Dealma Fronzi
Da Carver in poi

L’attesa

Dealma Fronzi, allieva del corso di scrittura di Andrea Carraro, Filippo La Porta e Sebastiano Nata, "continua" un celebre racconto di Carver

Continua l’incipit del celebre racconto Cattedrale di Raymond Carver, proseguendo la narrazione e cercando di portarla rapidamente a conclusione, senza superare i 5000 caratteri circa»: questa la traccia di lavoro proposta dalla Scuola Orlando nell’ambito del corso di scrittura “Il racconto della realtà” di Andrea Carraro, Filippo La Porta e Sebastiano Nata. I due testi che pubblichiamo qui sotto, dunque, sono l’incipit di Raymond Carver e il “seguito” scritto da Dealma Fronzi.


(Raymond Carver, incipit de La cattedrale) C’era questo cieco, un vecchio amico di mia moglie, che doveva arrivare per passare la notte da noi. Gli era appena morta la moglie.

E così era andato a trovare i parenti di lei in … Aveva chiamato mia moglie da casa loro. Avevano preso accordi. Sarebbe arrivato in treno, un viaggio di cinque ore, e mia moglie sarebbe andata a prenderlo alla stazione. Non l’aveva più visto da quando aveva lavorato per lui un’estate a Seattle, dieci anni prima.

Comunque, lei e il cieco si erano tenuti in contatto. Registravano dei nastri e se li spedivano per posta avanti e indietro. Non è che fossi entusiasta di questa visita. Era un tizio che non conoscevo affatto.

E il fatto che fosse cieco mi dava un po’ di fastidio. L’idea che avevo della cecità me l’ero fatta al cinema.

Nei film i ciechi si muovono lentamente e non ridono mai. A volte sono accompagnati dai cani-guida. Insomma, avere un cieco per casa non è che fosse proprio il primo dei miei pensieri.

Quell’estate a …..  lei aveva bisogno di un lavoro. Non aveva un soldo. L’uomo che avrebbe sposato alla fine dell’anno frequentava un corso per ufficiali. Non aveva un soldo neanche lui.

Ma lei era innamorata di questo tizio e lui era innamorato di lei, eccetera eccetera. Insomma, lei aveva visto un annuncio sul giornale – CERCASI LETTORE PER CIECO – e un numero di telefono. Aveva chiamato, era andata per un colloquio ed era stata assunta su due  piedi. Per tutta l’estate aveva lavorato con questo cieco.

Gli leggeva della roba, relazioni, rapporti, cose del genere. Lo aiutava a mandare avanti il suo ufficetto nel dipartimento assistenza sociale della contea. Erano diventati buoni amici, mia moglie e il cieco.

Come faccio a sapere queste cose? Me le ha dette lei. E mi ha anche detto un’altra cosa. L’ultimo giorno di lavoro, il cieco le aveva chiesto se poteva toccarle il viso. Lei gli aveva detto di sì. Mi ha raccontato che lui l’aveva sfiorata con le dita dappertutto: il viso, il naso… perfino il collo! Lei non se l’era più scordato.

Aveva addirittura cercato di scriverci su una poesia. Era sempre lì a cercare di scrivere una poesia, lei.

Ne scriveva una o due all’anno, di solito subito dopo che le era successo qualcosa di molto importante.

Quando abbiamo cominciato a uscire insieme, me l’ha fatta leggere, quella poesia. Rievocava le dita di lui e il modo in cui s’erano mosse sul suo viso. Nella poesia, parlava delle sensazioni che aveva provato all’epoca, di quello che le passava per la testa mentre il cieco le toccava il naso e le labbra.

Ricordo che non è che mi piacesse molto, quella poesia.

Naturalmente, non glielo dissi mica.

* * *

(L’attesa di Dealma Fronzi). In realtà, è la poesia che non mi piace proprio. Preferisco i romanzi d’avventura.

Aveva scritto anche per me una poesia, l’unica, qualche mese dopo esserci conosciuti.

“Bella” ho detto quando me l’ha letta. Naturalmente, mentivo.

Insomma, alla fine di quell’estate lei aveva lasciato il lavoro con il cieco e a dicembre si era sposata con l’ufficiale. Erano andati ad abitare in Veneto ma il matrimonio non era durato molto. Lui beveva ed era stato cacciato dall’esercito dopo aver dato un pugno a un superiore.

