A proposito di “Perché il vento era nero”
La realtà inverosimile
Il nuovo romanzo della scrittrice Savina Dolores Massa è ancora una volta un viaggio nell'anima, più che nella realtà. Proprio lì dove l'immaginazione si confonde con la concretezza delle cose
«Nella sua mente di cavallo, per come poteva, coniugò il verbo andare al presente. Io ando, tu andi, egli anda, noi andiamo, voi andate, essi andano. Andiamo è amore. Con le ultime righe, il sedicente “romanziere” si è bruciato definitivamente il Premio Strega, ma non morirà per questo». Ironico, tagliente, visionario, immaginifico e molto altro è Perché il vento era nero (Il Maestrale, 20 euro, 304 pagine), nuova uscita di Savina Dolores Massa. Sembrerà di ripetere cose già dette svariate volte, ma l’oristanese è il perfetto esempio di come uno stile ragionato sia il miglior modo per restituire efficacemente una storia. Qualsiasi storia. Non sia di nessuna sorpresa: una trama pur ben congeniata non supportata da adeguate soluzioni formali non basta a dare spessore a un’opera. È il caso di certi romanzi contemporanei (persino premiati) in cui, tra stereotipi, frasi fatte e sciatteria, si assiste a una riluttanza verso qualunque complessità.
La prosa lirica, precisa e accurata di Massa conferisce un sapore onirico alle vicende di Perché il vento era nero, che oscillano tra possibile e fantastico in un riuscitissimo richiamo al realismo magico (accade anche in Voltami e Cenere calda a mezzanotte, per citare solo alcuni tra i suoi precedenti testi). Massa ammalia il lettore costringendolo a rivedere il suo concetto di “verosimile” e a cedere in toto e volentieri a una definitiva sospensione dell’incredulità; si riesce così a leggere senza ritrosie pagine raffiguranti personaggi defunti che si aggirano ancora tra i vivi (si pensi al Melquíades di Cent’anni di solitudine) e, contemporaneamente, a esplorare un universo in cui la vera cecità non è quella degli occhi ma quella dell’anima. Se l’articolata struttura del plot vieta sintesi accettabili, si può comunque riferire che, à la manière de le narrazioni simboliche, il viaggio che i protagonisti intraprendono più che fisico è spirituale, in una incessante ricerca di verità. Massa si diverte con espedienti metaletterari (e si evince dall’incipit su riportato) e gioca con il pubblico ricorrendo ad artifici retorici sempre puntuali e mai banali. Un tocco di grottesco caratterizza episodi dove, per metterla in toni popolari, non si sa se ridere o se piangere, ambiguità che è con intenzione sollecitata dalla scrittrice che, al solito, studia nel dettaglio ogni particolare.
Un lavoro che schernisce i generi letterari: così le note e ringraziamenti: «si può serenamente dire che ogni riferimento a persone, luoghi e fatti risulta puramente casuale, nonostante la citazione di persone, luoghi e fatti realmente esistiti. Ma nulla di quanto scritto è vero né dimostrabile. Non appartiene dunque al filone del romanzo storico. Anzi, della Storia confonde deliberatamente perfino ipotesi date per certe, distorcendo il Tempo e anche alcuni fatti che una sorta di verità, a onor di giustizia, la infilano per puro amore romanzesco». Si capisce bene come Massa trascini chi legge in un mondo altro rendendolo compartecipe di eventi fuori dall’ordinario, in un generale assetto narrativo di indubbio valore.
La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.