Diario di una spettatrice
Le vite di Limonov
Arriva nelle sale "Limonov", il film di Kirill Serebrennikov tratto dal romanzo di Emmanuel Carrère. Le mille avventure di un eroe discutibile e maledetto
Limònov, con l’accento sulla prima o. Pseudonimo di Ėduard Veniaminovič Savenko, nato a Dzeržinsk, Russia europea, nel 1943, morto a Mosca nel 2020. Operaio in fonderia, poeta, romanziere, politico, rivoluzionario, fondatore del partito nazionalbolscevico, oppositore di Gorbaciov e di Putin, dissidente con tutti, anche coi dissidenti russi, amante possessivo, barbone, delinquente. Scelse il suo pseudonimo perché “limonka” è il termine gergale per la bomba a mano, e questo è un indizio. Chi ha letto il libro che gli ha dedicato Emmanuel Carrère, romanzando senza troppi sforzi una vita che più romanzesca ed eccessiva non poteva essere, aggiungerà molti altri dettagli.
Ma non è indispensabile aver letto Carrère per restare folgorati, e anche frastornati, dal film del regista e sceneggiatore russo Kirill Serebrennikov, presentato quest’anno a Cannes e da qualche giorno nelle sale italiane. In fondo basta guardare la locandina per innamorarsi del protagonista che ha la faccia e gli occhiali del giovane Elvis Costello e il fascino strafottente di Jim Morrison.
A interpretare un personaggio così sopra le righe è un attore di bravura altrettanto esagerata, l’inglese Ben Whishaw, filmografia infinita e partner indimenticabile di Franz Rogowski nel film Passages. È lui che fa la differenza tra il film e il romanzo.
Limonov è interessante perché offre molti livelli di lettura. È innanzitutto un film di citazioni letterarie, né potrebbe essere diversamente visto che la pellicola si ispira al romanzo di Carrère rovesciandone il punto di vista: nel libro parla lo scrittore, nel film parla il protagonista. I personaggi letterari “ospiti sulla terra” come Limonov sono moltissimi: a me è venuto in mente Nicholas Tarabas, l’eroe del romanzo di Joseph Roth del 1934 che di Limonov pare lo zio, il giovane russo bello e in preda alle passioni, rivoluzionario costretto a fuggire a New York, ufficiale dell’esercito sovietico e assassino.
Ma la pellicola è anche infarcita di citazioni cinematografiche, e certo Serebrennikov si è divertito a piazzare qua e là nelle strade di New York i flash di altri film: la prostituta bambina Iris che si avvicina al taxi di Travis in Taxi driver e gli Hare Krishna che danzano nei film di Woody Allen.
Le capacità visionarie di Serebrennikov si rivelano nelle soluzioni adottate per raccontare una vita che ne contiene molte altre. Ci sono invenzioni grafiche che trasformano la pellicola in fumetto nei passaggi da un capitolo all’altro e ci sono sovrapposizioni indistinguibili di filmati d’epoca con il suo girato, tanto il mix è perfetto, gli stessi colori sfuocati, la stessa sgranatura. E molto godibile è la ricostruzione delle atmosfere anni ’70 e ’80 in cui Limonov vive la sua vita avventurosa, prima a New York da disperato senza casa che diventa maggiordomo di un miliardario, poi a Parigi, scrittore di successo conteso dai salotti e dalle trasmissioni radiotelevisive: ci sono gli arredi di quegli anni, quel design, i lampadari e le moquette, gli abiti e la musica a tutto volume perché mica puoi tagliare i decibel a Johnny Rotten e ai Sex Pistols.
Serebrennikov gestisce abilmente tutti questi ingredienti che nella cucina di Masterchef rischierebbero di generare il “mappazzone” aborrito da Barbieri, operazione tutt’altro che semplice considerando la complessità del protagonista. Inevitabile qualche sottolineatura di troppo: non è necessario continuare a riprodurre Walk on the Wild Side di Lou Reed per spiegare che stiamo camminando nei territori trasgressivi della vita. E forse una sforbiciata al lungo capitolo newyorkese avrebbe giovato al ritmo del film.
Limonov attraversa le sue vite eternamente uguale a se stesso. Solo nelle ultime scene, quando rientrato in Russia diventa l’idolo dei naziskin, si allea col campione mondiale di scacchi Garri Kasparov e fonda il partito nazionalbolscevico, viene arrestato e poi liberato, solo allora comincia a rivelare i segni del tempo che passa. I suoi uomini andranno a combattere in Donbass con i separatisti russi, lui morirà senza vedere l’invasione dell’Ucraina.
C’è chi ha criticato la scelta del regista di far incontrare Emmanuel Carrère con Ben Whishaw in una scena che non rispetta i dati anagrafici: lo scrittore francese ha quattordici anni in meno di Limonov eppure appare molto più anziano di lui. Invece quella scena è perfetta: lo scrittore che lo ha reso celebre con un romanzo è pieno di rughe, Limonov è invece un personaggio oltre il tempo e lo spazio, e la sua vita, nel bene e nel male, ha l’eternità della letteratura. In fondo, come cantava Francesco Guccini, “gli eroi son tutti giovani e belli”, anche quando sono discutibili e maledetti.