Lei aveva resistito per un po’, lo amava. Alla fine se n’era andata, depressa e con pochi soldi. Aveva telefonato al cieco. Lui si era appena sposato con una più vecchia di lui, conosciuta al mare a Ischia. Non me lo ha mai detto ma immagino che ci fosse rimasta male.

Si era trasferita a Roma, dove ci eravamo incontrati. Tra noi era nata un’amicizia. Andavamo a passeggiare a Villa Borghese. Lei mi parlava dell’ex marito e del cieco, del cieco e dell’ex marito. Non ne potevo più e un giorno l’attirai a me e la baciai. Così cominciò la nostra storia.

Immagino che mi innamorai di lei per la sua indifferenza. Per lei probabilmente ero un rifugio, un ripiego. Comunque in breve tempo ci sposammo.

Dopo un po’, mi disse che aveva risentito il cieco. Avevano cominciato a spedirsi i nastri. Lei gli leggeva le sue poesie. Cosa gli raccontasse di me, della nostra storia, non l’ho mai saputo.

E ora, appena gli era morta la moglie, il cieco stava per venire a casa mia. Non è che fossi entusiasta di questa visita. Era un tizio che non conoscevo affatto.

Era cieco dalla nascita o lo era diventato? E come ci si rapporta con un cieco? Come si muove in una casa che non conosce? Di cosa si può parlare con lui?

Mia moglie era uscita per andare alla stazione. Solo in casa,  mi guardavo intorno. Dovrei spostare quella poltrona davanti alla porta, pensavo, potrebbe inciampare. Dovrei togliere quel vaso sul mobile in ingresso, potrebbe urtarlo con il gomito  e farlo cadere.

Sicuramente avrà un bastone. E se avesse un cane-guida? In treno i cani guida per ciechi si possono portare. Ci mancherebbe anche quello! Un cane che ti sale con le zampe sui pantaloni e ti lecca le mani, perde i peli e sporca dappertutto. Odio i cani!

Prima di uscire, mia moglie aveva preparato la cena. “Cosa fai di buono”, avevo chiesto. “Sorpresa”, aveva risposto lei chiudendo la porta della cucina. Appena se n’era andata, ero corso in cucina a sbirciare. Tutti vassoi colmi di finger-food, disposti con cura. Piatti elaborati che non aveva mai fatto. Come se il cieco avesse potuto vederli.

In sala, la tavola era apparecchiata con la tovaglia più elegante e i piatti più belli, i colori abbinati. Come se il cieco avesse potuto vederli.

Mia moglie aveva indossato un vestito rosso aderente, si era truccata come non faceva da tempo. Come se il cieco avesse potuto vederla.

In ultimo, si era spruzzata sul collo un profumo sensuale, persistente. Un profumo costoso che le avevo regalato io a Natale. E quel profumo il cieco l’avrebbe di certo notato.

Continuavo a pensare al cieco. E al nostro matrimonio. I primi tempi erano stati abbastanza felici. Mia moglie sembrava contenta e la passione faceva il resto. E poi? Cosa eravamo diventati?

Quello che diventano quasi tutte le coppie sposate dopo qualche anno di matrimonio. Due coinquilini che dividono la stessa casa e lo stesso letto, quasi sempre solo per dormire.

E ora, appena gli era morta la moglie, il cieco stava per venire a casa mia. Non è che fossi entusiasta di questa visita. Era un tizio che non conoscevo affatto.

Guardando l’orologio, capii che a breve sarebbero arrivati. Decisi di scendere in strada ad aspettarli.

Da lontano, li vidi arrivare. Lei posteggiò la macchina, scesero e il cieco si appoggiò a lei. Non aveva il cane, ma il bastone sì. Camminavano lentamente e ridevano entrambi, anche lui che aveva appena perso la moglie.

Man mano che si avvicinavano, potevo osservarlo con attenzione. Alto, capelli brizzolati, giacca sportivo-elegante abbinata a un pantalone di velluto chiaro. Non fosse stato per il bastone da cieco, gli occhiali scuri avrebbero potuto farlo sembrare un divo in incognito. Una vaga somiglianza con George Clooney.

E fu allora che, con cattiveria e sollievo, un pensiero mi attraversò la mente: Meno male che almeno è cieco!


Dealma Fronzi è nata e vive a Roma.


La fotografia accanto al titolo è di Tiziana Cavallo.

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