Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Il gran rifiuto

Storia editoriale del “Gattoppardo” di Tomasi di Lampedusa. Dopo il diniego della Mondadori e della Einaudi, furono la passione di Giorgio Bassani e l’entusiasta lettura critica di Carlo Bo a decretarne il successo facendone un bestseller evergreen

Il romanzo Il Gattopardo uscì nel novembre del 1958 come quarto numero della collana “I Contemporanei” diretta da Giorgio Bassani per Feltrinelli. L’autore, un aristocratico siciliano che in gioventù aveva collaborato alla poco conosciuta rivista «Le opere e i giorni», era scomparso qualche mese prima. La vicenda editoriale che ne seguì fu curiosa e piuttosto intricata. Ci limitiamo, in questa sede, a ripercorrerla in maniera schematica (si rimanda per approfondimenti a La lunga corsa del Gattopardo di Gian Carlo Ferretti, edito da Aragno nel 2008 e alle Opere di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, approntate nei «Meridiani» Mondadori nel 1995). Tutto inizia nel luglio del 1954 quando Lampedusa accompagna il cugino, il poeta Lucio Piccolo, al convegno letterario di San Pellegrino, dove ha modo di conoscere vari letterati, tra cui Montale che era rimasto affascinato dalla lettura delle poesie dello stesso Piccolo. «A distanza ravvicinata quella repubblica non gli apparve composta da semidei» precisò il figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi.

Ebbe l’occasione di incrociare anche Bassani che rievocherà quell’incontro in cui non si scambiarono alcuna parola. Lampedusa (nella foto) di lì a poco intraprese la stesura del romanzo, inizialmente definito «histoire sans nom», realizzato tra il 1954 e il 1956. Ultimato, incarica l’allievo Francesco Orlando di ricopiarlo a macchina in due differenti stesure. Una versione in quattro parti viene inviata al conte Federici, funzionario della Mondadori, con lettera di accompagnamento firmata da Lucio Piccolo che aveva nel frattempo pubblicato, nella collana “Lo Specchio”, con prefazione di Montale, la raccolta Canti barocchi e altre liriche. Ma, a distanza di qualche mese il dattiloscritto viene restituito con un diniego. Nel 1957 viene inviata l’altra versione, tramite il libraio editore Flavio Flaccovio, a Elio Vittorini, direttore della collana einaudiana dei “Gettoni”. Altro rifiuto. L’autore muore il 23 luglio di quell’anno.

All’inizio del 1958 Bassani riceve il dattiloscritto da Elena Croce e ne rimane conquistato. Si reca a Palermo per ricostruire le fonti del romanzo. Così l’autore del Giardino dei Finzi-Contini rievoca tali vicissitudini: «Dunque, fra il ’54 e il ’56 scrive il romanzo. Ne fa mandare una copia a Vittorini e l’altra la invia a Roma; quella che io avrei avuto un poco più tardi. In seguito alle risposte, o ai silenzi, non ha, come tutti sostengono, un vero e proprio momento di sconforto. Anzi, continua a lavorare e nell’estate del ’56 compone due capitoli del Gattopardo e il racconto Lighea, cioè tre cose di grande importanza».

Continua Bassani: «In sostanza, dunque, mi sono trovato di fronte a due stesure quasi coeve ed entrambe egualmente autorevoli. Perciò ho letto riga per riga, parola per parola, tutto il manoscritto datomi da Gioacchino Lanza e l’ho confrontato con le bozze che nel frattempo mi sono arrivate. Questo lavoro non l’ho compiuto da solo ma insieme alla mia segretaria, Ludovica Ripa di Meana: abbiamo speso non meno di un mese e mezzo, forse un paio di mesi, per il confronto delle due stesure». E ancora: «Quale criterio ho seguito? Siccome non mi trovavo di fronte a un classico e non sentivo nessun bisogno di fare un’edizione critica, mi sono sostituito in qualche modo all’autore. Avendo molto spesso dinanzi due lezioni, ho scelto quella che a me, secondo il mio gusto, sembrava migliore. Ciò che avrebbe fatto in pratica l’autore, se avesse dovuto stampare il libro. Niccolò Gallo mi ha aiutato perché aveva più pratica di manoscritti e perché io stesso volevo un controllo».

Precisa Gioacchino Lanza Tomasi: «Le traversie della pubblicazione hanno fornito nuova esca al mito romantico del genio incompreso. Per la verità i lettori della Mondadori e lo stesso Elio Vittorini, che scorse il dattiloscritto prima per la Mondadori e poi lo lesse attentamente per la Einaudi, commisero un madornale errore commerciale piuttosto che critico: essi, infatti, riconobbero nel Gattopardo il talento di uno scrittore».

Tuttavia Gian Carlo Ferretti smentisce il fatto che Vittorini abbia bocciato il romanzo dapprima come consulente per Mondadori e poi in qualità di direttore editoriale dei “Gettoni” per Einaudi, precisando: «Nel primo caso in realtà Vittorini riconosce una certa qualità al romanzo e ne intuisce l’interesse commerciale, raccomandando anzi di non farselo scappare, mentre sono i dirigenti mondadoriani a non tenere conto del suo giudizio, e nel secondo caso lo rifiuta perché non risponde alla tendenza letteraria e all’impostazione sperimentale della collana dei “Gettoni” che dirige». Feltrinelli stampa il romanzo in sole 2000 copie, arricchendolo di una prefazione di Giorgio Bassani. Qualche giorno dopo appare un articolo di Carlo Bo che ne parla in termini entusiastici. Risultato: nell’arco di una settimana non ci sono più esemplari disponibili e deve passare un mese prima che il libro torni in libreria. L’editore predispone una nuova tiratura di 4000 copie che viene esaurita nel giro di qualche giorno. Diviene uno dei bestseller del secondo dopoguerra, vendendo nei primi tre anni oltre 400.000 copie. Vince il Premio Strega nel 1959 e a Luchino Visconti viene affidata nel 1963 la riduzione cinematografica.

Il libro, con copertina cartonata realizzata da Albe Steiner, contiene 332 pagine, misura cm 20,4 x 12,8 e presenta una scheda editoriale. Le quotazioni si aggirano intorno ai 1000 euro. Nel 1969 la Feltrinelli realizzò Il Gattopardo nell’Edizione conforme al manoscritto del 1957 (nella foto). Nel 1961, nella stessa collana diretta da Bassani in cui uscì la princepsdel capolavoro di Lampedusa, venne pubblicata la raccolta dei Racconti, con un ritratto fotografico in copertina dell’autore su fondo rosso. Anche qui figurava una prefazione di Bassani. Nel 1968 Carlo Muscetta evidenziò numerose divergenze tra manoscritti e testo stampato. Lo stesso Bassani d’altronde aveva sempre ammesso di essere intervenuto soprattutto sulla punteggiatura, considerata lacunosa. D’altronde esistono tre differenti stesure del romanzo e lo stesso autore avrebbe dovuto presumibilmente allestire un paio di ulteriori capitoli. Ancora Gioacchino Lanza Tomasi ci viene in soccorso: «Le divergenze fra il manoscritto del ’57 e l’edizione a stampa sono sì migliaia, ma, salvo una trentina, irrilevanti, e, salvo due casi, di limitata importanza».

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