fuori al paese, per dirgliene finalmente quattro. E, ancora meno sorpreso, aveva visto il parroco, ubriaco anche lui, benedire quel fiume di folla dissennata.

Nino non aveva bevuto, era lucido, eppure non li aveva trattenuti. Paura? Forse.

Invece, li aveva seguiti e ricorda di averli sentiti sbraitare parole oscene e di odio prima che le fiamme aggredissero la bassa costruzione in legno edificata, pochi mesi prima, dalla piccola comunità islamica.

“Dev’essere stato il vino rosso” aveva ripetuto Dario, in quella domenica di mezza estate mentre, accasciato al bordo della piscina, osservava suo padre nuotare. Il peso in petto cominciava, lentamente, a fargli ricordare cosa fosse successo la notte precedente. “Ne ho bevuto troppo.”

“Tutti abbiamo bevuto troppo”, gli fece eco il sindaco Bacin, che con ampie bracciate avanzava placido nell’acqua.


Filippo Caronia è ingegnere aeronautico in pensione.


La fotografia accanto al titolo è di Tiziana Cavallo.

Facebooktwitterlinkedin