Arturo Belluardo
Un telegramma dal passato

Sub rosa, sub flebo

«Il penultimo giorno della mia penultima degenza, intravedo sul ripiano del Book Crossing un foglietto stinto, del verde polveroso dei frutti del mandorlo. Lo raccolgo con delicata curiosità: è la copia mittente di un telegramma...»

Come sa bene chi ha avuto esperienza di un prolungato ricovero ospedaliero, i reparti sono caratterizzati da una loro cadenza, un incedere liturgico uguale a sé stesso nei giorni: pasti, terapie, visite, accertamenti diagnostici e clinici, familiari da rallegrare in visita. Ogni stazione di questa processione di camici avviene in una fascia oraria precisa, una fascia protetta all’interno della quale il malato si trasforma in paziente e deve rimanere rispettosamente in prossimità della sua alcova.

Esistono, tra una tappa e l’altra di questa via dolorosa, larghi spazi di nulla, dove il ricoverato si immerge e si ritira in una bolla amniotica di lettura, musica, televisione, deambulazioni nel corridoio del reparto, chiacchiere disgiunte dalla realtà.

Guai a utilizzare quel tempo per riflessioni interiori, per valutazioni e confronti sanitari, per surfare tra i siti pseudomedicali: depressione, insofferenza e rabbia sono dietro l’angolo e a poco servono per spezzare il ricovero; il paziente deve essere un numero gentile e rassegnato, come una matricola appena giunta in caserma, costretto a fare le esercitazioni negli unici abiti civili che possiede, perché la divisa gli verrà data solo dopo una settimana.

Se però si ha la fortuna di poter camminare con una certa autonomia, magari nascondendo la sacca del catetere in una elegante borsa di tela di Musica Jazz, si può oltrepassare il corridoio del reparto, con la sua galleria di ex-voto da far invidia al Divino Amore, e  spaziare per ambulacri deserti e incogniti, dedicati ad anatomie patologiche o a divinazioni diagnostiche: lì l’Ospedale San Giovanni si spalanca su splendidi panorami romani,  dove confrontare a vista d’occhio, Colosseo e Colosseo Quadrato, Obelisco Lateranense e Fungo dell’EUR. E, terminato il giro di ricognizione sulla città, si può scendere al bar con piccioni stanziali e comprare gelati Sammontana. O si può andare a scandagliare uno dei punti di book crossing più forniti e movimentati della Capitale.

Era, ed è, diventato questo uno dei miei appuntamenti preferiti: quella scaffalatura aperta, seminascosta tra il gabbiotto informazioni e la cappella, è sempre piena di sorprese interessanti: libri che porto in stanza, sfoglio, trattengo, cambio. E ho trovato una partita intera di libri degli anni Sessanta, tra cui il numero 2 degli Oscar Mondadori, La ragazza di Bube, che non avevo ancora, colpevolmente, letto. Una biografia di Luchino Visconti di Gaia Servadio. Vecchie edizioni Sellerio, alte e marroni.

Il penultimo giorno della mia penultima degenza, intravedo sul ripiano del Book Crossing un foglietto stinto, del verde polveroso dei frutti del mandorlo. Lo raccolgo con delicata curiosità: è la copia mittente di un telegramma, di quelle che gli uffici postali rilasciavano come ricevuta.

È datato 8 marzo 1975 ed è stato spedito dalla signora Mariella G., abitante in Via Acaia, 18, Roma. Proprio vicino all’Ospedale.

Ed è indirizzato al Dr. Joseph K., MDL, Maximilianstrasse 8, Monaco di Baviera, Repubblica Federale Tedesca.

E il testo, struggente e burocratico, senza punteggiature (costavano, nel preziario postelegrafonico, quanto una parola):

“Dispiaciuta quanto accaduto ti penso non ti ho dimenticato telefonami segue lettera ti bacio Mariella”.

Si para uno scenario di pallido romanticismo passato. E tanti interrogativi. Cosa sarà accaduto? Perché Mariella gli chiede di telefonarle? Perché non telefona lei? Joseph è forse sposato?

