Giuseppe Traina
A proposito di "Bestiario habanero"

I galli di Cuba

Il nuovo libro di Davide Barilli è un ritratto della vita all'Avana attraverso i volti e le abitudini dei personaggi (mitici) che la popolano

I lettori affezionati di Davide Barilli non si sorprenderanno per il sottotitolo – Itinerari sbiecati di una capitale – del suo più recente libretto (Bestiario habanero, Oligo, 100 pagine, 13 Euro): la prospettiva di sbieco è, infatti, quella a cui l’autore ci ha abituato nei suoi non pochi libri dedicati a Cuba, tra i quali spiccano il romanzo Le cere di Baracoa (2009) e i racconti di La nascita del Che (2014). Anziché cedere a uno sguardo orientalista sull’isola centroamericana, è di sbieco che Barilli ci ha guidato e ci guida, dribblando i luoghi comuni, le colorazioni da catalogo turistico, le nostalgie generazionali di un immaginario politico che non ha più ragion d’essere (anche se ha spiegato tante delle contraddizioni, pur feconde, dell’isola attuale).

In questa sua nuova opera Barilli ha privilegiato gli animali o il rapporto degli uomini con essi: il suo bestiario, però, non ha nulla di cortázariano perché ognuno dei raccontini di cui il libro si compone è saldamente radicato nella realtà, muove da una cosa vista e viene restituito sulla pagina da uno sguardo partecipe, perché ormai espertissimo dell’antropologia isolana, ma sereno e comprensivo verso le innocenti stranezze cubane; strade, uomini e animali, e uomini con animali, si affacciano nella breve dimensione del ritratto di sbieco ma Barilli ce li propone in modo tale da riassumere in poche pagine un’esistenza, il senso di essa. La lentezza, l’attesa, la pazienza: un destino da romanzo centrifugato nella misura esatta del racconto. E la bella Prefazione visiva (ovvero una serie di fotografie in bianco e nero, non casualmente molto contrastate, con didascalie che rinviano ai racconti) non fa che arricchire la densità del discorso.

Ma, poi, al di là della schiera di galli, maiali, uccelli, cani «fenomenologici», marlin, quello che emerge come protagonista assoluto del libro è un quartiere: il barrio di Cayo Hueso, quello «sghembo rettangolo del barrio – delimitato a nord da Zanja, a est da Infanta, a sud dal Malecón e a ovest da Padre Varela, attuale Belascoaín» dove «si annida la cubania più autentica». E il quartiere trova il suo centro (noto a pochi: da cercare, da conquistare) nella casa di Pedro Juan Gutierrez, il romanziere di Trilogia sporca dell’Avana, il miglior conoscitore del «midollo nero di questa città del paradosso».

Ed è questa la novità principale di Bestiario habanero, rispetto agli altri libri cubani di Barilli, ovvero la ricerca di un centro nel centro: lo strenuo richiamo centripeto stavolta avvertito da un narratore che nel suo primo accostarsi a Cuba aveva dato libero sfogo a un fiuto centrifugo che l’aveva portato a raccontare la Cuba di provincia pur di non indulgere ai facili miti che hanno sfibrato l’immagine della capitale. Se adesso L’Avana torna al centro della sua narrazione è proprio perché non di tutta la città ci narra, ma del cuore di Cayo Hueso. A maggior ragione perché, scrive dando la parola a Gutierrez, «questo quartiere in parte sta cambiando, a uso dei turisti, ma merita di essere protetto come una riserva, un patrimonio dell’umanità».

Facciamo un salto vertiginoso di migliaia di chilometri, e un salto all’indietro di non pochi anni: questo sguardo partecipe e protettivo è lo stesso che abbiamo conosciuto in Barilli quando ci ha parlato, nella prima parte della sua produzione narrativa, della sua Parma di oltretorrente, delle storie depositate sugli argini, nelle memorie delle persone, negli spigoli delle strade.

Ecco: il molto coerente filo di continuità tra il Barilli italiano e quello cubano è nel suo essere un cacciatore di storie, di vicende individuali che diventano, senza sforzo apparente, emblemi d’una comunità, d’una storica coesione che non dev’essere perduta. Quando Barilli esordiva, alla fine degli anni Ottanta, potevamo pensare che fosse il suo parallelo talento giornalistico che lo portava a distinguersi come cacciatore di storie, tra gli scrittori suoi coetanei; oggi, invece, in un panorama letterario così appiattito sui cascami linguistici del giornalismo di tanti scrittori che nel frattempo si sono fatti spazio sgomitando, è invece del suo stile elegante, netto, di preziosa matrice letteraria che abbiamo, per converso, bisogno. E Bestiario habanero ce ne dà una conferma rassicurante.

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