Giuseppe Grattacaso
A proposito di "Non è il caso"

A scuola da Edipo

Un saggio di Nicola Fano su Edipo e sul suo mito (così come lo ha raccontato Sofocle) diventa l'occasione per capire quale sia il rapporto tra volontà e caso nella vita di ciascuno di noi

Edipo siamo noi. O almeno in qualche momento della nostra vita, probabilmente mentre pensavamo ad altro, lo siamo stati, e qualche cosa del personaggio raccontato nelle intricate vicende del ciclo tebano (ma sono tutte a loro modo ammatassate le storie che fanno capo al mondo degli dei e dei miti dell’antica Grecia) è rimasto in un fondo della nostra coscienza, di cui è probabile abbiamo consapevolezza solo sporadicamente. Edipo insomma ancora ci parla e noi, per nostra stessa natura, non possiamo astenerci, di tanto in tanto, di dialogare con lui.

Il racconto che vede protagonista l’eroe greco, a partire dalle tragedie di Sofocle ‒ Edipo re su tutte, ma poi anche Edipo a Colono e in parte Antigone è ripercorso da Nicola Fano in Non è il caso. La vita secondo Edipo, pubblicato nella collana Tessere di Treccani Libri (120 pagine, 14 Euro). Fano, garantendo una numerosa serie di informazioni, utili a inserire le opere di Sofocle nel contesto storico e culturale in cui sono nate, si interroga, e spinge il lettore a interrogarsi, oltre che sugli argomenti di riflessione che le opere hanno realmente fornito ai greci suoi contemporanei, anche su quali contenuti dei testi, quali azioni e osservazioni del personaggio sappiano ancora offrirci motivi di attenzione. Del resto, il mito di Edipo ha attraversato duemilacinquecento anni, continuando a offrire contributi alla cultura dell’Occidente a alle vite, per così dire, di ognuno di noi.

Le considerazioni di Nicola Fano sembrano rivolgersi principalmente alle generazioni più giovani (e indirettamente dunque a coloro che hanno il compito di educare), più sprovviste di quelle precedenti a cogliere la portata del mito. E si tratta di una mancanza non da poco, visto che la vicenda di Edipo mette in scena anche l’eterna lotta per liberarsi dai padri, senza la quale sarebbe impossibile ogni percorso di avanzamento della società. Senza questa lotta di liberazione, senza l’«assassinio» del padre, il futuro ripiega pavidamente e drammaticamente sul passato. «La generazione dei figli ‒ scrive Fano ‒, oggi, ha smesso di combattere per liberarsi dalla generazione dei padri: il passato incombe sul futuro». E non progettare il futuro coincide con l’essere smemorati: «Dietro di noi non può esserci altro che il nostro domani».

Il teatro greco non si poneva il compito di intrattenere gli spettatori, di liberarli dalle loro preoccupazioni quotidiane, aspirando a essere intervallo di sollievo dal presente (come spesso al nostro tempo accade per gran parte delle produzioni considerate artistiche), ma di fornire al popolo strumenti di indagine razionale della realtà, dispositivi utili per la comprensione della propria presenza di singoli in rapporto alla collettività e alle regole e ai principi che essa pone. L’obiettivo chiaro era quello di sapere «come comportarsi in modo etico», che significa, anche, innanzitutto «sobbarcarsi le irragionevolezze del proprio destino», che a pensarci anche con il nostro sguardo di donne e uomini del nuovo millennio, sono in effetti tante, e quasi sempre, in quanto irragionevolezze, temibili oltre che imprevedibili. Insomma «la tragedia greca rappresenta il primo meraviglioso esempio di comunicazione (e creatività) etica».

Se questo è l’obiettivo, il primo nodo da affrontare, che poi è anche quello più difficile da sciogliere, tanto che ne ragioniamo da oltre due millenni, è il peso che nelle nostre vite assume il Caso, che per quanto riguarda i contemporanei di Sofocle, era rappresentato innanzitutto dalle bizzarrie e dagli improvvisi interventi di dee e dei, sempre pronti a stravolgere le vite dei mortali, a maggior ragione se questi ultimi godevano di una posizione di privilegio o assumevano atteggiamenti di competizione con gli estri divini. Edipo ne sa qualcosa, destinato infante alla morte dal padre Laio, salvato da quello che avrebbe dovuto essere il suo giustiziere, e infine restituito alla sua vita, lui inconsapevole, ma come assassino del padre e sposo della madre.

La domanda che scaturisce ci accompagna da secoli: la lotta contro il corso fortuito degli eventi che cambia le vicende della vita di ciascuno di noi è destinata a rimanere inevitabilmente senza successo oppure “non è il caso” (come indica il titolo di questo prezioso volumetto) a determinare l’orientamento, spesso ondivago peraltro, delle esistenze? E di fronte agli eventi che ci spingono verso approdi non desiderati, quale deve essere l’atteggiamento degli uomini, cedere il passo al destino (non cede il passo Edipo incontrando il padre Laio a un crocevia, regalando sé stesso così al proprio destino) o opporsi ad esso? Il libro di Fano offre al lettore le risposte contenute nelle tragedie di Sofocle, mettendoci sull’avviso che le vicende raccontate diventano veicoli etici, anche grazie alla capacità degli spettatori del teatro greco di comprendere la differenza tra la realtà e la sua proiezione metaforica: «Il teatro greco non va preso alla lettera: è costruito come un’enorme metafora, come qualcosa che racconta un fatto ma vuole alludere ad altro».

Un altro problema che si pone, tanto rilevante in particolare per gli adolescenti di tutte le generazioni, è quello relativo all’identità, che nel caso di Edipo, appare di ragguardevole importanza, considerati i ruoli diversi che nella sua vita è costretto ad assumere (tanto per dirne una: figlio o sposo di Giocasta?). Chi è veramente Edipo, chi ritiene di essere, chi gli altri pensano che sia, chi avrebbe voluto essere? Edipo è il bambino rifiutato dai genitori, il giovane in preda alla rabbia, che in una lite uccide un uomo, che dopo molto si rivelerà essere il padre Laio, o l’esuberante sicuro di sé e dotato di una certa sicumera che risolve l’enigma della Sfinge e libera Tebe? Il buon re capace di governare i propri sudditi, o l’uomo che infrange la più antica delle leggi e giace con la madre? O, ancora, colui che si è accecato e che diventa anche “cieco di parole”, ma forse proprio grazie alla cecità riesce a vedere meglio dentro di sé, colui che desidera la morte come fosse una liberazione, come avviene nell’Edipo a Colono? In effetti Edipo cambia (anche con il cambiare dell’età di Sofocle, suggerisce Fano) e con lui il suo sguardo sul mondo, proprio come avviene a tutti noi, con il trascorrere delle stagioni della vita.

Ma Edipo, e quello che il personaggio di Sofocle per noi rappresenta, si trasforma anche con l’avanzare dei secoli e il cambiare dei sistemi culturali. Nicola Fano segue il tragitto e ci offre un quadro lucido di quello che l’eroe è diventato nella lettura che ne hanno dato le diverse epoche, in particolare considerando gli esempi più recenti. Con L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, che inaugura il Novecento e lo suggella definitivamente, e la rivelazione del “complesso di Edipo”, l’eroe greco torna prepotentemente al nostro fianco e nelle nostre coscienze, a dirci che l’essere umano, ogni essere umano, è per sua natura imperfetto, e che da questa imperfezione non si può guarire ma solo averne consapevolezza, insomma che «con essa si può convivere ma non superarla».


Accanto al titolo, “Edipo e la sfinge” di Francis Bacon, 1983.

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