* * *

Ho quasi fretta di tornare in stanza, di stirare il telegramma sulla traversina del letto, di fotografare il telegramma, di spedirlo, via Whatsapp, con la didascalia “I ritrovamenti quelli belli”, a una cerchia di amici curiosi, agli spietati raccoglitori di storie.

Mi risponde subito Mariagiorgia, nonostante sia in vacanza in Portogallo.

Mariagiorgia è una vera gourmande dei reperti appartenuti a sconosciuti, va a ravanare sulle bancarelle dei robivecchi in cerca di dediche su libri da cantine svuotate, di fotografie di donne tarchiate che lancino baci al fotografo, di uomini in costume da ussaro… Li usa nei suoi laboratori di poesia, per stimolare la costruzione di storie, ma è, come me, una adorabile ficcanaso.

Il dialogo per messaggi si infittisce immediatamente, scandito dalle gocce antibiotiche che scivolano da flebo ad accessi a farfalla e le ipotesi si incanalano lungo gli aghi che mi bucano le vene.

– Ti dico che è sposato. Lei gli scrive “telefonami”. Potrebbe chiamarlo lei.

– Magari lui non è in una residenza fissa.

Cerchiamo l’indirizzo di Joseph su Google Maps, è un palazzo elegantissimo in pieno centro di Monaco, al piano terra una boutique di alta moda.

– Chissà cosa c’era prima di Hermes…

– Un albergo. Affittacamere.

– Mi sa più di un ospedale.

– Edificio piccolino per un ospedale. Magari un ufficio.

– Tu che sei mezza tedesca, Doktor si usa solo per medici o come in Italia?

– Come in italiano, anche come titolo accademico. Sto cercando di capire cos’è MDL.

Mariella lo fa seguire al nome di Joseph. Prima dell’indirizzo. Particolare importante che non sfugge al naso da cercatrice di tartufi della mia amica. Torniamo a Google.

E mentre la pastina in brodo delle sei del pomeriggio si va scomponendo in una poltiglia agostana, ci scambiamo le scoperte.

Joseph K. è stato un membro del Landtag. Era un parlamentare del Land della Baviera. L’indirizzo corrisponde, è quello degli Uffici dedicati ai Deputati, proprio nei pressi del Parlamento. Joseph K. è del 1941, oggi avrebbe 83 anni, quando ha conosciuto Mariella ne aveva 34. E dal curriculum viene fuori che è sposato con un figlio.

– Ma chissà se è vivo.

– Secondo me è vivo, non spuntano notizie di morte.

– Certo, su Mariella non si trova poi molto.

Purtroppo, le ricerche sulla mittente del telegramma non forniscono certezze, ci sono diverse omonime: sarà la direttrice di una biblioteca universitaria ormai in pensione? Sarà una politica localmente pugliese, piacente e berlusconiana, la versione foggiana di Laura Ravetto? Di lei dubitiamo, vero è che ha studiato a Roma, ma avrebbe avuto solo diciassett’anni all’epoca della storia con Joseph.

Diventa imperativo battere la pista di Joseph, trovare una sua mail, quasi non ascolto il medico che mi parla del mio prossimo intervento, programmato in limine augusti.

Devo fare io un’operazione di laparoscopia robotica ed estrarre la verità dall’ottuagenario ex-deputato. Devo trovare la sua mail. Scrivere al Bundestag.

Decido di tirare dentro anche il mio amico Massimo, che vive e lavora in Germania da lunga pezza.

– È di Comunione e Liberazione – informo Mariagiorgia – e Joseph era della CDU.

– Lo perdoniamo solo se ci trova qualcosa.

* * *

Massimo si fa ampiamente perdonare, si mostra efficientissimo

Questo telegramma ha un potere magico, ti trascina dentro la storia, ti fa volare nelle congetture. Massimo e Mariagiorgia non sono le uniche persone coinvolte, via Whatsapp, sulla love story di cinquant’anni fa, siamo quasi una squadra di calcio, ognuno dice la sua, ipotizza, contrasta, argomenta.

Mentre su Roma si allungano le prime ombre della torrida afa serale, la mia stanza di Ospedale è diventata un ricettacolo di cospiratori.

– Bello, mi sembra di essere due spie – chiosa Mariagiorgia.

E Massimo, da Karlsruhe nel Baden-Wurttemberg, via Messenger mi/ci scrive che è uscito un pezzo poche settimane fa su un giornale locale, dove Joseph K. viene intervistato in occasione della demolizione di un edificio storico nella sua città natale.

È vivo, mi scappa un grido; il mio giallognolo compagno di stanza bofonchia: “Nun so’ ancora morto, no, anche se ce manca poco”.

Massimo ipotizza che il telegramma sia stato scritto in italiano in modo che le segretarie o la moglie non potessero decifrarlo, fantastica di uno scambio tra politici CDU/DC, con la signora Grilli impiegata della DC a Piazza del Gesù.

E, da bravo cristiano, Massimo compie il miracolo, trova il sito di Joseph e trova la sua mail, è curioso di sapere cosa gli scriverò.

Dovrà aspettare un paio di giorni, la mia temporanea dimissione dal reparto è costellata da paure e accertamenti, mi trascino alle due di pomeriggio lungo il viale giaguaro di una cardiologa ferragostana.

Ma, alla fine, scrivo a Joseph una mail intitolata pomposamente “Telegram from the past” dove gli dico chi sono e come ho trovato il telegramma, di cui allego una foto. “Se le fa piacere avere l’originale – chiudo – posso spedirglielo e mi piacere sapere qualcosa di questa storia di così tanto tempo fa”.

* * *

“Caro Signore Bellardo (sic!), molte grazie per il suo messaggio inaspettato. Sì, mi ricordo il nome Mariella G. – la incontrai nello scompartimento di un treno tra Landshut e Munich. Quattro membri del Landtag Bavarese stavano andando a Monaco e, tra loro io, che ero il più giovane e l’unico a padroneggiare un po’ d’italiano. Così toccò a me iniziare la conversazione. La signora G. era anche lei molto giovane e molto bella, una tipica bellezza italiana. I miei colleghi furono molto colpiti dalla nostra intesa e mi spinsero a scambiarci gli indirizzi. Io le diedi il mio indirizzo ufficiale a Monaco. Non ho mai ricevuto il telegramma che lei mi ha mandato. Quanto meno, non mi è mai stato recapitato. Così non rimangono nient’altro che ricordi, tra cui il nostro addio alla stazione di Monaco con un abbraccio, senza “baggi”. Sa, in Germania noi abbiamo un modo di dire: tutti i pensieri sono leciti.

Non ho bisogno del telegramma originale (etc. etc.). Joseph K.”

* * *

– Non me la racconta giusta, però.

– Ma certo, che marpione. – dal Portogallo, Mariagiorgia – Specifica senza che ce ne sia bisogno “senza baggi”. E poi sposta subito sul fatto che tutti i pensieri sono leciti. È un’evidente excusatio non petita.

– Sinceramente però – interviene Massimo – se non sfruculii Mariella (se viva), non credo potrai andare molto oltre.

– Deve vivere ancora a via Acaia, è chiaro che porta i libri al book crossing. Urge sopralluogo – Mariagiorgia – Ma mi raccomando, sub rosa.

Sub rosa, come giuravano i romani perché il segreto si mantenesse inviolato, sub rosa e sub flebo.

* * *

Devo tornare in ospedale per il nuovo intervento.

Conosco a memoria quanto mi sarà necessario mettere nella borsa per il ricovero e non ci sarà l’occorrente per scrivere.

Chiedo a mia moglie di uscire un po’ prima e di passare per le Mura Aureliane.

– Parcheggia qui un momento, controllo una cosa e torno subito.

Tra l’edera e la buganvillea, al 18 di via Acaia c’è una splendida palazzina gialla dei primi del Novecento.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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